2020-12-08
I rigogliosi cipressi narrati da Carducci che furono salvati grazie ai suoi versi
Gli splendidi arbusti di Bolgheri rischiarono l'abbattimento, ma la popolarità del poeta fece cambiare idea ai proprietari.Chi non ricorda i primi versi della celebre poesia Davanti San Guido di Giosuè Carducci (1835-1907): «I cipressi che a Bólgheri alti e schietti/ Van da San Guido in duplice filar/ Quasi in corsa giganti giovinetti/ Mi balzarono incontro e mi guardâr./ Mi riconobbero, e - Ben torni omai/ Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino/ Perché non scendi? Perché non ristai?/ Fresca è la sera e a te noto il cammino./ Oh sièditi a le nostre ombre odorate/ Ove soffia dal mare il maestrale: Ira non ti serbiam de le sassate/ Tue d'una volta: oh, non facean già male! Nidi portiamo ancor di rusignoli:/ Deh perché fuggi rapido cosí?/ Le passere la sera intreccian voli/ A noi d'intorno ancora. Oh resta qui!». Eccetera, eccetera. Si tratta di un componimento scritto fra il 1874 e il 1886, incluso nella raccolta Rime nuove, pubblicata nel 1887 da Zanicchelli e poi raccolta nell'antologia delle sue poesie nel 1906, anno dell'attribuzione del Premio Nobel per la Letteratura. Il Carducci era cresciuto in queste terre, sebbene fosse nato a Pietrasanta, a causa delle difficoltà lavorative del padre la famiglia si trasferì a Bolgheri che Giosuè aveva tre anni. Qui il futuro poeta ha irrobustito il proprio sguardo ammirato per tutti i fenomeni e gli ambienti naturali, crescendo con un lupo, un falco e diversi animali. La famiglia era talmente povera che i figli però non poterono andare a studiare, e ci pensò il prete del posto a istruire Giosuè. Nel 1949 la famiglia si sposta a Firenze, a causa delle idee irruente del padre, e qui Carducci inizia gli studi regolari, appassionandosi anzitutto ai classici. I casi della vita fecero in mondo che fossero proprie le sue prime poesie a impressionare il rettore di uno dei più rinomati atenei italiani, consentendogli di ottenere una borsa di studio per la Normale di Pisa, il che ogni volta che ci torno mi fa sorridere, vista la totale sfiducia che le attuali accademie manifestano nei riguardi della poesia dei nostri giorni. Insomma, un Carducci nel 2020, povero, senza possibilità di studiare, potrebbe comporre anche dei capolavori che l'università gli sarebbe probabilmente preclusa.Ma torniamo a Bolgheri e ai suoi splendidi cipressi. Fra la fine del XIX e il principio del XX secolo, i proprietari dei terreni su cui si dispiegavano i cipressi, i conti della Gherardesca, stavano valutando di abbatterli per sostituirli con piante giovani e forti. La popolarità del poeta e della sua poesia fecero cambiare idea, preferendo sostituire solo quelli più malpresi. A un secolo di distanza c'è stato bisogno di ulteriori interventi per sostituire esemplari seccati in piedi e altri malandati, come oggi è visibile scorrendovi nel mezzo in un giorno qualsiasi. Accanto all'Oratorio di San Guido, edificato nel 1703 in onore dell'eremita Guido della Gherardesca, vissuto sei secoli addietro, transita l'autostrada Aurelia, un tempo Strada Regia. Dopo poche decine di metri ha inizio il lungo stradone che s'invola fra sprofondi e risalite brevi verso il castello che segnala l'esistenza dell'abitato di Bolgheri, parte del comune di Castagneto Carducci. Da una parte del vialone, lungo poco meno di tre chilometri, corre il confine di una riserva naturalistica fra le più importanti della Toscana, nei terreni degli Incisa della Rocchetta, laddove nel 1966, alla nascita del Wwf Italia, Mario Incisa creò la prima oasi italiana.Davanti San Guido non è l'unica poesia alberante del Carducci. Fra le diverse mi piace ricordare la mistichegginate Colloqui con gli alberi:«Te che solinghe balze e mèsti piani/ Ombri, o quercia pensosa, io piú non amo/ Poi che cedesti al capo de gl'insani/ Eversor di cittadi il mite ramo./ Né te, lauro infecondo, ammiro o bramo/ Che mènti e insulti, o che i tuoi verdi e strani/ Orgogli accampi in mezzo al verno gramo/ O in fronte a calvi imperador romani./ Amo te, vite, che tra bruni sassi/ Pampinea ridi, ed a me pia maturi/ Il sapïente de la vita oblio./ Ma piú onoro l'abete: ei fra quattr'assi/ Nitida bara, chiuda al fin li oscuri/ Del mio pensier tumulti e il van desio».Devo ammettere che ogni volta che m'imbatto nella poesia del Carducci percepisco quasi un moto di ribellione, una insofferenza a questo modo teatrale, pomposo, artificioso, del dire, o meglio, del proclamare, non dissimile dal linguaggio utilizzato dal D'Annunzio. Mi dico: quanti secoli emotivi sono passati fra questa poesia che probabilmente già al tempo guardava ad un eventuale quanto ipotetico passato aureo della poesia, e la poesia che si scrive oggigiorno, per quanto diversificata, composta dai classicisti, dagli sperimentalisti / formalisti piuttosto che dai poeti che la poesia preferiscono gridarla, urlarla, slammarla. E i neo-dialettali, gli inventori di lingue, i buoni e i pessimi poetastri della domenica. Ogni generazione presenza oramai le medesime divisioni, di cui spesso sono ignari gli stessi autori. Esiste un taglio netto che il linguaggio ha operato a partire dalla poesia del primo Novecento, anzitutto quando il verso libero si è imposto e ha sospinto la scrittura in versi e in rima nella musica, che ancora, come sappiamo, ne fa ampio uso, si vedano fra i tanti i parolieri degli anni Sessanta e Settanta, o i Jovanotti dei nostri giorni. La poesia nel frattempo si è diminuita, nel linguaggio, ha sposato spesso un tono realista e quasi fotografico, intimista, sebbene le differenze, le distinzioni, le eccezioni esistano.Volgiamo lo sguardo ai cipressi alti e schietti del vialone di Bolgheri. Non è l'unico vialone del genere, ricordo i cipressi della strada di Montichiello, a Poltepulciano, che risalgono come slalomisti al contrario, dal basso verso l'alto, contrappuntando una strada asfaltata. Oppure un viale in Val d'Orcia. I più annosi fra i cipressi di Bolgheri dovrebbero essere stati messi a dimora nel 1832, e quindi hanno un'età che si attesta intorno ai 180-190 'anni. In precedenza il viale era alberato a pioppi cipressini ma i bovini che pascolavano se ne nutrivano. I fusti più articolati non superano i due metri di circonferenza, il che li rende degli alberi non particolarmente eccezionali, di certo non paragonabili ai cipressi monumentali che esistono in Italia. A Bolgheri è il viale a essere monumentale, e difatti spesso qui si vedono macchine d'epoca con sposa dal velo chilometrico e felici mariti in abiti improbabili da principi d'un tempo che fu. L'abitato cresciuto intorno al Castello offre anche un bell'esemplare di ulivo butterato, che un cartello che segnala la piantumazione nel 1720, tre secoli fa. Oltre si distende la Bolgherese, cui suoi preziosi vigneti che producono alcuni dei bianchi più pregiati della regione. E, fra un filare a l'altro, capita di imbattersi in querce monumentali.