Donald Trump vara la commissione per la tutela della libertà religiosa, nominando tra i membri l’arcivescovo Timothy Dolan, oppositore del patto con Pechino. Gli amici del Dragone sono divisi: cala la fiducia in Pietro Parolin, Xi Jinping punta su Luis Antonio Tagle.Si intensifica lo scontro tra Stati Uniti e Cina in vista del prossimo conclave. Secondo Vatican News, tra gli argomenti affrontati ieri dai cardinali durante le congregazioni generali, c’è stato anche quello delle «Chiese d’Oriente, la loro sofferenza e testimonianza». Non si può quindi escludere che, nell’occasione, i porporati abbiano affrontato (anche) uno dei lasciti principali del pontificato di Francesco: quello del controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi. Un’intesa il cui principale regista è stato il cardinale Pietro Parolin e che è stata appoggiata anche da vari gruppi diventati particolarmente potenti sotto il pontefice defunto, come la Compagnia di Gesù e la Comunità di Sant’Egidio.Il punto è che il mondo cattolico filocinese non sembra al momento troppo compatto. Mercoledì, la rivista dei gesuiti americani, America Magazine, ha riportato che, durante le congregazioni, il cardinale Beniamino Stella avrebbe «attaccato» papa Francesco per aver coinvolto eccessivamente i laici nel governo della Chiesa: secondo la testata, molti cardinali avrebbero ritenuto la critica «inquietante» e sarebbero addirittura rimasti «sbalorditi». Non dimentichiamo d’altronde che Jorge Mario Bergoglio apparteneva alla Compagna di Gesù. E questo contribuisce a spiegare l’irritazione espressa da America Magazine, la quale, pur non menzionando nell’articolo il dossier cinese, ha voluto sottolineare come l’ultraottantenne Stella sia un «sostenitore» di Parolin. Quel Parolin che, assieme ai gesuiti, è stato tra i principali fautori della distensione della Santa Sede nei confronti di Pechino. Ciò lascia quindi intendere che il partito filocinese sia meno coeso di quanto possa apparire.Tra l’altro, giovedì, la testata statunitense The Pillar ha pubblicato un articolo significativamente intitolato: «Parolin potrebbe non essere il candidato preferito dalla Cina per il conclave». Se ciò fosse confermato, potrebbero emergere altri nomi. Pensiamo al cardinale Luis Antonio Tagle: assai vicino a Bergoglio e fautore dell’accordo sino-vaticano, ha in passato avuto rapporti con la Compagnia di Gesù. Matteo Zuppi, anche lui favorevole alla distensione con Pechino, gioca a sua volta un’altra partita, per quanto gli storici legami con Sant’Egidio possano finire con il ritorcerglisi contro in sede di conclave.Insomma, non sembra esserci un blocco filocinese compatto. Non è inoltre escludibile che i porporati pro Pechino si stiano ritrovando in una situazione scomoda. È ormai noto che la Repubblica popolare ha più volte violato l’accordo con la Santa Sede. Così come è noto che, pochi giorni fa, in piena sede apostolica vacante, le autorità cinesi abbiano permesso l’«elezione» di due vescovi ausiliari. Tutto questo, senza trascurare che, negli ultimi anni, Xi Jinping ha sottoposto i cattolici della Repubblica popolare a un processo d’indottrinamento, per non parlare poi dei prelati arrestati.Se il «partito cinese» è in difficoltà, gli Stati Uniti stanno compiendo le loro mosse. L’altro ieri, Donald Trump ha istituito una commissione per la libertà religiosa. È vero che si tratta di un organo principalmente finalizzato a salvaguardare il Primo emendamento all’interno degli Stati Uniti. Non va tuttavia trascurato che la prima amministrazione Trump criticò l’accordo sino-vaticano proprio in nome della tutela della libertà religiosa. Una posizione, questa, ripresa dall’ambasciatore americano in pectore presso la Santa Sede, Brian Burch, il quale, durante l’audizione al Senato per la ratifica della sua nomina a inizio aprile, ha detto di ritenere importante «che la Santa Sede mantenga un atteggiamento di pressione sul governo cinese in merito alle violazioni dei diritti umani, in particolare alla persecuzione delle minoranze religiose, compresi i cattolici».Creando questa nuova commissione, Trump ha quindi lanciato un duplice segnale. Primo: la tempistica non è casuale, visto che l’organo è stato istituito a pochi giorni dall’avvio del conclave. In secondo luogo, Trump ha inserito tra i suoi componenti anche dei cattolici, come l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, il quale è tra i cardinali elettori e a cui lo stesso Trump, pochi giorni fa, aveva dato una sorta di endorsement ufficioso. Non dimentichiamo che Dolan è uno dei porporati più critici dell’accordo tra Cina e Santa Sede. E che, oltre a essere papabile, potrebbe ritagliarsi un ruolo di «regista» all’interno della Sistina.Ma c’è chi teme le mosse di Trump. «Papa Francesco è stato l’anti Trump. Non politicamente. Ma come visione religiosa e universale», ha dichiarato, mercoledì, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, sottolineando che il presidente americano sarebbe appoggiato dagli «evangelicali» fissati con la teologia della prosperità. «È un movimento del tutto diverso dal Papa di Roma», ha sentenziato. Riccardi, che si è recentemente lamentato dei giornalisti «che non studiano», dovrebbe tuttavia sapere che, nel 2024, Trump ha conquistato la maggioranza del voto cattolico (il 15% in più rispetto a Kamala Harris). Potranno non andare a genio a Riccardi, ma i cattolici pro Trump esistono. Così come esiste quella Chiesa statunitense che, in gran parte, è ancora interessata alla difesa dei «valori non negoziabili». Ieri l’ambasciata di Francia presso la Santa Sede ha risposto alle critiche sul pranzo di Emmanuel Macron con i cardinali francesi a Roma: «Si è conformato agli usi repubblicani in vigore e rispettati dai suoi predecessori dopo i funerali di un Papa. Queste manipolazioni dell'informazione non sono degne».
Roberto Burioni, Matteo Bassetti, Massimo Galli (Imagoeconomica)
Riguardo pandemia, Russia e ambiente le mistificazioni sulle nostre reti in questi anni hanno superato quelle dei britannici. Però nessuno ha chiesto scusa per aver messo sul piedistallo i vari Massimo Galli e Roberto Burioni. Anzi, ora oscurano il dietrofront di Bill Gates sul clima Il Garante della Privacy non si dimette. E l’Ue fa un altro passo per controllare l’informazione.
No, la Rai non è la Bbc. E neppure le altre reti tv. Ma forse sono peggio. I vertici della tv inglese si sono dimessi per aver diffuso notizie infondate e di parte, sia su Trump che su Hamas e pure sul gender. In un caso addirittura i cronisti hanno manipolato i discorsi del presidente americano. Ma non è che in Italia, quando c’è da accreditare una tesi che non ha corrispondenza con la realtà, ci vadano poi molto più leggeri. È sufficiente pensare al periodo del Covid: quante balle abbiamo sentito in televisione, ribadite con sicumera non soltanto da presunti esperti, ma anche da illustri colleghi? Qualcuno di loro si è dimesso?
Il Maestro, nella seconda puntata del podcast, svela i segreti della direzione d’orchestra, che tramanda alle giovani bacchette grazie all’Italian Opera Academy, in arrivo a Milano. E, da Mozart a Verdi, affronta il tema del gioco offerto dai significati nascosti dei libretti.
L'attacco al gasdotto Nord Stream (Getty)
I conflitti sono fatti anche di inganni, come nel caso del sabotaggio del Nord Stream. Mosca denuncia l’ideazione di un piano per far sconfinare un suo caccia in un Paese occidentale e attivare l’Alleanza.
Oltre che da morti e distruzioni, le guerre sono accompagnate dalle menzogne. Le battaglie, infatti, non si combatto no solo con bombe, carrarmati, aerei e navi, ma anche con gli inganni. Ne abbiamo avuto prova recente dall’indagine della Procura tedesca sull’attentato al gasdotto Nord Stream, ma questa forse non è la sola, perché altri complotti sembrano emergere. Cominciamo però dal primo. Quando un ordigno squarciò le condotte che dalle sponde del Mar Baltico trasportavano gas fino in Germania, nessuno si assunse la paternità dell’operazione. Tuttavia, giornali e tv accusarono Mosca di aver organizzato una specie di auto attentato per paralizzare l’economia europea.
Bbc (Getty)
Il caso dei discorsi manipolati del presidente Usa non è isolato. Come quando la tv britannica elogiava il latte prodotto dai trans.
La Bbc è sempre più nell’occhio del ciclone. Eppure, nonostante alcune sue condotte controverse, c’è chi continua a difenderla a spada tratta. Ma andiamo con ordine. Citando un «enorme danno reputazionale e finanziario», Donald Trump ha minacciato di fare causa per un miliardo di dollari all’emittente britannica, a meno che essa non ritratti le «dichiarazioni diffamatorie», contenute in un documentario su di lui trasmesso l’anno scorso. «I vertici della Bbc, incluso Tim Davie, il capo, si sono dimessi o sono stati licenziati perché sono stati sorpresi a “manipolare” il mio ottimo (perfetto) discorso del 6 gennaio», ha dichiarato il presidente americano, per poi aggiungere: «Grazie al Telegraph per aver smascherato questi “giornalisti” corrotti. Sono persone molto disoneste che hanno cercato di influenzare le elezioni presidenziali. Oltretutto, provengono da un Paese straniero, che molti considerano il nostro alleato numero uno. Che cosa terribile per la democrazia!». Ricordiamo che domenica, il direttore generale della Bbc, Tim Davie, e il suo Ceo, Deborah Turness, hanno rassegnato le proprie dimissioni, dopo che il Telegraph ha pubblicato un rapporto interno in cui emergevano seri problemi di accuratezza da parte dell’emittente.






