2020-08-10
Conte comanda da solo, poi dà la colpa agli altri
Più passano i giorni e più si capisce che sulla zona rossa della Val Seriana Giuseppe Conte non la racconta giusta. Da quando i pm di Bergamo hanno aperto un'inchiesta sui ritardi con cui le autorità hanno agito per contenere l'epidemia di coronavirus, il presidente del Consiglio ha sostenuto la tesi di non aver saputo nulla delle richieste del Comitato tecnico scientifico. Anzi, di non aver proprio ricevuto alcuna sollecitazione a chiudere quei paesi in cui i contagi aumentavano di giorno in giorno senza sosta. Ma la versione del premier si scontra con una serie di circostanze e anche con ciò che egli stesso aveva dichiarato nei momenti più caldi dell'emergenza. Soprattutto, la narrazione del capo del governo cozza con un dato di fatto, ovvero con lo stato di emergenza con cui egli stesso si era attribuito super poteri. Se vuoi decidere da solo, senza la perdita di tempo delle discussioni con gli uffici e il Parlamento, poi non puoi sostenere che il ritardo con cui hai agito sia colpa di altri. Invece questo è proprio ciò che ha provato a fare Giuseppe Conte quando i pm hanno bussato alla sua porta. Nonostante la Costituzione assegni al governo il compito di intervenire nell'interesse nazionale, il presidente del Consiglio ha provato a scaricare su altri, cioè sui governatori delle Regioni, le proprie responsabilità. E però, dimostrare di non avere alcun ruolo quando tutto è accentrato nelle tue mani, è un'operazione difficile. Se non impossibile.Che Conte si fosse attribuito il potere di decidere lo stato di emergenza, l'istituzione delle zone rosse e qualsiasi altro provvedimento, è cosa certa. Così come sono sicuri altri due fatti, ovvero che il Comitato tecnico scientifico era contrario a dichiarare il lockdown per tutto il Paese, mentre sollecitava la chiusura immediata di alcuni paesi della Bergamasca, così come si era fatto nel basso Lodigiano. Secondo gli esperti, sarebbe stato sufficiente isolare quelle zone ad alta contaminazione, senza rinchiudere tutti gli italiani in casa e dunque senza mettere agli arresti domiciliari tutta l'Italia. Il verbale in cui è stata richiesta l'istituzione della zona rossa in provincia di Bergamo è del 3 marzo ma Conte, per giustificare la mancata tempestività della decisione, dice di non averlo mai visto. O forse di averlo visto con due giorni di ritardo (già, ogni giorno, a seconda delle necessità, si aggiusta il resoconto). Peccato che in un'intervista rilasciata ai primi di aprile il premier abbia dichiarato altro, e cioè che dopo aver appreso della richiesta degli esperti, abbia ordinato un ulteriore approfondimento, con il risultato di far slittare di alcuni giorni la decisione sull'istituzione delle zone rosse. Ora, delle due l'una. O Conte non ha ricevuto quel verbale nonostante sia stato inviato a Palazzo Chigi e sia stato - immaginiamo - regolarmente protocollato (e dunque ci deve dire il nome di chi glielo ha nascosto) oppure lo ha visto e ha deciso di richiedere altre informazioni, cioè di prendere tempo, com'è nella sua indole. Di certo le due versioni insieme non possono stare: o il verbale è sparito o c'era e non è stato ritenuto sufficiente. Tertium non datur.Che la versione del capo del governo faccia acqua da tutte le parti lo dimostrano anche le dichiarazioni che egli stesso rese davanti al Parlamento alla fine di marzo, quando in piena emergenza Covid, addossò al Comitato tecnico scientifico la decisione della chiusura di tutto il Paese. Dopo aver tardato a mettere in isolamento i paesi della Bergamasca, Conte prima prese tempo, poi diede il via libera alla zona arancione per l'intera Lombardia, quindi, sulla spinta delle pressioni, adottò il lockdown per il resto del Paese. Così, invece di intervenire in tempo, il governo lasciò correre il virus decidendo una misura estrema solo sei giorni più tardi, quando ormai l'epidemia dilagava e gli ospedali rischiavano il collasso. Nei momenti difficili, Conte ha fatto dell'arte del rinvio una sua cifra. Ogni volta che si è trovato in difficoltà o che è stato messo alle strette da contrasti all'interno della maggioranza, il presidente del Consiglio ha sempre preso tempo. Peccato che in questo caso non si trattasse di decidere fra una richiesta di poltrone di Matteo Renzi e una misura voluta da Nicola Zingaretti. Nel caso in questione bisognava decidere in fretta per salvare vite umane ed evitare il disastro economico. Ma forse questo era un impegno troppo gravoso per un avvocato del popolo abituato a mediare e a dirimere i conflitti rinviando le decisioni. Sì, nonostante egli avesse citato la celebre frase di Winston Churchill per darsi coraggio nell'ora più buia, quella delle scelte, decidere non era cosa per lui. Oggi però, trascorsa l'emergenza, emergono gli errori e nascondersi dietro le parole e le scuse di non aver saputo non servirà a nulla. Se avesse l'orgoglio del ruolo oggi Conte riferirebbe al Parlamento, ma dubitiamo che ciò avvenga. Il premier cercherà di resistere. Soprattutto continuerà a negare contro ogni evidenza. Anche quella dei fatti. Per lo meno fino a che, per convenienza e per paura delle conseguenze, la sua maggioranza glielo consentirà.
Jose Mourinho (Getty Images)