2019-09-23
Carlo Nordio: «Con il Pd e i grillini la nostra giustizia tornerà al Medioevo»
L'ex magistrato: «La riforma delle intercettazioni è liberticida. Quella della prescrizione è un obbrobrio, allungherà i processi».Da magistrato, Procuratore aggiunto a Venezia, Carlo Nordio ha condotto tante inchieste scottanti: da quelle sulle Brigate rosse venete, negli anni Ottanta, a quelle sulle coop rosse, durante il concitato periodo di Tangentopoli. Noto per le sue idee liberali, il 5 dicembre 2018 è entrato a far parte del cda della Fondazione Einaudi. Dottor Nordio, lei vanta una lunga storia in magistratura ma il suo punto di vista liberale sulla situazione politica è sempre molto apprezzato. Pensa che l'alleanza Pd-5 dtelle che ha dato vita al Conte bis sia un'operazione contro natura?«Contro natura in politica non c'è nulla. Nel 1939 persino Adolf Hitler e Iosif Stalin si sono alleati. Esistono solo le convenienze: e in questo caso la convenienza era quella di evitare le elezioni con una eventuale vittoria del centrodestra. Io avrei preferito andare a votare per fare chiarezza. Questo governo è estremamente debole. Al massimo avrei acconsentito a un governo tecnico con un ampio accordo politico per varare in fretta la finanziaria, con l'obiettivo di traghettare subito il Paese al voto». Matteo Salvini ha sbagliato i calcoli?«Se i calcoli erano quelli di evitare una finanziaria lacrime e sangue largamente impopolare, non li ha sbagliati affatto. Se invece pensava di andare subito alle elezioni, allora ha fatto un errore grossolano, perché in politica l'interesse vince su tutto». Matteo Renzi, con la spregiudicata operazione Italia viva, si è procurato la golden share sul governo?«Renzi adesso tiene sotto scacco il governo, peraltro mantenendo un discreto controllo anche sui gruppi parlamentari del Pd. Se staccherà la spina? Tutti si stanno concentrando sulla sinistra dell'esecutivo, ma credo che la vera minaccia alla tenuta del governo arriverà dalla componente grillina. Sono i più imprevedibili, e da un momento all'altro potrebbero essere loro a far saltare il banco. Come ci si può fidare di un movimento che per prendere le sue decisioni interpella una piattaforma su Internet?».Quindi saranno loro a far deflagrare l'esecutivo? «Per una ragione o per l'altra, dovranno ingoiare parecchi bocconi amari, al punto che, un bel giorno, l'amore per la poltrona non basterà a placarli. Prevedo che tra qualche mese le tensioni esploderanno. È difficile ricucire in pochi giorni un conflitto, quello tra Pd e 5 stelle, che è stato davvero cruento, ai limiti della volgarità. Penso agli eventuali accordi regionali, dove manca anche la mediazione di Giuseppe Conte, e non ho molta fiducia che possano reggere».Tuttavia, a livello nazionale c'è da giocare la partita delle nomine. «Quello è un collante forte: la distribuzione delle cariche parastatali. Potrebbe essere il punto d'arrivo di questa alleanza, l'obiettivo finale». Lei mantiene rapporti profondi con gli imprenditori del Nord Est. Il mondo produttivo di quel distretto ha fiducia nel Conte bis, o prevale il timore di scelte che deprimerebbero l'economia? «Intanto non riesco a capire quale sia il programma economico del governo, anzi mi sembra generico ed evanescente. Gli imprenditori guardano ai fatti e non gli annunci. C'era e c'è ancora grande malcontento». Cosa pensa delle proposte che stanno circolando in questi giorni rispetto alla tassazione del contante? «Non penso che ci sia un rischio patrimoniale, perché le ragioni elettorali lo impedirebbero: i consensi dei partiti di governo crollerebbero. Probabilmente spunteranno fuori tanti balzelli occulti spalmati in diversi settori». Viriamo sui suoi argomenti. Una delle sfide principali del Conte bis è la riforma della giustizia. Sembra un parto molto travagliato. Il riconfermato ministro Alfonso Bonafede sta portando avanti diversi dossier: la riforma dei processi, le intercettazioni, il conflitto d'interessi. Ci dia un giudizio generale. «Un disastro totale. Non si vedono segnali di grandi riforme, e quelle poche che vedono procedono in senso giustizialista e manettaro». Il primo gennaio scatta la sospensione della prescrizione, da bloccare dopo il primo grado di giudizio. Una norma inaccettabile per i leghisti. «Un obbrobrio giudiziario. Era una norma che avrebbe dovuto essere subordinata a una riforma globale dei processi, che non c'è e non potrà esserci. I processi invece di accorciarsi si allungheranno a dismisura. I giudici, che prima perlomeno cercavano di accelerare i tempi per evitare la prescrizione, adesso non avranno più neanche questo stimolo. A rimetterci saranno le vittime dei reati, che vedranno allungarsi anche i tempi dei loro risarcimenti».Si starebbe pensando di velocizzare i processi consentendo di chiedere per una sola volta la proroga delle indagini preliminari. «Ma queste sono accelerazioni puramente cartacee. I processi non si accorciano per decreto, ma aumentando gli organici - e questo non si può fare - oppure depenalizzando i reati e semplificando le procedure. Ma stabilire per legge che bisogna far presto sarebbe come obbligare il chirurgo a fare il doppio degli interventi in un giorno, quando non abbiamo neanche le sale operatorie. I miracoli non li fa nessuno». A proposito di miracoli, separare le carriere dei magistrati sembra più difficile che moltiplicare pani e pesci.«Quello è un sogno che resterà tale. Serve una volontà politica che non esiste. Non vedo neanche i tempi necessari per attuare una rivoluzione del genere. Non sappiamo neanche chi governerà tra un anno…».Anche sulle intercettazioni il termine fatidico è la fine dell'anno, quando scade la legge Orlando ed entrerà in vigore la nuova disciplina concepita da Bonafede. «Peggio mi sento. L'intenzione è quella di intensificare l'utilizzo di mezzi intrusivi, come i famosi trojan, i programmi spia inseriti nei telefonini. Si estenderanno le invasioni della privacy dei cittadini. La conseguenza è un ritorno del Medioevo: la segretezza delle conversazioni è un aspetto fondante della libertà».Tra pochi giorni si rinnova il Csm. Tra i candidati figura anche Nino Di Matteo, secondo cui «l'appartenenza a una cordata è l'unico modo per fare carriera tra le toghe, e questo è un criterio vicino alla mentalità mafiosa». «Sono parole molto forti. Il Csm è totalmente delegittimato e si sta decomponendo a forza di dimissioni. La situazione non è rosea: da una parte la crisi dei vertici, dall'altra lo sconcerto della magistratura. Le correnti dominano, e non perché siano guidate da questo o quel partito, ma perché sono divenute esclusivamente gruppi di potere. Io preferisco il sorteggio per scegliere i membri del Csm: a patto però che il bacino dei papabili non comprenda anche i passanti, ma magistrati di Cassazione, professori di materie giuridiche e presidenti dell'Ordine forense». In molti sono pronti a giurare che il vaso di Pandora del Csm dev'essere ancora scoperchiato sul serio. È tra questi?«Sono sicuro che usciranno altre notizie da quel fronte. Lo stesso Luca Palamara ha ammesso ( e ammonito) di aver parlato con altri magistrati e politici, ciò che è filtrato sui giornali è solo l'inizio». Prima parlava di deriva manettara dei 5 stelle. Il Partito democratico farà da argine? «Purtroppo il Pd da questo punto di vista è ancora spaccato in due. Da una parte l'anima garantista, quella che nei giorni scorsi ha contribuito a respingere l'autorizzazione a procedere nei confronti del parlamentare Diego Sozzani. Dall'altra l'anima giacobina, che si sposa bene con i 5 stelle. Il rischio è che il garantismo finisca per essere minoritario. E il timore maggiore è che, sulla giustizia, tutto resti così com'è. Un'infinita paralisi». Con le sue inchieste sulle coop rosse, lei è stato un protagonista nel periodo di Tangentopoli. Questa fase della politica italiana le ricorda in qualche modo quella fase storica? «All'epoca avevamo scoperto un calderone tale di corruzione, che alla fine ci siamo andati giù pesante. Forse anche io esagerai nell'utilizzo della custodia cautelare. Ma allora vivevamo tempi speciali, in cui tutto il Paese era unito in un fronte contro il malaffare. Oggi di speciale non c'è nulla, se non una deriva dilettantesca nella gestione del potere. Se vogliamo è anche una situazione peggiore, che fa regredire il nostro sistema penale a un livello medievale».Dalla velocità dei processi civili dipende anche la tenuta del tessuto produttivo?«Certo, anche da quella dipende il recupero della competitività economica. Una giustizia lenta brucia quasi due punti di Pil. Mi auguro che arrivino risposte serie. Ma anche su quel versante non vedo progressi».
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson