2021-05-07
Colpo alla «mascherina connection»
Domenico Arcuri (Ansa-iStock)
La Guardia di finanza sequestra altri 50 milioni di esemplari acquistati da Domenico Arcuri. Le indagini puntano ai rappresentanti delle aziende in affari con il commissariato.Nella storia infinita delle mascherine acquistate dalla vecchia struttura commissariale per l'emergenza Covid continuano a fioccare i sequestri in tutta Italia di dispositivi di protezione ritenuti «pericolosi».E per la prima volta, secondo quanto scritto in una nota della guardia di finanza di Gorizia emerge che l'inchiesta starebbe portando «alle responsabilità penali dei rappresentanti legali delle società fornitrici della struttura commissariale». Inizialmente l'ipotesi di reato, contro ignoti, era «la vendita di prodotti industriali con segni mendaci», ma sugli sviluppi delle ipotesi di reato e sulle eventuali iscrizioni sul registro degli indagati ieri le bocche sono rimaste cucite.Intanto, continuando a eseguire quanto disposto a marzo dalla Procura di Gorizia (che ai primi di aprile aveva notificato a tutte le regioni il decreto di sequestro delle mascherine, ordinando il ritiro di tutte le tipologie indicate e la loro raccolta in un unico punto entro dieci giorni), ieri la guardia di finanza della città friulana ha eseguito il sequestro di altri 50 milioni di dispositivi di protezione ritenuti non conformi alle normative di sicurezza. Si tratta di mascherine fornite dalla prima struttura commissariale alle Regioni, che le hanno a loro volta distribuite alle strutture sanitarie e alle amministrazioni pubbliche. Con l'operazione di ieri si arriva a circa 115 milioni di mascherine sequestrate (con un valore stimato intorno ai 300 milioni di euro), quasi la metà dei 250 milioni di pezzi di quelle tipologie acquistati dalla struttura di cui era a capo l'ex commissario Domenico Arcuri. I sequestri sono stati disposti dopo che analisi di laboratorio disposti dalle autorità avevano rivelato che «la capacità filtrante è risultata essere addirittura 10 volte inferiore rispetto a quanto dichiarato, con conseguenti rischi per il personale sanitario che le aveva utilizzate nella falsa convinzione che potessero garantire un'adeguata protezione». A marzo, in corrispondenza con i primi sequestri, il procuratore di Gorizia Massimo Lia e il sostituto Paolo Ancora hanno mandato i finanzieri, con un decreto di perquisizione previo ordine di consegna di atti, nella sede di Invitalia, dove si trova una parte della struttura commissariale per l'emergenza Covid, per acquisire la «documentazione tecnica e certificativa attestante la conformità dei dispositivi e la loro corrispondente sicurezza», nonché gli «stralci dei verbali del Comitato tecnico scientifico relativi alle verifiche e alle conseguenti validazioni dei dispositivi». Sotto la lente d'ingrandimento anche i «contratti di fornitura» e la «documentazione a essi afferente, sia antecedente che successiva». La necessità, secondo quanto spiegato allora dai finanzieri, è quella di «ricostruire le responsabilità nella catena di approvvigionamento e verificare quante mascherine della stessa tipologia siano state impiegate o siano tuttora in uso su tutto il territorio nazionale». Alcuni dei fabbricanti dei Dpi che vengono rastrellati da ormai due mesi sembrano far parte della maxi commessa acquistata dalla struttura commissariale dell'ex commissario Arcuri e dal suo braccio destro Antonio Fabbrocini, su cui la Procura di Roma indaga i mediatori per traffico illecito di influenze, tra i quali il giornalista in aspettativa Mario Benotti, l'imprenditore milanese Andrea Tommasi, il finanziere sammarinese Daniele Guidi e il trader ecuadoriano Jorge Solis (accusato anche di riciclaggio), per traffico illecito di influenze, mentre l'ex commissario e il suo collaboratore risultano indagati per peculato. Tra i 12 produttori delle mascherine oggetto di sequestro, almeno sette corrispondono, secondo l'elenco dei dispositivi validati dal Cts, a fabbricanti riconducibili alle tre aziende fornitrici della maxicommessa da 801 milioni di mascherine pagate 1,25 miliardi di euro su cui sta indagando la Procura di Roma. Quando emerse il problema della sicurezza di un lotto di mascherine, La Verità aveva chiesto all'ufficio stampa di Arcuri se l'ex commissario intendesse attuare provvedimenti cautelativi. E la risposta era stata questa: «La struttura del commissario non c'entra nulla con l'autorizzazione sanitaria o con la qualità delle mascherine, quella viene sottoposta agli enti che si occupano di questo aspetto prima che venga effettuato l'acquisto, per cui non è che prima si comprano le mascherine e poi si portano al Cts. Sono certificate quando vengono proposte, vengono valutate da più istituti e poi vengono acquistate». Ad attuarli ci sta pensando la guardia di finanza.