Conte fa il vice Salvini: basta con l’accoglienza senza limiti
- Il premier riferisce al Senato sulla vicenda della nave Diciotti: «Una brutta pagina per l'Ue. Non siamo più disponibili agli ingressi indiscriminati». Ed è scontro con Malta.
- Il think thank Institut Montaigne propone di insegnare la lingua araba già alle elementari. Il ministro dell'Istruzione Jean Michel Blanquer approva, ma viene sommerso dalle critiche e deve tentare una mezza retromarcia.
- Nonostante l'opposizione di Lega e Casapound, il rettore dell'università di Verona cambia idea sulla cancellazione dell'incontro dedicato all'accoglienza arcobaleno.
Lo speciale contiene tre articoli.
Una informativa dettagliatissima, accompagnata da scroscianti applausi da parte di Lega e M5s: ieri, al Senato, il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, è intervenuto sulla vicenda della nave Diciotti e ha chiarito (se ancora ve ne fosse bisogno) tutti gli aspetti della questione. Conte ha esordito con un passaggio prettamente politico: «Quello che è cambiato rispetto al passato», ha detto, «è che l'Italia non è più disponibile ad accogliere indiscriminatamente i migranti, contribuendo seppure involontariamente a incrementare il traffico di esseri umani e supplendo alla responsabilità che spetta all'Unione europea, ottundendo il vincolo di solidarietà che grava su ciascuno Stato membro».
Conte non ha risparmiato critiche alle autorità maltesi: «Le operazioni di sbarco dei migranti soccorsi dalla nave Diciotti d ad avviso delle autorità italiane permanevano in capo alla responsabilità di Malta. Constatata l'inerzia delle autorità maltesi», ha spiegato Conte, «il nostro comando generale valutava come probabile la necessità di intervento di soccorso per trasferire su altra unità tutti gli occupanti, o una parte, del barcone a largo delle coste di Lampedusa. Stante l'elevato numero di migranti, il comando generale disponeva l'avvicinamento in zona di nave Diciotti. Con l'aggravarsi della situazione sul barcone, con un concreto, imminente pericolo di vita dei migranti, con un peggioramento del meteo, il comando generale della Capitaneria di porto disponeva un intervento immediato dei mezzi italiani, a largo di Lampedusa. L'autorità maltese», ha scandito Conte, «rispondeva dichiarando la volontà di non intervenire, nonostante fosse stata avvertita che il barcone era in procinto di affondare con i migranti».
Conte ha poi snocciolato i particolari della vicenda: «Dopo che i migranti soccorsi da motovedette italiane», ha detto, «su un barcone in difficoltà il 16 agosto sono stati trasferiti sulla nave Diciotti, la stessa è rimasta nelle vicinanze di Lampedusa fino al 19 agosto, in attesa della definizione con le autorità maltesi delle operazioni di sbarco, per poi approdare il giorno dopo a Catania per uno scalo tecnico su indicazione dei vertici del dicastero delle Infrastrutture e trasporti, in attesa dell'eventuale indicazione del Place of Safety da parte del ministero dell'Interno».
«Il 22 agosto», ha aggiunto poi, «non appena avuto cognizione della loro presenza a bordo, con l'unità in porto a Catania, il Dicastero dell'Interno autorizzava un primo sbarco dei 27 minori non accompagnati nei centri di accoglienza dedicati della provincia di Catania, anche in conseguenza delle interlocuzioni con il Procuratore della Repubblica dei minorenni di Catania».
«Nei giorni in cui la nave Diciotti è stata ormeggiata nel porto di Catania», ha proseguito il premier, «è stata costantemente assicurata ogni necessaria assistenza ai migranti. Il 25 agosto è stato comunque autorizzato lo sbarco dei migranti nel porto di Catania. L'operazione è stata conclusa senza alcuna criticità nella notte tra il 25 e il 26 agosto con il loro trasferimento presso l'hotspot di Messina. Tutti i migranti al momento dello sbarco hanno manifestato intenzione di richiedere la protezione internazionale». Tra i vari passaggi dell'informativa di Giuseppe Conte, uno in particolare ha suscitato emozione e apprezzamento da parte della maggioranza: «Senza l'intervento concreto e diretto della nave Diciotti della Guardia costiera italiana», ha ricordato Conte, «molti dei migranti soccorsi sarebbero morti. Lo dimostra la ricognizione di un velivolo della Guardia costiera in zona, che aveva rilevato chiare tracce di un affondamento, quali iridescenze da idrocarburi, diversi giubbotti di salvataggio ed elementi strutturali di un'imbarcazione. La vicenda Diciotti», ha aggiunto Conte, «non è stata una bella pagina per l'Europa, che ha perso l'occasione per dare concretezza a quei principi di solidarietà e responsabilità che vengono costantemente evocati come valori fondamentali dell'ordinamento europeo».
Non si è fatta attendere la replica del governo di Malta, che attraverso una nota ha definito «inaccurati» i commenti del premier italiano, replicando che «il governo italiano aveva la piena responsabilità dello sbarco secondo il diritto internazione ed europeo. Malta», ha aggiunto il governo guidato da Joseph Muscat, «rinnova il suo invito a continuare con la cooperazione internazionale e a smettere con pubbliche dichiarazioni che sono false».
Idea francese: «Lezioni di arabo a scuola»
Insegnare l'arabo dalle elementari per combattere l'islam radicale? È l'idea avanzata dal dall'Institut Montaigne, un think thank francese che opera per la coesione sociale. La proposta è contenuta in un rapporto presentato il 9 settembre scorso.
Oltre all'insegnamento della lingua araba, è stata proposta anche la creazione di una associazione per i musulmani francesi e l'istituzione di una «tassa halal» per finanziare la costruzione di moschee. Già perché in Francia, come in altri paesi, la costruzione di luoghi di culto o centri studi musulmani è spesso finanziata dall'estero e non sempre è nota l'origine dei finanziamenti. Questo fatto ha provocato diversi problemi, tra i quali figura la moltiplicazione di moschee dove imperversano imam radicali.
Tra i commenti seguiti alla pubblicazione del rapporto dell'Institut Montaigne ha fatto scalpore quello di Jean Michel Blanquer, ministro dell'istruzione francese. Durante un'intervista ai microfoni di Bfm tv, ha lasciato molti telespettatori a bocca aperta.
«L'arabo», ha detto il ministro, «una lingua molto importante, come altre grandi lingue di civilizzazione, penso al cinese o al russo. Bisogna dare prestigio all'insegnamento di queste lingue», ha aggiunto Jean Michel Blanquer, «questo è particolarmente vero per l'arabo che è una grande lingua letteraria e che non deve essere imparata solamente da persone di origine magrebina o dei Paesi arabi. Condurremo tutta questa strategia qualitativa nei confronti della lingua araba"».
Le reazioni alle parole del ministro non si sono fatte attendere. Tra queste una delle più importanti è stata quella del filosofo di destra Luc Ferry che, tra l'altro ha ricoperto il ruolo di ministro dell'Istruzione in passato. «Si tratta di lottare contro l'islamismo o di farlo entrare nell'educazione nazionale?», si è chiesto Ferry. «Ci sono pochissimi controlli sulla selezione dei professori. Chi insegnerà? È una buona idea per combattere l'islamizzazione della Francia? Non lo so».
Blanquer ha ripreso la parola lamentando una strumentalizzazione da parte della stampa e precisando meglio le sue idee. «La Francia riprenda il controllo sulle persone che insegnano queste lingue», ha detto negli studi di TF1, aggiungendo di volere «più insegnanti certificati dalla pubblica istruzione».
Al di là di queste precisazioni, il modo in cui è stato interpretato il messaggio di uno dei ministri più importanti di Macron è sintomatico della tensione latente legata ai timori di diffusione dell'integralismo islamico in Francia. Un integralismo che si manifesta sempre più spesso anche se le autorità e i media preferiscono parlare di «casi isolati», di «lupi solitari» o di «squilibrati». Certo bisogna evitare di fare di tutta l'erba un fascio ma fanno riflettere i fatti di cronaca di attacchi all'arma bianca diventati quasi quotidiani. Solo in quest'ultima settimana se ne sono registrati due ai quali si è aggiunto uno sfondamento di barriere di sicurezza. Nella serata del 9 settembre un cittadino afghano ha aggredito con un coltello dei passanti nel 19° arrondissement di Parigi, ferendone anche in modo grave sette. Secondo Le Figaro, una fonte giudiziaria ha detto che «la pista terrorista non è stata considerata in questa fase ma la sezione antiterrorismo del tribunale di Parigi segue da vicino la procedura in corso».
Il venerdi precedente, vicineo al liceo Joffre di Montpellier, alcuni alunni delle scuole medie sono stati aggrediti da un cittadino albanese, un genitore è stato accoltellato. Il 10 settembre un uomo, all'aeroporto di Lione, ha sfondato i recinti di sicurezza con un'auto ed è stato inseguito dalla polizia sulle piste d'atterraggio.
Se i legami con i movimenti dell'islam radicale non sono sempre attestati, quello che sembra essere chiaro è che la sicurezza in Francia non è migliorata dopo gli attentati del 2015. Questo i cittadini lo constatano facilmente. Per questa ragione l'idea di far entrare nelle scuole l'insegnamento dell'arabo senza troppo controllo non può essere vissuta serenamente.
A Verona convegno sui profughi Lgbt
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Da 56 giorni i genitori non vedono i figli. Gli assistenti sociali però non rispondono
«Voglio sapere dove sono i bambini. Sono passati 56 giorni senza vederli. Neppure una telefonata. Non sappiamo come stanno, cosa mangiano, se dormono…». Le lacrime scivolano giù con dignità sul bel volto di mamma Nadya, mentre si siede con noi sulla panca fuori, all’ingresso di casa. Siamo nel bosco di Caprese Michelangelo, piccolo borgo in provincia di Arezzo. «Con mio marito Harald», racconta Nadya, «siamo andati più volte ai servizi sociali. Ci hanno detto che non possiamo vederli perché sono in un luogo segreto. Tutto questo è un abuso. Una violenza che viene fatta a noi e ai nostri figli».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
- Una ricerca di recente pubblicazione mostra come, dati alla mano, Covid e preparati genici velocizzino la crescita delle masse cancerogene. Chi ha ricevuto le dosi è più esposto perché più sollecitato.
- Boccia (Pd) durante l’audizione di Sileri in commissione: «Decidevano Cts e Cdm» L’allora viceministro conferma: «Io isolato. Non so chi abbia imposto la tachipirina».
Lo speciale contiene due articoli.
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.





