2022-07-21
«Con la ventilazione bambini a scuola senza le mascherine»
Francesco Vaia seppellisce il modello Speranza e chiede investimenti per ammodernare le aule. Ma, per colpa della politica, è tardi.Nelle aule scolastiche, la ventilazione meccanica controllata (Vmc) è un requisito indispensabile per la sicurezza degli studenti. Francesco Vaia, direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, lo va ripetendo da due anni: «Questi impianti hanno un’efficacia tre volte superiore alle mascherine nel proteggere dal contagio da Sars-CoV-2». Mesi fa, dall’Inmi era partito un appello: «Auspichiamo che il governo predisponga un “Piano Marshall” triennale per la messa a norma e l’adeguamento degli edifici scolastici». Ieri, nell’ennesimo invito a non perdere altro tempo, il professore ha detto: «Dimostriamo ancora una volta di essere un grande Paese, destiniamo una parte del Pil per una grande campagna d’autunno che ci consegni la ventilazione meccanica nelle scuole e liberi i bambini dalle mascherine». Resterà inascoltato, come ha scritto pochi giorni fa La Verità. Nella bozza delle linee guida fornite al Miur, il ministro della Salute Roberto Speranza ha fatto mettere che «l’utilizzo dei purificatori d’aria/sanificatori/igienizzatori non può sostituire i ricambi dell’aria esterna/ventilazione, l’uso della mascherina, il distanziamento fisico e le altre misure di barriera». Il messaggio da lungotevere Ripa è chiarissimo: non imputateci ritardi, tanto i dispositivi di protezione facciale resteranno. Dopo aver perso quasi quattro mesi per definire le specifiche tecniche degli impianti, e scaricando sui dirigenti scolastici l’ennesima incombenza, ovvero la verifica delle condizioni di quelli esistenti, Speranza pensa di cavarsela mantenendo comunque l’obbligo dei bavagli. Malgrado le evidenze scientifiche sull’importanza della ventilazione meccanica controllata e nonostante uno studio, condotto per la Regione Marche in collaborazione con la Fondazione Hume presieduta da Luca Ricolfi, abbia dimostrato che «per il rischio di trasmissione la Vmc ha una capacità di “contenere” il virus almeno doppia rispetto a quella del vaccino». Per il direttore dello Spallanzani è «ora di dire basta ai bambini con la mascherina, uno spettacolo che non vogliamo più vedere», invece per il ministro della Salute «è una valutazione che potremo fare solo quando avremo più chiaro il quadro epidemiologico». Si vive alla giornata, senza programmazione. Eppure la riapertura delle scuole è a settembre, impensabile proseguire con il protocollo «finestre aperte» e bavaglio in classe cercando di contenere in questo modo varianti e nuovi contagi. «Toglieremo le mascherine quando riterremo che il nostro vicino sarà al sicuro», è l’indefinita promessa del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, convinto che la mascherina non sia «un’imposizione, ma un atto di rispetto reciproco».E dov’è finito l’interesse per gli studenti italiani, proclamato con grande impeto dal premier Mario Draghi nel giorno in cui chiedeva la fiducia al Senato? Era il 17 febbraio 2021, l’ex governatore Bce sosteneva che «il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza». Istruzione e giovani sono i due principali investimenti produttivi da compiere, aveva dichiarato nel settembre 2017 al Trinity college di Dublino. «Vogliamo un’Italia sempre più aperta, soprattutto per i nostri ragazzi», comunicava nel febbraio di quest’anno. Giovani che hanno bisogno di istituti scolastici sicuri, quindi con impianti di ventilazione adeguati, per non restare chiusi a casa a seguire la didattica a distanza. «Capisco che voi abbiate sofferto tantissimo con la mascherina in classe. Soffro regolarmente quando me la metto», disse ai ragazzi della scuola media nel Veronese, durante la visita dello scorso maggio in cui la protezione facciale, invece, lui se l’era tolta. Aggiunse: «Avete rispettato le regole e grazie anche al vostro rispetto delle regole, ma anche soprattutto ai vaccini, spero proprio che con l’anno prossimo non ci sia più bisogno di mascherine. Spero proprio che la pandemia non ritorni». Ieri Draghi, nel suo discorso al Parlamento non ha riservato nemmeno due parole alle problematiche della scuola. Nessun cenno agli investimenti urgenti, alle migliorie necessarie per non tornare a settembre in aule troppo affollate, con l’incubo del distanziamento, delle mascherine che tolgono ossigeno e concentrazione agli studenti. «Dalle ferrovie alla banda larga, dagli asili nido alle case di comunità, dobbiamo impegnarci per realizzare tutti i progetti che abbiamo disegnato con il contributo decisivo delle comunità locali», è stata l’unica frase con almeno un riferimento ai servizi per l’infanzia, che sarebbe tra gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La parola scuola è stata pronunciata solo per autocompiacersi: «La mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del governo è senza precedenti e impossibile da ignorare. Ha coinvolto il Terzo settore, la scuola e l’università, il mondo dell’economia, delle professioni e dell’imprenditoria, lo sport. Si tratta di un sostegno immeritato, ma per il quale sono enormemente grato», ha chiosato con falsa modestia. Francesco Vaia, invitando a stanziare investimenti massicci per dotare tutte le scuole italiane di impianti di aerazione, ventilazione e sanificazione, ha mandato ben altro messaggio. Sarebbe «Un bel segnale per un Paese che riparte», l’ha definito. «Sono sicuro che gli italiani sarebbero ben felici di contribuire». Il governo non sembra interessato e tace.
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