Le fonderie del Dragone tagliano la produzione del metallo chiave del Green deal. I prezzi schizzano, anche perché da dieci anni non si scoprono giacimenti. Washington si difende, Vecchio continente non pervenuto.La Cina si conferma essere l’elefante nella cristalleria dell’economia mondiale, mentre la transizione porta alla ribalta Paesi detentori di materie prime, con cui dovremo imparare a fare i conti. Qualche giorno fa le fonderie di rame cinesi hanno deciso a Shanghai di tagliare la produzione tra il 5% e il 10% e hanno deciso altresì di non pubblicare le tariffe di trattamento del rame per il prossimo trimestre. Il prezzo del rame sui mercati ha reagito verso l’alto, per poi stabilizzarsi attorno agli 8.880 dollari alla tonnellata. Le fonderie cinesi stanno soffrendo per la mancanza di concentrato di rame da trattare, e per accaparrarselo sono state costrette ad abbassare fino a 11 $/tonnellata le loro tariffe, che normalmente viaggiano attorno agli 80 $/tonnellata. Tagliando la produzione sperano di recuperare margini, ma intanto la produzione cinese di rame raffinato a febbraio è cresciuta di un altro 10%.Movimenti importanti sul mercato dei futures del rame, intanto, fanno pensare a un rialzo stabile dei prezzi. Anche se la quotazione del metallo rosso in queste settimane ondeggia, per la prima volta da due anni le posizioni lunghe (cioè in acquisto) dei trader negli Usa sono tornate a 100.000 contratti, e ora la posizione netta del mercato americano è nettamente rialzista, per quasi 40.000 contratti. Stessa cosa sul mercato Lme (London metal exchange) di Londra, dove le posizioni lunghe sono salite a 70.000 e a Shanghai, dove la posizione lunga è di ben 533.000 contratti futures. Il contesto di domanda non entusiasmante dello scorso anno ha sinora nascosto le difficoltà dell’offerta, con estrazione e lavorazione concentrate in poche mani. Ma il fabbisogno di rame dato dal Green deal mondiale, a meno di cambi radicali nelle politiche, presto si farà sentire evidenziando le carenze dell’offerta. È sufficiente analizzare i dati raccolti da S&P Market intelligence relativi alle scoperte. Tra il 1990 e il 2021 sono stati scoperti 228 depositi di rame, contenenti 1,18 miliardi di tonnellate di rame in riserve, risorse e produzione passata. La tendenza al ribasso nel numero di scoperte e nei relativi volumi di materiale è drammatica: negli ultimi nove anni solo due scoperte significative. Il rame che viene estratto oggi è dunque stato scoperto 20 anni fa e più, mentre gli investimenti in nuove ricerche sono stati frenati dai prezzi alti che hanno incoraggiato a sfruttare le miniere esistenti. A fronte di una domanda di rame che supererà la produzione di rame raffinato, l’industria non sta facendo abbastanza nuove scoperte di alta qualità e questo si rifletterà nei prezzi nei prossimi anni.Intanto la produzione di rame in Cile, il più grande produttore al mondo, è cresciuta nel mese di febbraio del 9,95% su base tendenziale, raggiungendo le 420.000 tonnellate, secondo l’Istituto nazionale di statistica cileno.Mentre il Congo è diventato nel 2023 il secondo maggior produttore di rame del mondo, scalzando il Perù (produzione 2023 2,84 milioni di tonnellate contro 2,76), l’Indonesia, altro grande produttore, ha imposto da giugno prossimo il blocco delle esportazioni di concentrato di rame. Il governo del presidente Joko Widodo vuole favorire la crescita di capacità di raffinazione nazionale, così da avere valori in export più alti rispetto alla vendita del solo materiale grezzo. Entrano in questo blocco, dunque, motivazioni di equilibrio dei saldi commerciali con l’estero, considerato l’appetito della Cina e dell’Occidente. La compagnia mineraria Freeport McMoran ha però avvisato il governo di Giacarta che un blocco delle esportazioni potrebbe ritorcersi contro le finanze indonesiane, poiché nessuna compagnia sarà pronta per giugno con impianti di raffinazione.Lo stesso Cile ha deciso di privatizzare parte dei propri giacimenti di litio. Con una mossa inattesa, oltre 20 campi di estrazione saranno messi a gara nei prossimi mesi. Si tratta di un tentativo di massimizzare il valore delle concessioni, prima che altri rallentamenti nello sviluppo dell’auto elettrica provochino una nuova diminuzione dei prezzi.La Cina continua a pesare sui prezzi delle materie prime, dal petrolio, di cui è grande importatore, all’acciaio, ai minerali di ferro, al rame e al litio. Le incertezze sul settore immobiliare cinese si fanno sentire sul prezzo del minerale di ferro, ad esempio, che dai massimi di gennaio a 135 dollari la tonnellata è crollato ai 99 dollari a tonnellata di mercoledì.L’Unione europea appare indifesa e la strategia sui materiali critici, approvata nei mesi scorsi, non appare in grado di mettere al riparo l’Europa dalla dipendenza da Cina e da altri Paesi.Non è così negli Stati Uniti, dove anzi, dopo l’Inflation reduction act che protegge i prodotti americani, Joe Biden ha concesso 500 milioni di dollari alla compagnia Century aluminium per la costruzione di una fonderia di alluminio primario sul territorio statunitense. Negli Usa infatti gli stabilimenti sono calati in 20 anni da 19 a quattro, spiazzati dalla concorrenza asiatica, e la produzione è scesa da 3,6 milioni di tonnellate nel 2000 a 785.000 tonnellate nel 2023. Persino i democratici che abitano pro tempore la Casa Bianca, dunque, non esitano a proteggere gli interessi economici nazionali, mentre Bruxelles sta alla finestra.
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(IStock)
A rischio un comparto che da noi dà lavoro a 100.000 persone. L’Italia si oppone.
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Il quotidiano dei vescovi celebra il Giubileo di «omoaffettivi e Lgbt». Neanche una riga per le ostetriche che si ribellano alla proposta di Crisanti di far praticare loro gli aborti.
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Il colonnello Melosu ha raccontato di non aver soddisfatto i desiderata dei carabinieri infedeli e della Procura di Pavia. Per questo sarebbe stato accusato di falso ideologico, subendo una perquisizione in tempi record.