2020-08-30
Con la leva dei tamponi e dei contagi l’emergenza si costruisce a tavolino
Nei mesi scorsi 28.000 test al giorno individuavano circa 3.200 positivi. Oggi ne vengono fatti 100.000 per trovarne meno della metà (e il 73% è senza sintomi). La bussola sono i morti, se non si fanno trucchi.Nel report sui decessi del 27 agosto il ministero della Salute ha dato indicazione di conteggiare come morti di Covid anche 11 individui «contagiati dal virus nei mesi scorsi ma nel frattempo negativizzatisi». Ed è così che dalle colonne della Verità i bravi Amendolara e Capezzone - che per primi hanno denunciato questa surreale aberrazione statistica assieme a poche altre voci sui social - hanno praticamente scoperto la sfera di cristallo sulla scrivania del ministro Roberto Speranza. In futuro avremo esattamente 208.224 morti di Covid ipotizzando con un certo margine di ragionevolezza che gli oltre 208.000 a oggi guariti prima o poi dovranno passare a miglior vita. In quel momento ci sarà un piddino qualunque dentro l'Iss che ci informerà che qualcuno di quei 208.000 sarà deceduto di Covid anche se magari sarà morto in un incidente. Un novello Winston per intendersi - protagonista del romanzo 1984 di George Orwell - impiegato al ministero della Verità con il compito di sbianchettare e correggere gli archivi e le notizie del passato pur di accontentare il governo.Ormai da settimane Giuseppi e il suo esecutivo stanno raccontando la storia di un'emergenza sanitaria che non c'è (più!) pur di non parlare di un'emergenza economica che è invece è dolorosamente presente (sempre di più!). Era il 27 aprile e Corrado Zunino dalle colonne di Repubblica scriveva che «Oggi abbiamo fatto 1.758.000 tamponi in 63 giorni». E i contagi individuati erano stati circa 200.000. In pratica fino a quel momento avevamo fatto mediamente 28.000 tamponi al giorno trovando 3.200 casi positivi sempre al giorno. Ieri abbiamo fatto invece quasi 100.000 tamponi o meglio 99.108 (vale dire quasi quattro volte di più di quanto facevamo nel pieno dell'emergenza) per trovare meno della metà dei positivi. Per l'esattezza 1.444 con un dettaglio niente affatto trascurabile. Mediamente solo il 27% dei soggetti positivi hanno sintomi; il rimanente 73% invece no, come riportato sempre dall'Iss. E ciò non vuol dire affatto che anche questi ultimi siano necessariamente veicolo di contagio. Lo spiega bene il dottor Paolo Spada dell'Humanitas research hospital: «La contagiosità inizia poco prima della comparsa dei sintomi e si esaurisce a circa dieci giorni. Questa è la ragione per cui tutto il mondo, tranne l'Italia, adotta il criterio clinico dei dieci giorni e ha abbandonato da tempo l'uso del tampone per sancire la guarigione del paziente».Chiudete gli occhi e immaginate che numeri avremmo avuto se nel pieno dell'emergenza avessimo fatto i 100.000 tamponi al giorno che facciamo oggi anziché 28.000 di allora. E senza ancora riaprirli immaginate che numeri avremmo oggi se anziché fare 100.000 tamponi al giorno nei facessimo otto volte tanto.I contagi sono insomma la diretta conseguenza del numero dei tamponi che facciamo. A marzo poi ogni 100 tamponi fatti trovavamo più di dieci pazienti positivi (non due come oggi, spesso asintomatici). Quasi sempre in condizioni critiche perché arrivavano in ospedale con i polmoni devastati. E solo allora veniva fatto il tampone. Oggi i positivi al tampone non superano il 2%. Spesso senza sintomi. Perché li cerchiamo giustamente con il lanternino, vale a dire con l'attività di screening o contact tracing; ti tampono cioè non perché hai sintomi, ma perché sei stato a diretto contatto con uno trovato positivo a sua volta. È di tutta evidenza quindi che i contagi non sono la metrica adeguata a valutare l'eventuale emergenza sanitaria, dal momento che dipendono solo e soltanto dal numero dei tamponi fatti. Solo i morti (ieri uno) o meglio i ricoveri danno invece un'indicazione più accurata degli effettivi carichi di lavoro cui è sottoposto il nostro sistema sanitario. Ieri i ricoveri ospedalieri sono ad esempio diminuiti di dieci unità, attestandosi a 1.168. Mentre i pazienti in terapia intensiva sono aumentati a 79 unità, ovvero 4.000 in meno rispetto al momento di massimo picco. Considerato che le strutture ospedaliere italiane -pubbliche e private accreditate - sono 1.000 in tutto, fanno poco più di un paziente ricoverato per ciascun complesso. Erano quasi 30 nel momento di massima emergenza. Senza poi considerare l'ennesimo non trascurabile dettaglio. Puoi entrare in ospedale per un intervento chirurgico programmato da tempo - ad esempio un'angioplastica o una prostatite come nel caso di Flavio Briatore - e vieni giustamente sottoposto a tampone perché qualora tu fossi positivo dovresti essere adeguatamente curato potendo contagiare altri pazienti immunodepressi presenti in struttura e il personale medico infermieristico che ti assiste. Ed ecco che in quel caso sarai catalogato come paziente ricoverato a causa Covid. Ma tu in quell'ospedale ci saresti entrato comunque. Se del resto ti porti in tomba il marchio Covid anche se poi guarito, perché mai dovrebbero non classificarti come tale in vita anche se ti sei ricoverato per ben altro motivo? La dittatura sanitaria ha le sue ferree regole e quest'ultima tutto sommato neppure troppo strampalata. Basterebbe solo saperla spiegare e raccontare. Noi lo facciamo.
Rod Dreher (Getty Images)