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2019-05-11
Con l’inganno della «droga dolce» l’Occidente avvelena i suoi figli
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Ne ha fatti fuori più la cannabis che una guerra. Certo, non sono tutti morti. Però nello sviluppo di difficoltà scolastiche, nel lavoro, nelle disabilità mnemoniche, problemi cognitivi, capacità d'iniziativa, tendenza alla paranoia, la cannabis oggi tanto glorificata e di moda ha sempre avuto un ruolo centrale, da tempo assolutamente evidente e documentato da tutte le agenzie sanitarie nazionali e internazionali. Quando scrissi Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita, nel 2007, a uso e consumo dei più giovani, speravo che il problema sarebbe stato superato di lì a poco, sia da interventi legislativi che mettessero cannabis e derivati realmente fuori legge, sia soprattutto da campagne educative che spiegassero ai ragazzini i pericoli che correvano. Non fu fatta né l'una né l'altra cosa. È solo da pochi anni, per dire, che polizia e carabinieri sono autorizzati a verificare se il guidatore coinvolto in un incidente ha fatto uso della droga (come è spessissimo). L'informazione nelle scuole, del tutto assente per anni, è scarsissima anche oggi, non sistematica, sabotata dai molti insegnanti che ne fanno uso essi stessi e non sostenuta dai presidi se non da pochi eroi (soprattutto eroine).
Ed ora, proprio mentre arrivano i nuovi gravissimi dati dei risultati della liberalizzazione in molti Stati negli Usa (aumento esponenziale degli incidenti, nel consumo di droga, negli episodi psichiatrici, nessuna diminuzione nello spaccio illegale che ha tranquillamente diminuito i prezzi, tanto ci guadagna sempre), arrivano nelle sfinite terre d'Europa i trendy shop della cannabis light. Decine di migliaia di esercizi spuntati come funghi in tutta Italia, accompagnati da campagne commerciali per l'iniziazione al business, riviste (spesso stampate all'estero in lingua italiana, con indirizzi introvabili) per illustrare i vari prodotti di accompagnamento (resine, profumi, eccetera), invitanti guide al mondo dello sballo light, fiere con sindaci democratici e fascia tricolore.
È la versione aggiornata del mondo della «droga dolce» con cui la cannabis era stata lanciata negli anni della vita peace and love. Che poi tanto light non è perché, come è tipico della cannabis fin dall'inizio, può essere leggera come la marijuana del prato di casa, via via salendo fino agli impasti e alle resine più potenti. Grazie alle quali uno poi si butta dalla finestra credendo di poter volare, o tira fuori un machete e stacca la testa all'amico seduto accanto a lui sul divano (tutti episodi realmente avvenuti, più volte, e documentati. Più dalla stampa straniera che da quella italiana, fino a non molto tempo fa distrattissima sul tema).
D'altra parte, questa storia della droga dolce avrebbe dovuto impensierirci da subito. L'ultima cosa che va detta a un adolescente è che la vita sia dolce: è come tagliargli le gambe e la voglia e la forza di correre. È ciò che poi è effettivamente accaduto: i figli della cannabis non hanno nessuna voglia di correre e di fare fatica. Come gli hikikomori (originari del Giappone, ma ormai molto presenti anche qui) non vogliono competere. Ma mentre quelli si accontentano del piatto passato dalla mamma dalla porta nella loro cameretta, questi vogliono che l'intera società si adatti a loro, accettando i loro tempi, stili di vita, pigrizie e paranoie.
È la droga della noia, del lamento e della pretesa. E, naturalmente della bugia, con gli altri e con sé stessi. È inoltre il passaggio obbligato verso le altre, più dure: oltre l'80% di chi «si fa» più tardi di roba forte è prima passato dalla noia vanitosa della cannabis. Certo è antieroica, come hanno spesso notato, lodandola, fini pensatori sufficientemente ricchi da poter accantonare ogni eroismo. Ma è, appunto, molto costosa. Soprattutto per la comunità che quando hai più di 50 anni (come dimostrano recenti statistiche americane) deve poi mantenerti in tutto e per tutto. Perché non hai un lavoro, non sei autosufficiente, non ti muovi, hai il fegato in pessimo stato e il cervello in pappa. Soprattutto la memoria, che hai cominciato a distruggere da subito, quando hai cominciato prima dei 15 anni, l'età in cui proprio la memoria è la funzione che ti permette di mettere un mattone sopra l'altro per costruire la tua personalità.
Per vincere la guerra della distruzione dell'Occidente, la battaglia della cannabis, droga scema dalla quale si passa a quelle serie, è la prima da vincere, altrimenti è meglio lasciar stare (le altre, secondo il sottoscritto, sono quella delle autonomie, senza le quali non c'è la terra sotto i piedi, e quella della paternità, senza la quale non c'è l'io e non c'è la vita). Bravo Matteo Salvini se deciderà di combatterla davvero: perché non sarà affatto uno scherzo.
«La canapa light è la porta d’ingresso a eroina e coca»
Un business stimato in 7 miliardi di euro l'anno a livello mondiale e rivendite che proliferano ovunque, dalle grandi città ai piccoli centri. Sono gli effetti della commercializzazione della cannabis light, la marijuana considerata legale perché contenente il principio attivo inferiore allo 0,6%. La legge 242 del 2016 ha di fatto sdoganato l'uso di questa sostanza, purché venga utilizzata per finalità terapeutiche, cosmetiche, alimentari, industriali e relative alla bioedilizia. L'unico uso che la norma non contempla (ma neanche vieta) è quella ricreativa, che però è anche il segreto del suo successo. E così oggi la canapa con Thc legale è reperibile ovunque, pure alle macchinette self service. Dove anche i minorenni possono acquistarla eludendo i divieti. «Siamo di fronte a uno sdoganamento delle droghe leggere, una deriva molto pericolosa», avverte Antonio Boschini, vicepresidente di San Patrignano e responsabile medico della comunità di recupero.
Ma questa cannabis fa male come quella tradizionale?
«Questo non si sa con certezza. Si tratta di una sostanza che contiene un principio attivo inferiore, è un po' come le bevande poco alcoliche. Non fanno particolarmente male, a meno che non si esageri. Ma se si beve troppo si va incontro a conseguenze dannose. La stessa cosa avviene con la canapa. Noi abbiamo molte riserve e perplessità. Non solo per i pericoli connessi, ma anche perché siamo di fronte a una precisa strategia di mercato: si sta creando il terreno fertile nel quale se queste sostanze sono sdoganate, e diventa normale comprarle, allora è più facile legalizzare anche tutte le altre. Si tenta di creare del glamour attorno alla cannabis, anche perché il giro d'affari è già enorme».
Qual è il maggiore pericolo?
«Da tempo è passato il messaggio che la cannabis abbia un effetto positivo non solo dal punto di vista medico, ma anche terapeutico. Si tratta di cose diverse: dire che l'utilizzo medico è positivo significa affermare che alcune patologie possono essere curate grazie a questa sostanza, il che oltretutto non è ancora stato scientificamente provato. Dire invece che la cannabis può avere un uso terapeutico significa ammettere che fa bene a tutti, a prescindere dalla patologia. Adesso con la cannabis light questo messaggio è ulteriormente rafforzato».
Ultimamente sono arrivati anche i self service, che permettono di acquistare cannabis 24 ore su 24…
«Queste macchinette dal mio punto di vista sono assolutamente illegali. La legge parte dal presupposto che questa sostanza possa essere acquistata per finalità industriali, comunque non umane. Allora mi chiedo a cosa servano questi dispositivi nei centri delle città. Dovrebbero sparire immediatamente. Di base intorno ai negozi che vendono canapa ci sono molte ambiguità, perché nessun esercente è in grado di controllare che uso faccia il cliente di ciò che acquista. Anzi, spesso i commercianti sono complici. C'è una finzione di base, intorno alla quale è urgente fare chiarezza».
Cosa la preoccupa di più?
«La cannabis spesso è la prima droga che una persona sperimenta. Molti poi passano a sostanze pesanti. Il rischio reale è che la canapa light possa rappresentare il precursore di cose ben più pericolose».
Anche i minorenni hanno accesso abbastanza facilmente....
«Anche questa è una situazione illegale e molto dannosa. Non si può accettare che queste sostanze siano acquistabili da ragazzini, eludendo i pochi controlli che ci sono. L'età media del primo contatto con la droga oggi è a 14-15 anni».
Condivide il giro di vite del ministro dell'Interno, Matteo Salvini?
«Nella parte che riguarda i negozi di cannabis light sì. Bisogna fare chiarezza e arginare il fenomeno. Questi punti vendita sono dannosi anche da un punto di vista culturale, perché di fatto vanificano qualunque sforzo di prevenzione. Bisogna invece ricordare che questa sostanza è una droga a tutti gli effetti, e con il tempo può portare a stupefacenti che uccidono. L'utenza di San Patrignano è composta da persone con problemi di cocaina ed eroina principalmente, ma il 98% ha cominciato proprio con la cannabis».
Esiste la possibilità che usando questa cannabis light si diventi dipendenti?
«Non abbiamo dati al riguardo perché il fenomeno è nuovo. Ma sappiamo per certo che può innescare l'uso di altre droghe. Non ho mai visto nessuno che si fuma una canna e che non cerca lo sballo».
Insomma, siamo di fronte a un tentativo di rendere legale la droga?
«Assolutamente sì. Inoltre questa sostanze sono diventate un business che ha creato una lobby che spinge verso la legalizzazione e ha i mezzi per farlo. Forse ci si aspetta che nel breve tempo anche la cannabis più potente potrà essere commercializzata e intanto si crea una rete di vendita rivolta a questa clientela».
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Nonostante le tragiche conseguenze della liberalizzazione negli Usa, l'Italia rinuncia a informare i ragazzi sui pericoli della cannabis. Che provoca danni irreparabili a livello fisico e psichico. Così si uccide il futuro.«La canapa light è la porta d'ingresso a eroina e coca». Il vicepresidente di San Patrignano Antonio Boschini: «Questo sdoganamento della marijuana sta vanificando tutti gli sforzi fatti nella prevenzione».Lo speciale comprende due articoli.Ne ha fatti fuori più la cannabis che una guerra. Certo, non sono tutti morti. Però nello sviluppo di difficoltà scolastiche, nel lavoro, nelle disabilità mnemoniche, problemi cognitivi, capacità d'iniziativa, tendenza alla paranoia, la cannabis oggi tanto glorificata e di moda ha sempre avuto un ruolo centrale, da tempo assolutamente evidente e documentato da tutte le agenzie sanitarie nazionali e internazionali. Quando scrissi Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita, nel 2007, a uso e consumo dei più giovani, speravo che il problema sarebbe stato superato di lì a poco, sia da interventi legislativi che mettessero cannabis e derivati realmente fuori legge, sia soprattutto da campagne educative che spiegassero ai ragazzini i pericoli che correvano. Non fu fatta né l'una né l'altra cosa. È solo da pochi anni, per dire, che polizia e carabinieri sono autorizzati a verificare se il guidatore coinvolto in un incidente ha fatto uso della droga (come è spessissimo). L'informazione nelle scuole, del tutto assente per anni, è scarsissima anche oggi, non sistematica, sabotata dai molti insegnanti che ne fanno uso essi stessi e non sostenuta dai presidi se non da pochi eroi (soprattutto eroine). Ed ora, proprio mentre arrivano i nuovi gravissimi dati dei risultati della liberalizzazione in molti Stati negli Usa (aumento esponenziale degli incidenti, nel consumo di droga, negli episodi psichiatrici, nessuna diminuzione nello spaccio illegale che ha tranquillamente diminuito i prezzi, tanto ci guadagna sempre), arrivano nelle sfinite terre d'Europa i trendy shop della cannabis light. Decine di migliaia di esercizi spuntati come funghi in tutta Italia, accompagnati da campagne commerciali per l'iniziazione al business, riviste (spesso stampate all'estero in lingua italiana, con indirizzi introvabili) per illustrare i vari prodotti di accompagnamento (resine, profumi, eccetera), invitanti guide al mondo dello sballo light, fiere con sindaci democratici e fascia tricolore. È la versione aggiornata del mondo della «droga dolce» con cui la cannabis era stata lanciata negli anni della vita peace and love. Che poi tanto light non è perché, come è tipico della cannabis fin dall'inizio, può essere leggera come la marijuana del prato di casa, via via salendo fino agli impasti e alle resine più potenti. Grazie alle quali uno poi si butta dalla finestra credendo di poter volare, o tira fuori un machete e stacca la testa all'amico seduto accanto a lui sul divano (tutti episodi realmente avvenuti, più volte, e documentati. Più dalla stampa straniera che da quella italiana, fino a non molto tempo fa distrattissima sul tema). D'altra parte, questa storia della droga dolce avrebbe dovuto impensierirci da subito. L'ultima cosa che va detta a un adolescente è che la vita sia dolce: è come tagliargli le gambe e la voglia e la forza di correre. È ciò che poi è effettivamente accaduto: i figli della cannabis non hanno nessuna voglia di correre e di fare fatica. Come gli hikikomori (originari del Giappone, ma ormai molto presenti anche qui) non vogliono competere. Ma mentre quelli si accontentano del piatto passato dalla mamma dalla porta nella loro cameretta, questi vogliono che l'intera società si adatti a loro, accettando i loro tempi, stili di vita, pigrizie e paranoie. È la droga della noia, del lamento e della pretesa. E, naturalmente della bugia, con gli altri e con sé stessi. È inoltre il passaggio obbligato verso le altre, più dure: oltre l'80% di chi «si fa» più tardi di roba forte è prima passato dalla noia vanitosa della cannabis. Certo è antieroica, come hanno spesso notato, lodandola, fini pensatori sufficientemente ricchi da poter accantonare ogni eroismo. Ma è, appunto, molto costosa. Soprattutto per la comunità che quando hai più di 50 anni (come dimostrano recenti statistiche americane) deve poi mantenerti in tutto e per tutto. Perché non hai un lavoro, non sei autosufficiente, non ti muovi, hai il fegato in pessimo stato e il cervello in pappa. Soprattutto la memoria, che hai cominciato a distruggere da subito, quando hai cominciato prima dei 15 anni, l'età in cui proprio la memoria è la funzione che ti permette di mettere un mattone sopra l'altro per costruire la tua personalità. Per vincere la guerra della distruzione dell'Occidente, la battaglia della cannabis, droga scema dalla quale si passa a quelle serie, è la prima da vincere, altrimenti è meglio lasciar stare (le altre, secondo il sottoscritto, sono quella delle autonomie, senza le quali non c'è la terra sotto i piedi, e quella della paternità, senza la quale non c'è l'io e non c'è la vita). 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La legge 242 del 2016 ha di fatto sdoganato l'uso di questa sostanza, purché venga utilizzata per finalità terapeutiche, cosmetiche, alimentari, industriali e relative alla bioedilizia. L'unico uso che la norma non contempla (ma neanche vieta) è quella ricreativa, che però è anche il segreto del suo successo. E così oggi la canapa con Thc legale è reperibile ovunque, pure alle macchinette self service. Dove anche i minorenni possono acquistarla eludendo i divieti. «Siamo di fronte a uno sdoganamento delle droghe leggere, una deriva molto pericolosa», avverte Antonio Boschini, vicepresidente di San Patrignano e responsabile medico della comunità di recupero. Ma questa cannabis fa male come quella tradizionale? «Questo non si sa con certezza. Si tratta di una sostanza che contiene un principio attivo inferiore, è un po' come le bevande poco alcoliche. Non fanno particolarmente male, a meno che non si esageri. Ma se si beve troppo si va incontro a conseguenze dannose. La stessa cosa avviene con la canapa. Noi abbiamo molte riserve e perplessità. Non solo per i pericoli connessi, ma anche perché siamo di fronte a una precisa strategia di mercato: si sta creando il terreno fertile nel quale se queste sostanze sono sdoganate, e diventa normale comprarle, allora è più facile legalizzare anche tutte le altre. Si tenta di creare del glamour attorno alla cannabis, anche perché il giro d'affari è già enorme». Qual è il maggiore pericolo? «Da tempo è passato il messaggio che la cannabis abbia un effetto positivo non solo dal punto di vista medico, ma anche terapeutico. Si tratta di cose diverse: dire che l'utilizzo medico è positivo significa affermare che alcune patologie possono essere curate grazie a questa sostanza, il che oltretutto non è ancora stato scientificamente provato. Dire invece che la cannabis può avere un uso terapeutico significa ammettere che fa bene a tutti, a prescindere dalla patologia. Adesso con la cannabis light questo messaggio è ulteriormente rafforzato». Ultimamente sono arrivati anche i self service, che permettono di acquistare cannabis 24 ore su 24… «Queste macchinette dal mio punto di vista sono assolutamente illegali. La legge parte dal presupposto che questa sostanza possa essere acquistata per finalità industriali, comunque non umane. Allora mi chiedo a cosa servano questi dispositivi nei centri delle città. Dovrebbero sparire immediatamente. Di base intorno ai negozi che vendono canapa ci sono molte ambiguità, perché nessun esercente è in grado di controllare che uso faccia il cliente di ciò che acquista. Anzi, spesso i commercianti sono complici. C'è una finzione di base, intorno alla quale è urgente fare chiarezza». Cosa la preoccupa di più? «La cannabis spesso è la prima droga che una persona sperimenta. Molti poi passano a sostanze pesanti. Il rischio reale è che la canapa light possa rappresentare il precursore di cose ben più pericolose». Anche i minorenni hanno accesso abbastanza facilmente.... «Anche questa è una situazione illegale e molto dannosa. Non si può accettare che queste sostanze siano acquistabili da ragazzini, eludendo i pochi controlli che ci sono. L'età media del primo contatto con la droga oggi è a 14-15 anni». Condivide il giro di vite del ministro dell'Interno, Matteo Salvini? «Nella parte che riguarda i negozi di cannabis light sì. Bisogna fare chiarezza e arginare il fenomeno. Questi punti vendita sono dannosi anche da un punto di vista culturale, perché di fatto vanificano qualunque sforzo di prevenzione. Bisogna invece ricordare che questa sostanza è una droga a tutti gli effetti, e con il tempo può portare a stupefacenti che uccidono. L'utenza di San Patrignano è composta da persone con problemi di cocaina ed eroina principalmente, ma il 98% ha cominciato proprio con la cannabis». Esiste la possibilità che usando questa cannabis light si diventi dipendenti? «Non abbiamo dati al riguardo perché il fenomeno è nuovo. Ma sappiamo per certo che può innescare l'uso di altre droghe. Non ho mai visto nessuno che si fuma una canna e che non cerca lo sballo». Insomma, siamo di fronte a un tentativo di rendere legale la droga? «Assolutamente sì. Inoltre questa sostanze sono diventate un business che ha creato una lobby che spinge verso la legalizzazione e ha i mezzi per farlo. Forse ci si aspetta che nel breve tempo anche la cannabis più potente potrà essere commercializzata e intanto si crea una rete di vendita rivolta a questa clientela».
Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità
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Il nuovo rapporto Europol dipinge un quadro inquietante del traffico di migranti in Europa: reti criminali globali sempre più frammentate e tecnologiche, violenze estreme, sfruttamento sistematico e uso di intelligenza artificiale per gestire i flussi e massimizzare i profitti. Nonostante l’aumento dei controlli, le organizzazioni si adattano rapidamente, mentre le vittime - soprattutto donne - continuano a subire soprusi lungo rotte complesse e costose.
I network dediti al traffico di esseri umani stanno mostrando una flessibilità operativa mai osservata prima, sfruttando l’attuale disordine geopolitico come leva per moltiplicare i guadagni. È questa la fotografia inquietante che emerge dall’ultimo dossier pubblicato da Europol, che scandaglia nel dettaglio le modalità con cui le organizzazioni criminali reclutano, instradano e infine assoggettano migliaia di migranti intenzionati a entrare in Europa. Secondo l’agenzia europea, tali gruppi non esitano a impiegare violenze estreme, soprusi sistematici e pratiche di sfruttamento feroce pur di incassare somme che possono arrivare a decine di migliaia di euro per singola traversata. Come riportato da Le Figaro, il documento rappresenta il nono rapporto operativo del Centro europeo contro il traffico di migranti, organismo creato nel 2016 e oggi integrato in Europol. L’analisi si concentra in particolare sul 2024, ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi, e restituisce l’immagine di uno sforzo investigativo di vasta portata: 266 operazioni sostenute, 48 giornate di azione coordinate a livello internazionale e oltre 14.000 segnalazioni operative trasmesse tramite il sistema Siena, la piattaforma di scambio informativo tra le polizie europee. Un volume in forte crescita rispetto alle 2.072 comunicazioni del 2016, che conferma l’intensificarsi della pressione investigativa sulle reti di trafficanti a livello continentale.
Al di là dei numeri, il rapporto mette in luce una trasformazione strutturale del fenomeno. Europol individua come tendenza dominante la crescente internazionalizzazione delle organizzazioni criminali e la loro frammentazione funzionale, soprattutto sull’asse Europa–Nord Africa. Lungo le rotte migratorie, ogni fase del processo – dal reclutamento al trasferimento, fino allo sfruttamento finale – viene demandata a soggetti differenti, spesso ben radicati sul territorio. La direzione strategica, invece, si colloca frequentemente al di fuori dell’Unione Europea, una configurazione che consente alle reti di restare operative anche quando singoli segmenti vengono smantellati dalle autorità. Queste organizzazioni sono in grado di pianificare percorsi articolati: accompagnare migranti dalla Siria alla Francia, dal Marocco alla Spagna o dalla Russia alla Svezia; produrre documenti contraffatti in Pakistan e farli arrivare in Scandinavia; garantire sistemazioni temporanee considerate «sicure» in diversi Paesi europei. In alcuni casi, le reti arrivano persino a reperire donne destinate a matrimoni forzati. Un fenomeno già denunciato dalle Nazioni Unite in un rapporto diffuso alla fine del 2024, che segnalava rapimenti lungo le rotte africane e mediorientali, con vittime obbligate a sposare i propri sequestratori e a subire gravidanze imposte.
Secondo Europol, i trafficanti costruiscono vere e proprie strutture modulari, con cellule specializzate nel reclutamento, nel transito e nello sfruttamento delle persone. Non si tratta, inoltre, di gruppi limitati a una sola attività illecita: molte reti operano simultaneamente in più ambiti criminali. Il rapporto cita, ad esempio, un’organizzazione composta prevalentemente da cittadini cinesi, smantellata tra Spagna e Croazia nel dicembre 2024, coinvolta in sfruttamento sessuale, riciclaggio di denaro, frodi e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Le 33 vittime individuate erano state costrette a prostituirsi in diversi Paesi europei. Il dossier offre anche una mappatura dettagliata delle rotte migratorie e dei relativi costi. Arrivare a Cipro dalla Siria può comportare una spesa che va da poche centinaia fino a 10.000 euro, in base al livello di rischio e ai servizi inclusi. Il passaggio dalla Turchia all’Italia non scende sotto i 5.000 euro, mentre raggiungere la Finlandia partendo dalla Russia costa tra i 1.500 e i 5.000 euro. Le tratte più onerose restano quelle della Manica e del Mediterraneo occidentale tra Marocco e Spagna, dove le tariffe oscillano tra i 10 e i 20.000 euro. A questo si aggiunge un vero e proprio listino «accessorio»: documenti falsi, alloggi, voli, passaporti e perfino donne, valutate come merce con prezzi compresi tra i 1.000 e i 2.500 euro.
La gestione dei flussi finanziari rappresenta un altro nodo cruciale. Il denaro raramente transita attraverso i canali bancari tradizionali. I trafficanti fanno largo uso dell’hawala, un sistema informale basato sulla fiducia tra intermediari, che consente trasferimenti rapidi e difficilmente tracciabili. Negli ultimi anni, però, a questo meccanismo si sono affiancate - e in parte sostituite - le criptovalute. Europol segnala un ricorso crescente a broker specializzati, trasporto di contante e schemi di conversione digitale, seguiti dal reinvestimento dei proventi in attività apparentemente lecite come agenzie di viaggio o immobili.
Le nuove tecnologie permeano l’intero modello di business criminale. Alcune reti hanno replicato le logiche del marketing digitale, creando vere e proprie «accademie» online in cui i trafficanti più esperti addestrano i nuovi affiliati. L’intelligenza artificiale viene utilizzata per generare annunci multilingue, poi diffusi sui social network e su piattaforme di messaggistica criptata come Telegram, allo scopo di intercettare potenziali clienti. A complicare ulteriormente la risposta delle autorità è l’estrema rapidità con cui i trafficanti rimodulano le rotte in funzione dei controlli, delle crisi regionali e persino delle opportunità generate dai conflitti. Quando un corridoio viene messo sotto pressione da arresti o pattugliamenti, le reti spostano rapidamente uomini, mezzi e contatti su itinerari alternativi, frammentando il viaggio in micro-tratte affidate a intermediari diversi. Una strategia che riduce l’esposizione dei vertici e, allo stesso tempo, moltiplica le occasioni di abuso sui migranti, costretti a dipendere da una catena di soggetti spesso violenti e imprevedibili. In questo schema, il controllo non si esercita solo attraverso la forza fisica, ma anche tramite la coercizione psicologica: debiti gonfiati, minacce di abbandono, pressioni sulle famiglie e ricatti legati ai documenti diventano strumenti di dominio. Europol sottolinea inoltre come l’intreccio tra traffico di migranti e altri affari illeciti – dalla frode al riciclaggio, fino allo sfruttamento sessuale – generi un ecosistema in cui le vittime possono essere spostate da un mercato all’altro in base alla convenienza. Il capitolo più oscuro resta quello dedicato alla violenza, ormai elevata a vero e proprio modello economico. Le donne risultano le principali vittime. Secondo dati ONU, lungo la rotta del Mediterraneo centrale fino al 90% delle donne e delle ragazze subisce stupri o aggressioni sessuali. Molte sono costrette a «pagare» il viaggio offrendo prestazioni sessuali, spesso a più uomini, in cambio di una presunta protezione. Minacce, torture e ricatti si estendono anche alle famiglie rimaste nei Paesi d’origine, con l’obiettivo di estorcere ulteriori somme di denaro.
La Libia continua a rappresentare uno degli epicentri di questa brutalità. Rapporti internazionali documentano il ritrovamento di corpi di migranti uccisi, torturati o lasciati morire per fame e mancanza di cure, abbandonati in discariche, campi agricoli o nel deserto. La violenza viene impiegata anche all’interno delle stesse reti criminali come strumento di controllo dei territori e delle quote di mercato. Nonostante questo quadro, alcune misure di contrasto sembrano produrre risultati. Secondo Frontex, nel 2024 gli ingressi irregolari nell’Unione Europea sono scesi a 239.000, il livello più basso dal 2021. La rotta balcanica ha registrato un crollo del 78%, quella del Mediterraneo centrale del 59%. Altre direttrici, però, mostrano un andamento opposto: +14% sul Mediterraneo orientale e +18% lungo la rotta dell’Africa occidentale. In questo scenario, i Paesi UE hanno avviato un ulteriore irrigidimento delle politiche migratorie, aprendo anche all’ipotesi di trasferire i migranti in centri situati al di fuori dei confini europei. Un segnale che la partita resta aperta, mentre le organizzazioni criminali continuano a reinventarsi, spesso mantenendo un vantaggio operativo rispetto alle contromisure.
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