2023-04-05
«Col cibo sintetico si rischia il monopolio»
Felice Adinolfi (Imagoeconomica)
Il docente di Economia agraria Felice Adinolfi: «Presentare la carne in provetta come la salvezza del mondo è folle. Quattro o cinque proprietari di tecnologie brevettate potrebbero accendere e spegnere un bioreattore e decidere come sfamarci. Distruggendo la filiera».Felice Adinolfi è professore di Economia agraria all’Università di Bologna. Da tempo segue le evoluzioni della cosiddetta carne sintetica e assieme a lui abbiamo provato a rispondere ad alcune delle affermazioni (e delle mistificazioni) che in questi giorni si leggono e si ascoltano su questo genere di prodotti. C’è chi sostiene che la carne sintetica semplicemente non esista. In primo luogo perché non è sintetica ma prodotta a partire da cellule animali e poi perché, in realtà, non è nemmeno in commercio. È così?«Sarebbe più corretto parlare di proteine cresciute in vitro da cellule staminali animali. In ogni caso la carne sintetica o artificiale già esiste, ne è stata approvata la vendita a Singapore e c’è una preistruttoria della Food and drug administration negli Stati Uniti per l’approvazione di altri due prodotti. Probabilmente una richiesta simile arriverà anche in Europa nei prossimi mesi». Restiamo sulle parole: è giusto chiamarla sintetica o artificiale? «Penso che questa parola, artificiale, spieghi bene la separazione tra produzione e natura. Io, sinceramente, ho più dubbi sull’utilizzo del termine carne, perché appunto parliamo, sì, di proteine cresciute da cellule animali, ma la legislazione europea fornisce una precisa definizione di carne, che comprende anche lo scheletro, i tessuti e le connessioni tra scheletro e tessuti. Dunque, se ci atteniamo a questa definizione, la carne artificiale non è carne. Nella letteratura scientifica il nome più in voga è quello di lab-grown meat, cioè carne cresciuta in laboratorio. Credo che questo nome possa rendere bene l’idea più di tanti altri». Mi sorge il dubbio, allora, che i veri giochetti con le parole li stiano facendo i difensori di questi prodotti per sdoganare l’idea che non siano poi così diversi dalla carne vera. «È un giochino va avanti da molto tempo: è stato così anche con altri prodotti sostitutivi. Consiste nell’assumere le connotazioni positive di un prodotto come la carne - che evidentemente è ancorato tradizionalmente all’idea di consumo di proteine importanti, di forza, di vigore e vitalità - cercando di dare un senso di naturalità al prodotto sostitutivo. Tra l’altro tra i vari promotori ci sono anche quelli che usano il termine “carne pulita”, che fa veramente sorridere in questo caso». Parlando della carne coltivata in laboratorio c’è chi fa paragoni con lo yogurt o lo birra, dicendo che in fondo sempre di colture cellulari si tratta. È un paragone sensato? «No. È vero che nel caso della birra si utilizza un macchinario simile, ma è anche chiaro che gli ingredienti sono completamente diversi. Là parliamo di una cultura diciamo batterica, qui parliamo di cellule che vengono fatte proliferare all’interno di un cosiddetto medium di crescita, che è ricco di sostanze come ormoni e altri fattori di crescita, proteine ricombinanti, eccetera. Stiamo parlando dunque di un processo che avviene all’interno di una dimensione biotecnologica (che poi è quella che la farmaceutica percorre da moltissimo tempo). Insomma sono due cose completamente diverse. Nel caso della carne in laboratorio parliamo di una proliferazione cellulare che è alimentata da una serie di meccanismi esterni e che poi - per poter diventare alla fine il prodotto che qualcuno vorrebbe chiamare carne - ha bisogno di una serie notevole di aggiustamenti. I quali servono a far in modo che le strisce di cellule di proteine assumano la forma, il sapore e la consistenza di una bistecca o di una pepita di pollo». Molti sostengono che la contrarietà alla carne sintetica sia una forma di oscurantismo. Come se l’agricoltura o l’allevamento non avessero nulla a che fare con la scienza e la ricerca. «Lo so. Purtroppo la narrativa di chi promuove questi cibi artificiali è una narrativa che vorrebbe far passare chi è contrario e chi ha dei dubbi come un oscurantista. Io dico questo: al di là di tutta una serie di questioni che riguardano la salute e che sono molto importanti, credo che ogni tecnologia, ogni soluzione tecnica innovativa, abbia bisogno poi di essere valutata anche in base all’impatto sociale. Qui parliamo di una rottura tra campagna e produzione di cibo, tra cibo e dimensione naturale. La politica deve valutare tutto ciò. Lei ha detto bene: l’agricoltura è stata simbolo di innovazione efficace soprattutto negli ultimi trent’anni, ha fatto dei passi enormi dal punto di vista tecnologico. Ma in questo caso stiamo parlando di una cosa diversa: di riscrivere totalmente le regole di produzione e consumo del cibo». Il governo ha vietato la carne artificiale. Ma c’è una incognita. Se l’Efsa, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare, decidesse di dare il via libera a questi prodotti l’Italia non potrebbe opporsi, legge o non legge. «Intanto non è detto che l’Efsa approvi questi prodotti. Abbiamo una storia alle spalle che ci racconta come l’Europa si sia comportata nel corso del tempo diversamente da altre agenzie, e in particolare dall’agenzia statunitense Fda. Dicevo prima che questi cibi per essere prodotti hanno bisogno di fattori di crescita esterna, quindi di ormoni esterni. Ma in Europa l’uso di ormoni esterni, esogeni, è vietato negli allevamenti. Già questo elemento potrebbe essere di fatto ostativo all’approvazione di questi cibi in Europa».Mettiamo che invece l’Efsa approvi.«La storia degli Ogm ci ha mostrato come, nei fatti, gli Stati membri abbiano preso decisioni diverse da quelle dell’Autorità europea. Oggi una buona parte dei Paesi europei vieta la coltivazione degli Ogm e soltanto tre la autorizzano. E anche sulla commercializzazione ci sono delle posizioni che ancora devono comporsi ma che fanno presupporre la richiesta di autonomia da parte degli Stati membri. L’Efsa guarda alle implicazioni di ordine sanitario, ma tralascia tutte le altre implicazioni, che sono di ordine sociale, ambientale e culturale. Quindi io credo che questo atto del governo, che ad oggi tutto sommato è solo un disegno, abbia il pregio di porre un punto politico chiaro». Mettiamo che io sia un produttore. Se l’Efsa sdoganasse la carne artificiale e l’Italia continuasse a proibirla, io dovrei fare causa alle istituzioni italiane. «Lei dovrebbe far causa allo Stato italiano, poi l’Unione europea dovrebbe sollevare l’infrazione dello Stato italiano che ha attuato o ha in vigore un normativa contraria a una decisione europea. In tal caso, come successo con gli Ogm, si aprirebbe un contenzioso e la chiusura di questo contenzioso potrebbe essere o la condanna dell’Italia oppure l’apertura di un caso politico, come avvenuto sempre per gli Ogm, e quindi la scrittura di un’altra storia. Per questo dico che questo atto del governo, al di là di tutto, diventa un punto fondamentale, proprio per avere la possibilità di scrivere una storia diversa nel caso l’Efsa dovesse approvare e quindi di fatto imporre la libera circolazione di questi prodotto in tutta l’Ue». Resta che a livello europeo, tramite vari programmi, sono arrivati molti finanziamenti alla ricerca sui cibi artificiali. «Sicuramente un po’ di spinta c’è, ci sono almeno quattro o cinque - vado a memoria - progetti europei che finanziano la ricerca. Ma su questo punto dobbiamo chiarirci. Intanto la proposta italiana non prevede un divieto assoluto riguardo la ricerca. Dipende appunto di che ricerca si tratta. Io non discuto la possibilità di costruire proteine per uso medico: io discuto la possibilità che queste proteine diventino parte dell’alimentazione quotidiana». Mi pare che un problema rilevante sia anche quello del controllo della produzione di cibo. Cioè: mi pare che si stia ammantando di buoni sentimenti il tentativo di creare un nuovo mercato, molto meno aperto di quello attuale, per giunta. «Penso che sia una follia presentare questi prodotti come quelli che salveranno il mondo. Non è vero. Ad oggi inquinano di più di un allevamento tecnologicamente avanzato o di un allevamento sostenibile estensivo. E anche per quanto riguarda gli aspetti economici ci sono problemi. Trasferire il valore della produzione dalla campagna all’industria significa ovviamente agevolare la nascita di veri e propri monopoli del cibo. Se prima chi era contrario agli Ogm era preoccupato per il monopolio delle sementi, ora dovrebbe impallidire rispetto all’idea, al pericolo, di un monopolio dei cibi per cui quattro o cinque proprietari di tecnologie - perché sono tecnologie brevettate - possono con un interruttore accendere e spegnere un bioreattore e decidere come sfamarci. Nessuno di questi investitori vuole salvare il mondo. Io ho letto proprio ieri la relazione della Food and drug adminsitration sulla richiesta di autorizzazione di un cibo sintetico fatta da una di queste aziende, la Upside food».Che ha trovato?«La maggior parte degli ingredienti, e in particolare gli ingredienti che vanno a ricostruire le proteine ricombinanti, è segreta per ragioni commerciali. Si figuri se chi difende la propria proprietà intellettuale e la propria tecnologia con un brevetto lo fa allo scopo di sfamare il mondo: lo scopo è sempre lo stesso, quello di fare profitto, e in questo caso il profitto è agevolato dal fatto che la filiera viene completamente distrutta, non esiste più. L’unico luogo in cui si produce cibo è il laboratorio, il bioreattore, e l’industria che gli sta intorno, con una ricetta di proprietà. Io credo che chiunque abbia minimamente a cuore il tema della sovranità alimentare e della sicurezza degli approvvigionamenti debba essere preoccupatissimo per un eventuale sviluppo di questo in questa direzione».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)