
Tra lo smantellamento della democrazia a Hong Kong e le nuove minacce a Taipei, non si arresta l’aggressività di Pechino. Va innanzitutto avanti la stretta autoritaria su Hong Kong. Le forze dell’ordine locali hanno reso noto la settimana scorsa di aver arrestato sette persone che lavoravano presso la testata giornalistica Stand News con l’accusa di “cospirazione per la pubblicazione di pubblicazioni sediziose”. Il fatto è avvenuto dopo che la redazione è stata oggetto di un raid condotto da 200 agenti. In particolare, secondo una nota diffusa dalla polizia, l’operazione puntava “a perquisire e sequestrare materiale giornalistico rilevante”. La testata ha quindi annunciato la chiusura, scrivendo su Facebook: “A causa della situazione, Stand News cesserà immediatamente le attività”. Il capo della polizia di Hong Kong, Steve Li, ha dichiarato che il giornale avrebbe incitato odio contro le autorità, annunciando inoltre che le forze dell’ordine avessero sequestrato asset per un valore di oltre 7 milioni di dollari. Non erano inoltre stati esclusi ulteriori arresti. Non si è fatta attendere la reazioni degli Stati Uniti. “Mettendo a tacere i media indipendenti, la Repubblica popolare cinese e le autorità locali minano la credibilità e la possibilità di sopravvivenza di Hong Kong”, ha dichiarato il segretario di Stato americano, Tony Blinken. “Un governo sicuro di sé che non ha paura della verità abbraccia una stampa libera”, ha aggiunto. Fondato nel 2014, Stand News era un sito giornalistico, schierato con il fronte pro democrazia: un elemento, questo, che lo ha reso particolarmente sgradito agli occhi di Pechino. Tutto è avvenuto nell’ambito della controversa legge sulla sicurezza nazionale che, fortemente caldeggiata dal governo cinese, è stata formalmente approvata nel giugno del 2020. Proprio questa legge è stata utilizzata, lo scorso giugno, per chiudere un altro giornale di opposizione, come l’Apple Daily. Anche in quel caso, la redazione fu oggetto di un raid da parte delle forze dell’ordine e –anche in quel caso– si registrarono arresti tra i dirigenti. Le autorità procedettero inoltre, come oggi, al congelamento degli asset della compagnia editoriale, costringendo così la testata a chiudere i battenti. Tutto questo, senza dimenticare che, appena poche settimane fa, il fondatore dell’Apple Daily, il magnate Jimmy Lai, ha ricevuto una nuova condanna per aver preso parte due anni fa alla commemorazione del massacro di Piazza Tienanmen. Insomma, nel caso di Stand News lo schema si è replicato, mentre la mannaia cinese continua ad abbattersi sulla democrazia di Hong Kong. Una stretta di fatto suggellata dalle elezioni legislative che si sono tenute lo scorso 19 dicembre: elezioni farsesche, visto che –grazie alla nuova legge elettorale di fatto imposta dal governo cinese– 89 seggi su 90 sono andati a candidati pro Pechino. E’ quindi sempre più evidente che il Partito comunista cinese sta sistematicamente calpestando il principio “un Paese, due sistemi”, che era stato invece sancito nella Dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984. Ma non è tutto. Eh sì, perché –sempre pochi giorni fa– la Cina è tornata a minacciare direttamente Taipei. “Se le forze separatiste di Taiwan in cerca di indipendenza provocano, esercitano la forza o addirittura superano qualsiasi linea rossa, dovremo adottare misure drastiche”, ha dichiarato il portavoce dell'Ufficio cinese per gli affari di Taiwan, Ma Xiaoguang. Ricordiamo che, negli ultimi mesi, la Repubblica popolare ha significativamente incrementato la pressione militare sull’isola. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno replicato, inserendo nel loro nuovo budget della Difesa l’invito per Taipei a partecipare alla prossima Rimpac: si tratta della più grande esercitazione navale al mondo, che viene organizzata dalla marina americana ogni due anni nel Pacifico. Il 2022, insomma, si apre con una Cina sempre più aggressiva. E alla fine si torna sempre alla stessa domanda. Realmente il Partito comunista cinese merita l’onore di ospitare le olimpiadi invernali del prossimo febbraio?
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