2022-08-01
Mancava solo il razzismo. Pronto lo sciacallaggio elettorale su un omicidio
La speculazione elettorale sull’omicidio Ogorchukwu parte dal Pd e arriva ai media di riferimento, con Riotta che fa un parallelo con l’afroamericano ucciso dalla polizia. Alla berlina gli italiani: «Non sono intervenuti».Bene, con il fascismo direi che abbiamo dato, visto che per dieci giorni Repubblica e compagni hanno menato il torrone con il pericolo nero e le forze oscure in agguato. Il putinismo? Uh, ce l’abbiamo pure quello, grazie alle fulminanti inchieste de La Ristampa, giornale che ricicla le notizie altrui forse credendo di rispettare l’ambiente e emettere meno CO2. Insomma, quanto a mostrificazione dell’avversario politico anche a questo giro siamo messi piuttosto bene. Però, in effetti, qualcosa mancava. Gli indignatissimi di professione avevano ancora un buchettino dello stomaco da riempire: non fame, era più voglia di qualcosa di buono. Ma che cosa? Su, è chiaro: il razzismo! Figuratevi se poteva mancare il grande classico di tutte le campagne elettorali, l’immancabile compagno del fascismo, la benzina di ogni sincero fuoco di democratico sdegno. E dunque eccolo qui: l’omicidio di Civitanova Marche, commesso da un italiano ai danni di un elemosinante nigeriano, ha scatenato il furore progressista. Sono tutti concordi: il povero Alika Ogorchukwu, 39 anni, è rimasto vittima non di un pazzo violento e assassino (razza di cui in Italia, come nel resto del mondo, non mancano esemplari), bensì del razzismo sistemico che impregna l’Occidente bianco e patriarcale, quindi anche noi. Non importa che gli inquirenti abbiano smentito con forza la pista razzista, parlando invece esplicitamente di una aggressione immotivata e feroce, roba appunto da belve assetate di sangue. No: per l’editorialista unico di sinistra è un evidente caso di razzismo. E se c’è il razzismo di chi è la colpa? Della destra e dei populisti. Ergo che bisogna fare per fermare il razzismo e gli omicidi a esso collegati? Votare il Pd. Che il meccanismo sia questo l’abbiamo capito, ce la vendono così ogni volta. Salvo che poi il Pd, pure senza voti, governa ogni volta, ma il razzismo resta lì. Anzi accade che alla bisogna - cioè per restare al potere - il medesimo Pd entri nella maggioranza di cui fanno parte pure i presunti razzisti pericolosi di destra, ma in quel caso problemi non ce ne sono. Razzismo, in sostanza. Anche se la realtà va da un’altra parte. Gianni Riotta, col tipico piglio da estremista della bufala, spiega che Aika è il nostro George Floyd. E pazienza se Floyd è stato ucciso negli Stati Uniti da poliziotti in servizio. Per Riotta, il delitto di Civitanova è colpa di chi usa «razza, storia, criminalità, emigrazione a caccia di voti livorosi» (e sarebbe anche un ottimo ritratto del Pd, ben vedere). Secondo il fine editorialista, «il futuro della nostra nazione è multietnico o non è», come se in un contesto multietnico non ci fossero violenze e omicidi. Anche la Stampa, tramite Karima Moual, recita lo stesso copione (copione nel senso di sceneggiatura, non voleva essere un riferimento alle scopiazzature in cui il quotidiano torinese eccelle). In tutta questa fiera della banalità moralista, nessuno si domanda perché la vittima fosse ridotta a chiedere con insistenza l’elemosina, non si riflette sulle condizioni in cui devono vivere tanti, troppi immigrati che sono giunti qui convinti di trovare una fetta di torta al banchetto e hanno trovato solo povertà e dolore. Non ci si sofferma sua tragedia personale e sociale che fa da contraltare realistico alle menate ipocrite sul paradiso multietnico. Non si pensa a tutto ciò perché non serve: ciò che conta è sfruttare questo episodio orrendo per portare acqua elettorale a sinistra. Si chiama sciacallaggio. Tra gli altri temi che vengono sollevati al fine di dipingere un quadro oscuro della nostra nazione c’è quello, imperdibile, della mancanza di solidarietà. L’altra fetta della indignazione viene riversata sul mancato intervento dei passanti, i quali hanno filmato il delitto ma non sono intervenuti a separare aggressore e aggredito. Di nuovo, però, la realtà interviene a smentire la lettura ideologica. I testimoni sentiti da Repubblica e Messaggero raccontano di aver gridato, di aver chiesto aiuto. Alcuni erano anziani, a riprendere è stata una donna (moldava e dunque straniera, per altro). Che avrebbero dovuto fare, secondo i fenomenali commentatori liberal? O secondo Giuseppe Conte che si stranisce perché nessuno si è lanciato a separare i due uomini in lotta? Ci risulta che sia stata proprio la cultura progressista a scagliarsi per decenni contro l’idea di autodifesa. Non sono loro a ripeterci sempre che lo Stato ha il monopolio della violenza? Che di fronte alle aggressioni o ai furti non ci si regola da soli? E adesso vogliono che il passante eroe si lancia nella mischia senza pensarci? Andiamo. Per separare due omaccioni che si picchiano - e qui per giunta uno era un assatanato omicida - serve una certa dimestichezza con lo scontro fisico, e ci risulta che ogni forma di scontro fisico sia stata bollata come fascista proprio dalla sinistra che ora invoca il giustiziere popolare. Il risultato di tutto ciò è che, comunque la si guardi, la storia atroce di Civitanova fa emergere tanti drammi e enormi problemi culturali, politici e sociali. Ma nessuno di questi riguarda l’attuale campagna elettorale, nessuno può essere usato per giustificare un voto al Pd. Poi, certo, ormai tutto si può strumentalizzare: le iene della propaganda non sono mai sazie di carogne.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)