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2018-06-19
La Merkel all'angolo apre all'Italia
ANSA
Con Conte, l'Italia conta. Il bilaterale di ieri a Berlino con Angela Merkel è stato - a parole, certo - un successo per il premier. La cancelliera ha sostanzialmente detto sì a tutte le richieste italiane. L'Italia in poche settimane, grazie alla scomposta ma poderosa sponda di Donald Trump, sembra oggi ago della bilancia dei nuovi, fluidi equilibri internazionali. Il leader francese, Emmanuel Macron, dopo un bilaterale in cui sembrava diventato alleato dell'America, pare invece scaricato proprio da Trump, e sempre più isolato dopo la frattura con Angela Merkel. Proprio il presidente degli Usa, ieri, ha attaccato frontalmente la cancelliera, giusto poche ore prima che Conte atterrasse a Berlino: l'Italia a questo punto diventa (o meglio, ridiventa) l'alter ego di Washington in Europa.
Conte, malgrado l'inesperienza sul campo, ha utilizzato il palcoscenico internazionale anche per lanciare messaggi di serenità alla sua maggioranza, chiedendo alla Merkel il sostegno a una proposta importante: lo stanziamento di fondi europei per la lotta alla povertà nell'Unione Europea, fondi che contribuirebbero a coprire, in Italia, il reddito di cittadinanza. Un assist a Luigi Di Maio, leader del M5s, negli ultimi giorni, un po' in ombra dal punto di vista mediatico. Tra l'altro, parlare di reddito di cittadinanza a Berlino è quanto mai opportuno: è il «modello tedesco», quello che ha in mente Di Maio, ovvero il famoso sussidio sociale «Hartz IV», pilastro del welfare teutonico.
Conte gongola quando la Merkel esprime in conferenza stampa la sua posizione sulle proposte italiane: «L'Italia», dice la cancelliera, «è uno dei paesi che accoglie e ha accolto molti migranti. Intendiamo collaborare molto strettamente su questo argomento. Anche la Germania è colpita molto direttamente. Vogliamo venire incontro alla richiesta di una maggiore solidarietà da parte dell'Italia. Penso che la Germania sosterrà la necessità di una solidarietà europea sull'immigrazione. Siamo concordi sulla necessità di difendere le frontiere esterne, grazie a Frontex. La lotta agli scafisti è uno dei compiti prioritari». Le «frontiere esterne» dell'Europa: una formula, quella utilizzata dalla Merkel, che è una vera e propria rivoluzione nell'approccio europeo alla immigrazione. La cancelliera si spinge oltre: «Occorre aiutare la Libia», aggiunge Angela Merkel, allineandosi alla proposta italiana di bloccare il flusso di disperati nei paesi di partenza, «affinché possa prendersi cura dei migranti prima che partano per le nostre coste, magari attraverso l'Oim o l'Unhcr. L'Italia è uno dei Paesi che ha accolto e accoglie moltissimi migranti e profughi. Bisogna vedere», prosegue la Merkel, «come riuscire a stabilizzare il governo della Libia, come possiamo formare la guardia costiera libica e come possiamo aiutare questo paese affinché possa prendersi cura dei migranti prima che partano per le nostre coste». «Sappiamo», sottolinea la Merkel, «che l'Italia ha problemi con la disoccupazione giovanile, anche su questo è importante collaborare. Possiamo dare dei suggerimenti in base all'esperienza con l'unificazione tedesca. Si sono già incontrati i nostri ministri del Lavoro».
Soddisfatto per le parole della Merkel, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha replicato: «La posta in gioco per l'Europa è altissima, i temi dell'immigrazione e della governance economica dell'Ue possono e devono essere occasione per pervenire a costruire un'Europa più forte e più equa che possa rispondere ai bisogni primari dei cittadini. Sui migranti, l'Unione europea deve cambiare approccio. L'Italia non può continuare a fare da sola. Servono adeguati meccanismi di solidarietà. Sulla Libia», aggiunge il nostro premier, «dobbiamo continuare a lavorare per la stabilizzazione del Paese ed è fondamentale sostenere le autorità libiche nel contrasto ai network criminali che sfruttano l'immigrazione. Apprezziamo la disponibilità della Germania, ma anche in questo campo l'Europa deve dare prova di concreta solidarietà. Bisogna superare Dublino in favore di un nuovo approccio solidale, chi mette piede in Italia mette piede in Europa». Tonico e determinato, Conte avverte la Merkel e tutta l'Europa che anche sulle questioni economiche e di bilancio i tempi sono cambiati. Niente più pagelle da parte degli alleati europei, niente più bacchettate sulle mani, niente più elemosine da Bruxelles: l'Italia vuole sedersi a capotavola al prossimo Consiglio europeo e in tutte le trattative degli anni a venire: «In sede di discussione del quadro finanziario», sottolinea Conte, «faremo pesare la nostra voce per orientare i fondi europei verso misure di sostegno proprio a favore dell'inclusione sociale».
Parole nuove: per la prima volta da anni un premier italiano a Berlino non parla di compiti a casa.
Carlo Tarallo
La Merkel si piega ai bavaresi. Sui migranti rischia di saltare
Il dossier migranti sembra destinato a sconvolgere l'assetto politico europeo. Facendo saltare il banco col caso Aquarius, l'Italia ha innescato un effetto domino che oramai minaccia la tenuta di una leader finora reputata inattaccabile: Angela Merkel. La cancelliera tedesca è alle prese con i malumori del ministro dell'Intero Horst Seehofer, che preme affinché il governo accetti la sua proposta di respingere ai confini i migranti già registrati in altri Paesi Ue. Un proposito che la Merkel giudica pericoloso per la coesione dell'Europa, con la quale confida di trovare un'intesa condivisa al vertice di Bruxelles, in programma per il 28 e 29 giugno prossimi.
La cancelliera è stata costretta a cedere in parte alle pressioni del numero uno dei cristiano-democratici bavaresi, accettando l'ultimatum che le lascia tempo fino alla fine del mese, ossia fino alla riunione del Consiglio europeo del 28-29 giugno prossimi, per giungere a una soluzione concertata con gli altri capi di Stato dell'Unione. In caso contrario, Seehofer, che nella mattinata di ieri si è assicurato il sostegno di tutto il suo partito, fortissimo nella cruciale regione della Baviera, renderà operativi i respingimenti.
Il ministro dell'Interno della Csu ha contestato duramente quelli che ha definito «scandalosi» arrivi in Germania da parte di immigrati privi dei requisiti per l'ingresso. Dal canto suo, la Merkel ha promesso che almeno per ora non ci sarà «nessun automatismo» nei rimpatri, ma se, in caso di fallimento del Consiglio Ue, davvero non volesse autorizzare la misura caldeggiata dal ministro, le resterebbe soltanto la dolorosa strada del siluramento di Seehofer. Percorso non privo d'insidie, anche se in caso di voto di fiducia, con l'eccezione del ministro della Salute Jens Spahn, la Cdu è schierata compattamente al suo fianco, grazie all'opera di «catechizzazione» svolta dal Segretario del partito, Annegret Kramp-Karrenbauer. A quel punto, il governo nato grazie all'ennesima riedizione della grande coalizione con i socialdemocratici della Spd potrebbe davvero cadere, scenario sul quale fino a pochissimo tempo fa nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Ma se l'esecutivo uscisse indenne dal pantano, sarebbe comunque clamorosa sul piano politico una rottura della Fraktionsgemeinschaft, ovvero il gruppo parlamentare unitario tra Cdu e Csu che dura praticamente dal 1949, quando il cancelliere si chiamava Konrad Adenauer. Diversi osservatori ritengono che Seehofer stia solamente cercando di attirare il consenso del potenziale elettorato di Alternative für Deutschland, la formazione di estrema destra che sta incalzando la Csu in vista delle elezioni di autunno in Baviera. Alla fine, il ministro abbasserà i toni e tirerà dritto. Nel frattempo, la Merkel, che pure, come riporta un sondaggio citato dal Sole24Ore, è ancora l'esponente politico che i cittadini tedeschi apprezzano di più, appare accerchiata.
Ai tumulti interni, in effetti, si aggiungono i grattacapi provenienti dall'estero. A cominciare dalla visita a Berlino del presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, al centro della quale c'è stato il tema immigrazione, insieme alla richiesta di maggiori stanziamenti per la lotta alla povertà in Europa. La strategia della cancelliera è quella di incassare l'impegno del nostro Paese a riprendersi i migranti registrati in Italia e lavorare per il rafforzamento delle missioni di difesa delle frontiere esterne nel Mediteraneo (che è in fondo un obiettivo cui punta anche Matteo Salvini). In cambio, la Germania potrebbe sposare il progetto che Conte ha illustrato durante la visita al presidente francese Emmanuel Macron, cioè la creazione di hotspot in Africa per l'identificazione dei migranti e l'esame in loco delle richieste d'asilo. In breve, i mal di pancia del governo gialloblù hanno scompaginato la calma apparente del panorama politico europeo, in cui l'immobilismo era diventato una tattica per scaricare gli oneri sui soliti fessi.
Tuttavia, la Merkel è al contempo impegnata sul fronte della diatriba con gli Stati Uniti in merito di dazi, altro spauracchio per un Paese che ha costruito la propria egemonia continentale su un mercantilismo predatorio che ha furbescamente tratto vantaggio dal deprezzamento dell'euro rispetto al marco. Da Oltreoceano sono arrivati due tweet di Donald Trump che, pur non citando esplicitamente il capo di Stato tedesco, paiono cuciti proprio addosso a lei: «Non vogliamo che accada a noi quello che sta accadendo con l'immigrazione in Europa!», ha chiosato The Donald, per poi rincarare la dose: «Il popolo tedesco si sta ribellando contro i suoi leader, mentre l'immigrazione sta sconvolgendo la già debole coalizione di Berlino. In Germania, il crimine aumenta. È stato un grave errore commesso in tutta Europa quello di consentire l'ingresso a milioni di persone che hanno cambiato la cultura del continente in modo tanto forte e violento!».
Per la Casa Bianca, l'indebolimento della Merkel significa un'arma in più per arrivare all'auspicato riequilibrio delle bilance commerciali, e il fermo di polizia per il dieselgate dell'ad di Audi è caduto come si suol dire a fagiolo. Ma al netto del fatto che quello di Trump sia un agire strategico, all'Italia non può che far comodo avere alle spalle gli Stati Uniti per incrinare lo strapotere dei tedeschi. I prossimi 15 giorni saranno dunque decisivi per scoprire se veramente, per la cancelliera di ferro, è prossima la caduta. Il fatto che la Merkel vorrà indubbiamente scongiurare la sua fine offre al nostro Paese una ghiottissima finestra d'opportunità.
Alessandro Rico
Dieselgate, finisce arrestato il capo di Audi
Dopo tre anni dalla deflagrazione del Dieselgate, Volkswagen è di nuovo nell'occhio del ciclone per la stessa ragione.
A finire agli arresti, stavolta, è stato Rupert Stadler, ad di Audi, produttore di auto di lusso del gruppo di Wolfsburg. Gli inquirenti tedeschi (che hanno fatto sapere che l'ad sarà detenuto) hanno detto che Stadler e un altro manager esecutivo di Audi sono sospettati di aver commesso frode e pubblicità ingannevole nell'ambito del Dieselgate.
Un portavoce del pubblico ministero di Monaco ha detto che Stadler, che si è sempre dichiarato estraneo alle accuse, era considerato un sospetto dal 30 di maggio. La residenza del ceo era già stata perquisita e la procura ha già messo nel mirino 20 persone.
Gli inquirenti bavaresi hanno arrestato Stadler poche ore prima di un incontro del consiglio di sorveglianza di Volkswagen, in cui si doveva discutere la presentazione degli avvocati del gruppo relativa alle indagini. Oggi un giudice deciderà se Stadler dovrà rimanere in prigione fino all'inizio del processo.
A maggio Audi ha detto di aver identificato un software che manipola le emissioni in circa 60.000 veicoli diesel. L'alterazione ha riguardato i motori da 2 litri realizzati da Vw e utilizzati in alcuni veicoli Audi, come i modelli compatti dell'A3, ma anche i motori da 3 litri fatti da Audi e utilizzati in alcuni suv e crossover della stessa Audi, di Vw e di Porsche.
Piú nel dettaglio, gli inquirenti sostengono che Stadler e l'altro manager potrebbero aver commesso una frode e falsificato i documenti relativi alle vendite di veicoli diesel con il software manipolato sui mercati europei.
Nel frattempo, ieri, il consiglio di sorveglianza di Volkswagen, che ha sospeso Stadler, ha fatto sapere che avrebbe nominato Bram Schot, capo delle vendite a livello globale per la casa dei quattro anelli, ceo ad interim di Audi.
Gli sviluppi di questa indagine, la prima a collegare un senior manager esecutivo del business più redditizio di Volkswagen al Dieselgate, potrebbero rappresentare costi aggiuntivi per il gruppo.
Già lo scorso anno Volkswagen si è dichiarata colpevole per quanto accaduto tra il 2006 e il 2015. La società ha accettato di pagare multe per più di 20 miliardi di dollari negli Usa al fine di porre fine al contenzioso. Di questi, 2,8 miliardi sono stati versati per sanzioni penali. Volkswagen aveva riconosciuto di aver manipolato circa 11 milioni di veicoli in tutto il mondo, inclusi 600.000 solo negli Usa. La società ha accettato di rimborsare i clienti americani frodati e di riacquistare o aggiustare i veicoli diesel sui quali era stato installato il software illegale. Ieri il titolo ha perso oltre il 4% in Borsa.
L'arresto del numero uno dell'Audi offre allo stesso tempo un grande «assist» agli Stati Uniti di Trump e fa un altro sgambetto al già in difficoltà governo tedesco di Angela Merkel. Il cosiddetto Dieselgate, alla fine, è stato un pezzo importante del puzzle che compone la guerra commerciale tra America ed Europa: un conflitto vero e proprio, basti pensare che i problemi sulle emissioni dei diesel della Volkswagen erano noti in Usa da oltre un anno, ma sono stati denunciati al momento opportuno, proprio per mettere in ginocchio il gruppo di Wolfsburg.
In più, va detto che da tempo Trump ha posto sotto particolare osservazione la politica commerciale tedesca e un colpo come questo potrebbe affossare le vendite tedesche e far perdere al governo Merkel l'appoggio di elettori influenti come i grandi produttori di automobili tedeschi, non esattamente felici di come l'esecutivo abbia protetto i loro interessi.
Gianluca Baldini
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La cancelliera a Giuseppe Conte: «Siamo concordi sulla necessità di difendere le frontiere esterne». Il premier incassa anche la disponibilità sugli aiuti europei alla lotta alla povertà, un assist al reddito di cittadinanza.Vince il ministro dell'Interno Csu, Horst Seehofer: Berlino ha due settimane per inserire nell'agenda Ue la difesa dei confini, altrimenti via ai respingimenti. In quel caso, crisi di governo garantita. E Donald Trump gode.Nuova tegola per Volkswagen. Rupert Stadler, ad del brand di lusso già indagato, è stato fermato per il pericolo di occultamento delle prove. Tra le accuse c'è «l'emissione di certificati falsi». Crolla il titolo in Borsa.Lo speciale contiene tre articoli.Con Conte, l'Italia conta. Il bilaterale di ieri a Berlino con Angela Merkel è stato - a parole, certo - un successo per il premier. La cancelliera ha sostanzialmente detto sì a tutte le richieste italiane. L'Italia in poche settimane, grazie alla scomposta ma poderosa sponda di Donald Trump, sembra oggi ago della bilancia dei nuovi, fluidi equilibri internazionali. Il leader francese, Emmanuel Macron, dopo un bilaterale in cui sembrava diventato alleato dell'America, pare invece scaricato proprio da Trump, e sempre più isolato dopo la frattura con Angela Merkel. Proprio il presidente degli Usa, ieri, ha attaccato frontalmente la cancelliera, giusto poche ore prima che Conte atterrasse a Berlino: l'Italia a questo punto diventa (o meglio, ridiventa) l'alter ego di Washington in Europa. Conte, malgrado l'inesperienza sul campo, ha utilizzato il palcoscenico internazionale anche per lanciare messaggi di serenità alla sua maggioranza, chiedendo alla Merkel il sostegno a una proposta importante: lo stanziamento di fondi europei per la lotta alla povertà nell'Unione Europea, fondi che contribuirebbero a coprire, in Italia, il reddito di cittadinanza. Un assist a Luigi Di Maio, leader del M5s, negli ultimi giorni, un po' in ombra dal punto di vista mediatico. Tra l'altro, parlare di reddito di cittadinanza a Berlino è quanto mai opportuno: è il «modello tedesco», quello che ha in mente Di Maio, ovvero il famoso sussidio sociale «Hartz IV», pilastro del welfare teutonico.Conte gongola quando la Merkel esprime in conferenza stampa la sua posizione sulle proposte italiane: «L'Italia», dice la cancelliera, «è uno dei paesi che accoglie e ha accolto molti migranti. Intendiamo collaborare molto strettamente su questo argomento. Anche la Germania è colpita molto direttamente. Vogliamo venire incontro alla richiesta di una maggiore solidarietà da parte dell'Italia. Penso che la Germania sosterrà la necessità di una solidarietà europea sull'immigrazione. Siamo concordi sulla necessità di difendere le frontiere esterne, grazie a Frontex. La lotta agli scafisti è uno dei compiti prioritari». Le «frontiere esterne» dell'Europa: una formula, quella utilizzata dalla Merkel, che è una vera e propria rivoluzione nell'approccio europeo alla immigrazione. La cancelliera si spinge oltre: «Occorre aiutare la Libia», aggiunge Angela Merkel, allineandosi alla proposta italiana di bloccare il flusso di disperati nei paesi di partenza, «affinché possa prendersi cura dei migranti prima che partano per le nostre coste, magari attraverso l'Oim o l'Unhcr. L'Italia è uno dei Paesi che ha accolto e accoglie moltissimi migranti e profughi. Bisogna vedere», prosegue la Merkel, «come riuscire a stabilizzare il governo della Libia, come possiamo formare la guardia costiera libica e come possiamo aiutare questo paese affinché possa prendersi cura dei migranti prima che partano per le nostre coste». «Sappiamo», sottolinea la Merkel, «che l'Italia ha problemi con la disoccupazione giovanile, anche su questo è importante collaborare. Possiamo dare dei suggerimenti in base all'esperienza con l'unificazione tedesca. Si sono già incontrati i nostri ministri del Lavoro».Soddisfatto per le parole della Merkel, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha replicato: «La posta in gioco per l'Europa è altissima, i temi dell'immigrazione e della governance economica dell'Ue possono e devono essere occasione per pervenire a costruire un'Europa più forte e più equa che possa rispondere ai bisogni primari dei cittadini. Sui migranti, l'Unione europea deve cambiare approccio. L'Italia non può continuare a fare da sola. Servono adeguati meccanismi di solidarietà. Sulla Libia», aggiunge il nostro premier, «dobbiamo continuare a lavorare per la stabilizzazione del Paese ed è fondamentale sostenere le autorità libiche nel contrasto ai network criminali che sfruttano l'immigrazione. Apprezziamo la disponibilità della Germania, ma anche in questo campo l'Europa deve dare prova di concreta solidarietà. Bisogna superare Dublino in favore di un nuovo approccio solidale, chi mette piede in Italia mette piede in Europa». Tonico e determinato, Conte avverte la Merkel e tutta l'Europa che anche sulle questioni economiche e di bilancio i tempi sono cambiati. Niente più pagelle da parte degli alleati europei, niente più bacchettate sulle mani, niente più elemosine da Bruxelles: l'Italia vuole sedersi a capotavola al prossimo Consiglio europeo e in tutte le trattative degli anni a venire: «In sede di discussione del quadro finanziario», sottolinea Conte, «faremo pesare la nostra voce per orientare i fondi europei verso misure di sostegno proprio a favore dell'inclusione sociale». Parole nuove: per la prima volta da anni un premier italiano a Berlino non parla di compiti a casa. Carlo Tarallo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-ne-approfitta-e-strappa-il-suo-appoggio-2579230576.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-merkel-si-piega-ai-bavaresi-sui-migranti-rischia-di-saltare" data-post-id="2579230576" data-published-at="1765408395" data-use-pagination="False"> La Merkel si piega ai bavaresi. Sui migranti rischia di saltare Il dossier migranti sembra destinato a sconvolgere l'assetto politico europeo. Facendo saltare il banco col caso Aquarius, l'Italia ha innescato un effetto domino che oramai minaccia la tenuta di una leader finora reputata inattaccabile: Angela Merkel. La cancelliera tedesca è alle prese con i malumori del ministro dell'Intero Horst Seehofer, che preme affinché il governo accetti la sua proposta di respingere ai confini i migranti già registrati in altri Paesi Ue. Un proposito che la Merkel giudica pericoloso per la coesione dell'Europa, con la quale confida di trovare un'intesa condivisa al vertice di Bruxelles, in programma per il 28 e 29 giugno prossimi. La cancelliera è stata costretta a cedere in parte alle pressioni del numero uno dei cristiano-democratici bavaresi, accettando l'ultimatum che le lascia tempo fino alla fine del mese, ossia fino alla riunione del Consiglio europeo del 28-29 giugno prossimi, per giungere a una soluzione concertata con gli altri capi di Stato dell'Unione. In caso contrario, Seehofer, che nella mattinata di ieri si è assicurato il sostegno di tutto il suo partito, fortissimo nella cruciale regione della Baviera, renderà operativi i respingimenti. Il ministro dell'Interno della Csu ha contestato duramente quelli che ha definito «scandalosi» arrivi in Germania da parte di immigrati privi dei requisiti per l'ingresso. Dal canto suo, la Merkel ha promesso che almeno per ora non ci sarà «nessun automatismo» nei rimpatri, ma se, in caso di fallimento del Consiglio Ue, davvero non volesse autorizzare la misura caldeggiata dal ministro, le resterebbe soltanto la dolorosa strada del siluramento di Seehofer. Percorso non privo d'insidie, anche se in caso di voto di fiducia, con l'eccezione del ministro della Salute Jens Spahn, la Cdu è schierata compattamente al suo fianco, grazie all'opera di «catechizzazione» svolta dal Segretario del partito, Annegret Kramp-Karrenbauer. A quel punto, il governo nato grazie all'ennesima riedizione della grande coalizione con i socialdemocratici della Spd potrebbe davvero cadere, scenario sul quale fino a pochissimo tempo fa nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Ma se l'esecutivo uscisse indenne dal pantano, sarebbe comunque clamorosa sul piano politico una rottura della Fraktionsgemeinschaft, ovvero il gruppo parlamentare unitario tra Cdu e Csu che dura praticamente dal 1949, quando il cancelliere si chiamava Konrad Adenauer. Diversi osservatori ritengono che Seehofer stia solamente cercando di attirare il consenso del potenziale elettorato di Alternative für Deutschland, la formazione di estrema destra che sta incalzando la Csu in vista delle elezioni di autunno in Baviera. Alla fine, il ministro abbasserà i toni e tirerà dritto. Nel frattempo, la Merkel, che pure, come riporta un sondaggio citato dal Sole24Ore, è ancora l'esponente politico che i cittadini tedeschi apprezzano di più, appare accerchiata. Ai tumulti interni, in effetti, si aggiungono i grattacapi provenienti dall'estero. A cominciare dalla visita a Berlino del presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, al centro della quale c'è stato il tema immigrazione, insieme alla richiesta di maggiori stanziamenti per la lotta alla povertà in Europa. La strategia della cancelliera è quella di incassare l'impegno del nostro Paese a riprendersi i migranti registrati in Italia e lavorare per il rafforzamento delle missioni di difesa delle frontiere esterne nel Mediteraneo (che è in fondo un obiettivo cui punta anche Matteo Salvini). In cambio, la Germania potrebbe sposare il progetto che Conte ha illustrato durante la visita al presidente francese Emmanuel Macron, cioè la creazione di hotspot in Africa per l'identificazione dei migranti e l'esame in loco delle richieste d'asilo. In breve, i mal di pancia del governo gialloblù hanno scompaginato la calma apparente del panorama politico europeo, in cui l'immobilismo era diventato una tattica per scaricare gli oneri sui soliti fessi. Tuttavia, la Merkel è al contempo impegnata sul fronte della diatriba con gli Stati Uniti in merito di dazi, altro spauracchio per un Paese che ha costruito la propria egemonia continentale su un mercantilismo predatorio che ha furbescamente tratto vantaggio dal deprezzamento dell'euro rispetto al marco. Da Oltreoceano sono arrivati due tweet di Donald Trump che, pur non citando esplicitamente il capo di Stato tedesco, paiono cuciti proprio addosso a lei: «Non vogliamo che accada a noi quello che sta accadendo con l'immigrazione in Europa!», ha chiosato The Donald, per poi rincarare la dose: «Il popolo tedesco si sta ribellando contro i suoi leader, mentre l'immigrazione sta sconvolgendo la già debole coalizione di Berlino. In Germania, il crimine aumenta. È stato un grave errore commesso in tutta Europa quello di consentire l'ingresso a milioni di persone che hanno cambiato la cultura del continente in modo tanto forte e violento!». Per la Casa Bianca, l'indebolimento della Merkel significa un'arma in più per arrivare all'auspicato riequilibrio delle bilance commerciali, e il fermo di polizia per il dieselgate dell'ad di Audi è caduto come si suol dire a fagiolo. Ma al netto del fatto che quello di Trump sia un agire strategico, all'Italia non può che far comodo avere alle spalle gli Stati Uniti per incrinare lo strapotere dei tedeschi. I prossimi 15 giorni saranno dunque decisivi per scoprire se veramente, per la cancelliera di ferro, è prossima la caduta. Il fatto che la Merkel vorrà indubbiamente scongiurare la sua fine offre al nostro Paese una ghiottissima finestra d'opportunità.Alessandro Rico <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-ne-approfitta-e-strappa-il-suo-appoggio-2579230576.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="dieselgate-finisce-arrestato-il-capo-di-audi" data-post-id="2579230576" data-published-at="1765408395" data-use-pagination="False"> Dieselgate, finisce arrestato il capo di Audi Dopo tre anni dalla deflagrazione del Dieselgate, Volkswagen è di nuovo nell'occhio del ciclone per la stessa ragione. A finire agli arresti, stavolta, è stato Rupert Stadler, ad di Audi, produttore di auto di lusso del gruppo di Wolfsburg. Gli inquirenti tedeschi (che hanno fatto sapere che l'ad sarà detenuto) hanno detto che Stadler e un altro manager esecutivo di Audi sono sospettati di aver commesso frode e pubblicità ingannevole nell'ambito del Dieselgate. Un portavoce del pubblico ministero di Monaco ha detto che Stadler, che si è sempre dichiarato estraneo alle accuse, era considerato un sospetto dal 30 di maggio. La residenza del ceo era già stata perquisita e la procura ha già messo nel mirino 20 persone. Gli inquirenti bavaresi hanno arrestato Stadler poche ore prima di un incontro del consiglio di sorveglianza di Volkswagen, in cui si doveva discutere la presentazione degli avvocati del gruppo relativa alle indagini. Oggi un giudice deciderà se Stadler dovrà rimanere in prigione fino all'inizio del processo. A maggio Audi ha detto di aver identificato un software che manipola le emissioni in circa 60.000 veicoli diesel. L'alterazione ha riguardato i motori da 2 litri realizzati da Vw e utilizzati in alcuni veicoli Audi, come i modelli compatti dell'A3, ma anche i motori da 3 litri fatti da Audi e utilizzati in alcuni suv e crossover della stessa Audi, di Vw e di Porsche. Piú nel dettaglio, gli inquirenti sostengono che Stadler e l'altro manager potrebbero aver commesso una frode e falsificato i documenti relativi alle vendite di veicoli diesel con il software manipolato sui mercati europei. Nel frattempo, ieri, il consiglio di sorveglianza di Volkswagen, che ha sospeso Stadler, ha fatto sapere che avrebbe nominato Bram Schot, capo delle vendite a livello globale per la casa dei quattro anelli, ceo ad interim di Audi. Gli sviluppi di questa indagine, la prima a collegare un senior manager esecutivo del business più redditizio di Volkswagen al Dieselgate, potrebbero rappresentare costi aggiuntivi per il gruppo. Già lo scorso anno Volkswagen si è dichiarata colpevole per quanto accaduto tra il 2006 e il 2015. La società ha accettato di pagare multe per più di 20 miliardi di dollari negli Usa al fine di porre fine al contenzioso. Di questi, 2,8 miliardi sono stati versati per sanzioni penali. Volkswagen aveva riconosciuto di aver manipolato circa 11 milioni di veicoli in tutto il mondo, inclusi 600.000 solo negli Usa. La società ha accettato di rimborsare i clienti americani frodati e di riacquistare o aggiustare i veicoli diesel sui quali era stato installato il software illegale. Ieri il titolo ha perso oltre il 4% in Borsa. L'arresto del numero uno dell'Audi offre allo stesso tempo un grande «assist» agli Stati Uniti di Trump e fa un altro sgambetto al già in difficoltà governo tedesco di Angela Merkel. Il cosiddetto Dieselgate, alla fine, è stato un pezzo importante del puzzle che compone la guerra commerciale tra America ed Europa: un conflitto vero e proprio, basti pensare che i problemi sulle emissioni dei diesel della Volkswagen erano noti in Usa da oltre un anno, ma sono stati denunciati al momento opportuno, proprio per mettere in ginocchio il gruppo di Wolfsburg. In più, va detto che da tempo Trump ha posto sotto particolare osservazione la politica commerciale tedesca e un colpo come questo potrebbe affossare le vendite tedesche e far perdere al governo Merkel l'appoggio di elettori influenti come i grandi produttori di automobili tedeschi, non esattamente felici di come l'esecutivo abbia protetto i loro interessi.Gianluca Baldini
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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