2020-12-25
La convergenza tra Cina e Pakistan fa male all'India
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Passo Khunjerab, confine tra Cina e Pakistan (iStock)
A inizio dicembre, il ministro della Difesa cinese, Wei Fenghe, si è recato in visita a Islamabad, dove ha incontrato il presidente pakistano, Arif Alvi, e il premier, Imran Khan. Nel corso del vertice, le due parti hanno innanzitutto sottoscritto un memorandum d'intesa per rafforzare la cooperazione in materia di Difesa. In secondo luogo, sono stati affrontati anche significativi aspetti di natura geopolitica.In particolare, le alte sfere di Islamabad hanno garantito il proprio sostegno nei confronti di Pechino su alcuni spinosi dossier che la vedono direttamente coinvolta: da Taiwan al Tibet, passando per il Mar Cinese Meridionale. Dal canto suo, stando a quanto riferito dall'agenzia Xinhua, Wei Fenghe ha replicato, sostenendo che la Cina «è desiderosa di far fronte congiuntamente ai rischi e alle sfide con il Pakistan, salvaguardare fermamente la sovranità e gli interessi di sicurezza di entrambi i Paesi e mantenere la pace e la stabilità regionale». Un'affermazione che va letta come un (neppur troppo implicito) impegno di Pechino a spalleggiare il Pakistan in funzione anti-indiana. Insomma, la convergenza tra i due Paesi si sta facendo sempre più stretta: in tal senso, la Repubblica Popolare si è anche offerta di aiutare Islamabad nel contrasto alla pandemia di Covid-19. Il presidente Alvi, pochi giorni fa, ha non a caso ringraziato pubblicamente Pechino proprio su questo fronte. Ora, va da sé che il rafforzamento dei legami tra Cina e Pakistan non possa essere separato da un problematico contesto geopolitico. In primis, come già accennato, questa convergenza viene usata da Pechino in chiave principalmente anti-indiana. Non dimentichiamo che le relazioni tra Cina e India risultino particolarmente turbolente. Sotto questo aspetto, vanno tenute presenti le fibrillazioni militari che si verificano al confine tra i due Stati, senza poi ignorare che Pechino tema un eccessivo avvicinamento di Nuova Delhi nei confronti di Washington. Un'ulteriore fonte di attrito risiede poi nel fatto che all'India non dispiaccia l'idea di un Tibet autonomo: uno scenario che la Repubblica Popolare non è affatto disposta ad accettare. Appena lo scorso settembre, The National Interest ha lasciato addirittura intendere che una guerra tra Pechino e Nuova Delhi sia tutt'altro che escludibile. È quindi alla luce di tutto questo che il Dragone sta rafforzando la cooperazione con uno storico rivale dell'India, come il Pakistan. Dall'altra parte, Islamabad si sta sempre più gettando nelle braccia di Pechino anche in conseguenza del proprio allontanamento da Washington. Se ai tempi di Barack Obama le relazioni tra Pakistan e Stati Uniti erano tutto sommato altalenanti, con Donald Trump i rapporti si sono decisamente raffreddati. L'attuale presidente americano ha bloccato nel 2018 gli aiuti economici ad Islamabad, criticandola - tra l'altro - per non aver fatto abbastanza nella lotta al terrorismo. Inoltre, lo scorso maggio, Trump aveva proposto la creazione di un G11 a cui far accedere l'India: un G11 che presentava un obiettivo evidentemente anti-cinese. È abbastanza chiaro che una simile proposta possa aver contribuito all'avvicinamento tra Islamabad e Pechino.A questo punto non è semplice capire che cosa accadrà nel prossimo futuro. Secondo una recente analisi pubblicata da The Diplomat, non è escludibile che l'amministrazione di Joe Biden possa parzialmente allentare la tensione con il Pakistan: l'obiettivo sarebbe principalmente quello di ottenere assistenza nel processo di pace in Afghanistan. Una strategia non nuova della diplomazia americana, ma che in passato ha dato scarsi frutti. Da questo punto di vista, è allora plausibile ritenere che la Cina - forte del suddetto avvicinamento - possa usare in qualche modo Islamabad come strumento per creare indirettamente problemi a Washington proprio sullo spinosissimo fronte afghano. In tal senso, risulterà fondamentale capire quale sarà esattamente la linea di Biden nei confronti non solo di Pechino ma anche di Nuova Delhi.
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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(Totaleu)
Lo ha detto Riccardo Preve, presidente della Federazione dei Risifici Europei (Ferm), a margine dell'evento sul riso organizzato all'Eurocamera di Bruxelles dall'eurodeputato di Fratelli d'Italia Carlo Fidanza.