2024-11-23
Pure i cinesi provano ad anticipare Trump
Il tycoon rischia di sottrarre al Dragone la mediazione con Mosca. E a Pechino temono l’asse Israele-Arabia.È una partita politico-diplomatica complicata quella che va delineandosi in Medio Oriente. La Cina sta infatti approfittando della transizione presidenziale negli Stati Uniti per cercare di rafforzare la propria influenza regionale prima che Donald Trump si insedi, il prossimo 20 gennaio. Martedì scorso, si è tenuto a Riad il secondo incontro del Comitato congiunto trilaterale tra Cina, Arabia Saudita e Iran. Nell’occasione, sauditi e iraniani hanno confermato il processo di distensione che, mediato da Pechino, era stato avviato l’anno scorso. I tre partner hanno anche espresso dure critiche nei confronti di Israele. Insomma, se ci si limitasse a questo summit, sembrerebbe proprio che il rilancio degli Accordi di Abramo sia improbabile. D’altronde quelle intese sono viste come fumo negli occhi tanto da Teheran (che teme l’isolamento) quanto da Pechino (che considera a rischio la propria influenza regionale).Tuttavia, a ben vedere, la situazione è più complessa di come appare. Sì, perché Riad continua a essere preoccupata delle ambizioni nucleari degli ayatollah. Ieri, Teheran ha annunciato che avrebbe avviato centrifughe «nuove e avanzate», ufficialmente in risposta alla risoluzione di censura che l’Aiea aveva approvato nei confronti del regime khomeinista. Dall’altra parte, un funzionario israeliano ha confidato al Jerusalem Post che, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, lo Stato ebraico potrebbe decidere di colpire i siti nucleari dell’Iran.Del resto, il tycoon ha già lasciato chiaramente intendere di voler ripristinare la politica della «massima pressione» su Teheran: il suo obiettivo non è un regime change ma mettere semmai gli ayatollah con le spalle al muro, per costringerli a rinegoziare radicalmente l’accordo sul nucleare, da cui lui stesso si era ritirato nel 2018. Il presidente americano in pectore è infatti notoriamente deciso a impedire che l’Iran si doti dell’arma atomica. Un obiettivo, questo, apprezzato non solo da Israele ma anche, più nascostamente, dall’Arabia Saudita. Pechino, da questo punto di vista, rischia invece un clamoroso cortocircuito. La Repubblica popolare è infatti storicamente fautrice del controverso accordo sul nucleare iraniano del 2015. E questo complica i suoi sforzi per salvaguardare la distensione tra Riad e Teheran.Ed è proprio su questo punto che mira a far breccia Trump, per rilanciare gli Accordi di Abramo: il presidente americano in pectore vuole promuovere un riavvicinamento tra israeliani e sauditi, facendo leva sulla loro comune ostilità nei confronti del programma nucleare iraniano. Per tale ragione, la corsa contro il tempo di Pechino rischia di fallire. I cinesi hanno scaltramente approfittato, in questi quattro anni, della debole politica mediorientale di Joe Biden. E adesso temono (fondatamente) che Trump possa intaccare la loro influenza regionale, recuperando un rapporto privilegiato con Riad.È anche in quest’ottica che il tycoon continua a giocare di sponda con Benjamin Netanyahu. Se le Guardie della Rivoluzione iraniana hanno salutato con favore il mandato d’arresto della Corte penale internazionale contro il premier israeliano, l’amministrazione americana entrante starebbe già studiando delle sanzioni per colpire questo tribunale. «La Corte penale internazionale non ha credibilità e queste accuse sono state confutate dal governo degli Stati Uniti», ha anche dichiarato il consigliere per la sicurezza nazionale americano in pectore, Mike Waltz, per poi aggiungere: «Israele ha difeso legalmente il suo popolo e i suoi confini dai terroristi genocidi. Ci si può aspettare una forte risposta al pregiudizio antisemita della Corte penale internazionale e dell’Onu a gennaio».D’altronde, al di là della Corte penale internazionale, che non fa parte dell’Onu, Trump ha intenzione di tenere una linea di severità anche con le stesse Nazioni Unite. Non a caso, ha nominato come ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro la deputata repubblicana Elise Stefanik che, negli scorsi mesi, ha più volte tacciato l’Onu di antisemitismo. Non solo. Quest’ultima ha anche accusato recentemente le Nazioni Unite di difendere l’Iran e sposa inoltre delle posizioni piuttosto severe nei confronti di quella Pechino, che - ricordiamolo - ha acquisito sempre più peso in sede Onu. Ciò conferma come la nascente amministrazione americana abbia intenzione di arginare l’attuale politica cinese in Medio Oriente. Come del resto anche in Ucraina, Trump non vuole lasciare al Dragone l’iniziativa politica. Sa bene infatti che ciò lo rafforzerebbe ulteriormente agli occhi di quel Sud Globale rispetto a cui il tycoon punta a riconquistare influenza dopo gli anni di Biden. Il confronto tra Washington e Pechino si avvia, insomma, a essere più complesso e articolato del previsto.
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