2020-05-16
Conte ci allenta il guinzaglio ma dovremo girare col metro
Di chiaro c'è solo che sulla riapertura del Paese il governo non ha le idee chiare. E di conseguenza non possono averle nemmeno le task force e gli uffici che dovrebbero dettare le regole per garantire la sicurezza degli italiani. Prendete per esempio le norme di distanziamento sociale. Secondo le bozze del cosiddetto decreto apertura, i sindaci dovrebbero disporre la chiusura delle aree pubbliche dove non è garantita almeno la distanza di un metro. Tradotto per noi comuni mortali significa che, qualora in un parco due persone si sedessero su una panchina a una distanza inferiore al metro, il capo giunta avrebbe l'obbligo di mandare i vigili urbani a far sgomberare tutti, transennando il parco. Stessa norma sui mezzi pubblici: chi sale deve mantenere lo spazio di un metro dagli altri passeggeri. E però ciò che vale in un giardino pubblico o su un tram non vale in una chiesa. Già, perché secondo la norma, i fedeli durante la messa dovranno rimanere a una distanza di almeno un metro e mezzo, altrimenti - immagino - il parroco potrebbe incorrere in una multa o, peggio, nella chiusura della cattedrale. Perché su una panchina si possa chiacchierare a un metro uno dall'altro e su una panca, mentre si prega, si debba mantenere una distanza di sicurezza di almeno un metro e mezzo, nessuno lo sa. Così come nessuno sa dire come mai il regolamento preveda che dal barbiere si debba stare lontani almeno due metri. Chiacchierare a un metro, pregare a uno e mezzo e farsi tagliare i capelli o la barba a due? Ma l'escalation a che cosa è dovuta? Se si sta in fila per rifarsi l'acconciatura o se si è seduti su una poltroncina sotto il casco del parrucchiere si rischia di più che se ci si inginocchia per pregare? E che dire delle disposizioni che riguardano ristoranti e spiagge, dove a quanto pare il distanziamento sociale prevede una misura minima di due metri se si consuma un pasto e di cinque metri se si prende il sole? Al parco sulla panchina basta un metro e sulla spiaggia, sdraiati su un lettino, il metro si moltiplica per cinque? Di sicuro gli scienziati che consigliano Giuseppe Conte avranno le loro buone ragioni, tuttavia si fatica a capire quale logica detti le condizioni che poi vengono emanate per decreto. Ma non ci sono solo le astruse regole delle distanze, perché è l'intera burocrazia statale che si sta sbizzarrendo nello studio di come complicare la vita dei cittadini, i quali già provati dalla pandemia e dagli arresti domiciliari, adesso dovrebbero assoggettarsi a mille indicazioni. Un esempio di come l'apparato pubblico stia contribuendo a non far capire più niente lo fornisce l'agenzia delle Dogane e dei monopoli, la quale ha addirittura pubblicato una guida per lo sdoganamento delle mascherine, un manuale talmente complicato e rigoroso che sta contribuendo a bloccare alle frontiere le importazioni di dispositivi di protezione. Ma che cosa prevedono le nuove disposizioni? Per esempio che il marchio CE, cioè la certificazione di sicurezza prevista nei Paesi Ue, sia sulla confezione delle mascherine, ma non sulla mascherina stessa. Dunque, se il simbolo non è applicato nel posto giusto «occorre inviare apposita autocertificazione all'Istituto superiore di Sanità come da articolo 15, comma 2 del Dl 17 marzo 2020, numero 16 e attendere la pronuncia». Oppure si può sdoganare, ma non vendere. Che in altri Paesi, per esempio la Cina, cioè uno dei principali produttori di mascherine, ma anche negli Stati Uniti o in Australia, gli standard di sicurezza abbiano una denominazione diversa da quella usata in Europa e anziché il simbolo CE si usi N95 o KN95, ovviamente non ha assolutamente sfiorato il burocrate, il quale ha emanato le disposizioni mettendosi l'anima in pace anche se il nuovo indirizzo rischia di bloccare l'arrivo dei dispositivi di sicurezza. Certo, di falsari ce ne sono tanti in circolazione, soprattutto in Cina, e dunque è giusto usare ogni precauzione, soprattutto quando c'è di mezzo la salute. Il problema è che anche quando le mascherine sono targate CE come vuole la legge, per consegnarle alle aziende e agli ospedali le dogane chiedono un'autocertificazione in cui si dichiari, prima ancora di aver preso visione della merce, la regolarità della certificazione. Insomma, il classico modulo che piace tanto agli uffici statali, che poi va inviato a una casella di posta certificata valida per tutto il territorio nazionale. «Le richieste di validazione dei dpi», spiega una circolare, «saranno prese in carico da un team di tecnici multidisciplinari e gestite amministrativamente dalla direzione nazionale ricerca». Chiaro il concetto? Se vi servono le mascherine, per il personale sanitario o per distribuirle in farmacia, dovete non solo trovarle, pagare e importarle, ma poi dovete fare domanda e mettervi comodi in attesa di una risposta. Cioè: campa mascherina… che il Covid corre. Forse non ci ammaleremo di coronavirus, ma di burocrazia e di follia di certo sì. Ps. Qualche cervellone è riuscito a complicare anche il bonus per l'acquisto dei monopattini elettrici. Per riceverlo infatti bisognerà superare un percorso a ostacoli e poi, una volta giunti a destinazione, si otterrà un credito in un «borsellino virtuale» che potrà essere speso in abbonamenti ai mezzi pubblici. Ovvio, no? Uno va con il monopattino in città e la città lo ripaga con un bonus per prendere l'autobus. Applausi al burocrate e a chi scrive e approva i decreti.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
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