2020-04-08
Con i test che certificano l’immunità la fase due potrà partire in sicurezza
Tra due settimane ne saranno disponibili 500.000 esemplari al giorno. Affidabili al 98%, costano 5 euro e in un'ora individuano chi ha sviluppato gli anticorpi al Covid-19 e non rischia così di infettare gli altri.Per mettere definitivamente la parola fine all'incubo dell'epidemia di Covid-19 bisognerà attendere il vaccino, per il quale, purtroppo, non c'è ancora una data. Ma lo sforzo della scienza e della ricerca ha dato i propri frutti su un altro fronte: entro aprile sarà infatti disponibile il primo test sierologico che certifica l'immunità da coronavirus, fondamentale nella fase due per capire chi potrà tornare alla normalità senza il rischio di contagiare altre persone. Un traguardo tutto italiano.A prepararsi a lanciarlo è infatti la multinazionale diagnostica Diasorin che ha sviluppato il test in vitro nei laboratori di Saluggia, in provincia di Vercelli. Gli studi per ultimare il test sono stati condotti in tempi record, sei settimane, al Policlinico San Matteo di Pavia da un gruppo di 50 ricercatori diretti dal virologo Fausto Baldanti. Entro due settimane è attesa la certificazione Ce che darà il via agli esami sulla popolazione, possibili in tutti i punti prelievi, per un costo, come riporta il Corriere della sera, di cinque euro a test. In Italia potranno essere processati circa 500.000 campioni al giorno, dato che il risultato arriva in appena un'ora e l'affidabilità è del 98%. Soddisfatto il governatore lombardo Attilio Fontana: «È in arrivo un test molto affidabile». Il test sierologico è di fondamentale importanza perché permette di assegnare la cosiddetta «patente d'immunità», ovvero individuare chi, dopo aver contratto il virus ed essere considerato guarito, in seguito a due tamponi prelevati a distanza di qualche giorno risultati negativi, ha sviluppato gli anticorpi che consentono al paziente di non ammalarsi ancora. Tuttavia, per sapere quanto possa durare l'immunità, è necessario sottoporsi al test a distanza di mesi o di anni. Dopo aver sottoposto al test i guariti, a oggi quasi 24.400, la seconda fase dello screening si dovrà concentrare sulle persone che potrebbero aver contratto il virus ma che non sono mai state sottoposte a tampone perché con sintomi lievi o assenti, ma potenziali veicoli di contagio. In questi soggetti, il test dovrebbe rilevare la quantità totale di anticorpi, che vengono prodotti in valori diversi fra i sette e i 14 giorni dopo aver contratto la malattia, ma per rilevare la loro infettività è necessario il tampone nasofaringeo. Il risultato del lavoro di Diasorin e del Policlinico San Matteo di Pavia arriva dopo i dubbi sull'affidabilità degli altri test sierologici svolti in altre Regioni, prima fra tutte il Veneto, espressi dal ministero della Salute nell'ultima circolare del 3 aprile scorso nella quale si informava che «i test rapidi basati sull'identificazione di anticorpi Igm e Igg per la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2, secondo il parere del Comitato tecnico scientifico, non possono, allo stato attuale dell'evoluzione tecnologica, sostituire i tamponi nasofaringei». Secondo l'Oms, «sebbene l'impiego di kit commerciali di diagnosi rapida virologica sia auspicabile e rappresenti un'esigenza in situazioni di emergenza come quella attuale, gli approcci diagnostici al momento tecnicamente più vantaggiosi, attendibili e disponibili rimangono quelli basati sul rilevamento del virus in secrezioni respiratorie». Dubbi sottolineati anche ieri durante la quotidiana conferenza stampa della Protezione civile da Giovanni Rezza, dell'Istituto superiore di sanità, che ha definito «non del tutto soddisfacenti» i test finora valutati. I tamponi nasofaringei restano ancora lo strumento fondamentale contro la pandemia, come dimostrano il caso sudcoreano e quello tedesco. La Germania, in particolare, ha infatti un tasso di mortalità dei propri contagiati dell'1,4%, contro il 12,5% dell'Italia, che non si può spiegare solo in riferimento all'età media dei malati più bassa (49 anni, rispetto ai 62 del nostro Paese). La risposta tedesca alla comparsa del virus sul proprio territorio è stata rapida e preventiva, avendo effettuato un numero maggiore di test degli altri Paesi europei, quasi 400.000 alla settimana, permettendo l'isolamento di più casi infettivi possibili e la cura di molte persone prima che le loro condizioni fossero troppo critiche. Nella diagnostica il principio chiave è infatti quello che si trova ciò che si cerca. E in Germania, nella città di Heidelberg, il virus viene cercato addirittura casa per casa con i cosiddetti «corona taxi», con cui i medici nello loro tute protettive girano per le strade deserte e prelevano il sangue a domicilio per cercare eventuali segni della presenza di coronavirus e ricoverare anche chi ha sintomi solo lievi. Una metodologia ancora non praticata in Italia, dove però in alcune città è stato dato il via ai test rapidi fatti ai cittadini a bordo delle loro automobili, disposte in fila, attraverso il finestrino. Il tampone «drive-thru» è partito dal centro medico Santagostino di Bologna ed è una pratica efficace contro la diffusione del contagio nelle strutture ospedaliere.I cittadini vengono convocati per il test in auto solo su chiamata del servizio igiene della Asl. I test a bordo vengono già eseguiti in Toscana, Roma, Napoli, Ferrara, Genova e nel milanese.