2021-07-18
Grazie all’Ue pagheremo l’acciaio il 10% in più
Il balzello per i Paesi in black list sarà scaricato sui prezzi finali. Saliranno pure nichel e alluminio russi e ne risentirà persino la filiera abitativa. Una batosta che piace a Bruxelles per svalutare i debiti pubbliciL'abbiamo scritto più volte. Vale la pena ripeterlo. Il Recovery fund non sono soldi gratis. Sarà ripagato caro, da noi e dai nostri figli. E adesso che l'Ue ha approvato i nuovi schemi di transizione ecologica, la maschera cade una volta per tutte. «L'opposizione sarà fortissima», ha commentato l'altro ieri il commissario al Green deal, Frans Timmermans, presentando assieme a Ursula von der Leyen il piano Fit for 55, destinato a ridurre entro il 2030 le emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990, per arrivare alla neutralità carbonica nel 2050. Il percorso è definito in 13 iniziative politiche, basate sul principio che «chi più inquina, più paga», funzionale a disincentivare l'uso di sistemi produttivi inquinanti per sviluppare alternative sostenibili. «E dal momento che la transizione comporterà costi anche molto alti, a carico non solo delle grandi industrie ma anche delle famiglie a basso reddito, il piano prevede l'istituzione di un Fondo sociale per il clima da 70 miliardi in dieci anni». Beh l'opposizione al progetto non è un vezzo anti ambientalista, è un mero calcolo. L'Ue nel suo complesso è responsabile del 9% circa delle emissioni totali. Eppure ormai fa pagare alle proprie aziende 60 dollari per ogni tonnellate di CO2 emesso. La Cina che ha fatto finta di adeguarsi ha stabilito che la CO2 di Pechino al massimo può costare 8 dollari. Basterebbe questo per capire il cul de sac in cui ci stiamo infilando. Invece, no. I vertici dell'Ue sventolano il maxi fondo da 70 miliardi, che all'anno fa 7 miliardi. Cifra che divisa per 27 fa circa 250 milioni a testa. A fronte di questa elemosina i cittadini italiani ed europei dovranno sborsare euro sonanti in base all'Emission trading scheme, alias Ets. Un meccanismo punitivo destinato d'ora in avanti a coprire la totalità delle emissioni carboniche: nel settore delle abitazioni (caldaie, edifici non sostenibili che potranno quindi subire un aumento dei costi) e nel settore dei trasporti, con le automobili a combustione che entro il 2035 saranno fuori mercato, con gli aerei in decollo dall'Ue che entro il 2030 dovranno usare solo carburante verde, e con le navi che ne dovranno usare almeno il 50% entro il 2050. Tutte queste nuove tasse porteranno a mettere fuori mercato intere filiere europee. Basti pensare alle dichiarazioni del ministro Roberto Cingolani relative alla bomba messo sotto il cofano della Motor valley italiana. Purtroppo però la scelta di azzerare le emissioni avviata dall'Ue ha pensato bene di penalizzare anche il fronte fornitori e materie prime. Nasce così una nuova tassa. Si chiama Carbon border adjustment mechanism (Cbam), una carbon tax di frontiera per prodotti come acciaio, cemento, alluminio e fertilizzanti, «concepita per proteggere le aziende europee che sostengono i costi per i requisiti ambientali dalla concorrenza sleale delle aziende produttrici in Paesi privi». Scritta così rischia quasi di ingannare. Non c'è nulla di positivo. Purtroppo le aziende europee, comprese ovviamente le italiane, non hanno alternative. E non potranno trovare le materie prime in casa. La Russia ad esempio è fondamentale per l'approvvigionamento del nichel e dell'alluminio ma è nella lista nera. Solo che l'idea geniale del Cbam non tiene conto la tassa sarà assorbita dal prezzo e se vorremo continuare a trasformare per avere nostri prodotti dovremo comunque bussare a quelle porte extra Ue. Risultato. Noi pagheremo più caro tutto ciò che si produce con l'alluminio e il nichel. Ed è tanto. Società specializzate come T-Commodity hanno già calcolato che per via dei meccanismi dell'Ets l'acciaio costerà almeno il 10% in più, 100 euro aggiuntivi a tonnellata. E già il costo è schizzato a 1.000/1.200 euro per via dell'inflazione, delle mosse della Fed e dei restringimenti messi in atto da Pechino. In pratica, i prossimi anni vivremo forse in una Europa meno inquinata. Ma vivere sarà un lusso. D'altronde dovremo ripagare il Next generation Ue. «Questa tassa costituirà un'importante entrata per le nuove risorse proprie del bilancio europeo, che contribuirà a ripagare il debito di 750 miliardi per il finanziamento del Next generation Ue», è emerso chiaramente dall'ultima conferenza stampa, durante la quale con gioia la von der Leyen ha tenuto a precisare che il «Green deal europeo è ora un obbligo legale, non solo un'aspirazione politica». In realtà ci sono ancora almeno due passaggi politici e non ci resta che sperare negli americani. Difficile immaginare che anche l'amministrazione Usa si adegui a tali tasse e decida di martoriare le proprie aziende così. Se Joe Biden decidesse di sfilarsi nei fatti, forse qualche Stato Ue potrebbe trovare una spalla per farsi forza e uscire dal bluff. Purtroppo c'è poco da essere ottimisti. Gli Stati occidentali sono così indebitati e incapaci di gestire il welfare che l'unica strada che immaginano per non fare default è far svalutare i debiti con l'inflazione diretta e con quella indotta dalle nuove tasse verdi. Le Banche centrali sono così piene di asset che non possono svenderli: andrebbe a gambe all'aria l'intero sistema finanziario. Così non resta che svalutare tutte le ricchezze e alzare i prezzi dei beni. Il motto da stamparsi in testa sarà «ambiente e povertà». Fatta eccezione per coloro che potranno permettersi le dacie fuori città, come i funzionari del partito ai tempi dell'Urss.
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