- Il presidente di Adapt, Emmanuele Massagli: «Con il Covid, seguendo il modello Alitalia, lo Stato ha deciso di estendere la cassa integrazione e vietare i licenziamenti. Ma la vera risposta sono politiche attive per riqualificare le persone e poi farle assumere sfruttando il rimbalzo».
- Senza tutele e in balia di grossi gruppi. Paolo Capone: «Far west. Serve un accordo collettivo».
Il presidente di Adapt, Emmanuele Massagli: «Con il Covid, seguendo il modello Alitalia, lo Stato ha deciso di estendere la cassa integrazione e vietare i licenziamenti. Ma la vera risposta sono politiche attive per riqualificare le persone e poi farle assumere sfruttando il rimbalzo».Senza tutele e in balia di grossi gruppi. Paolo Capone: «Far west. Serve un accordo collettivo».Lo speciale contiene due articoli.Lo Stato non ha mai avuto l'idea di quali politiche attive sul lavoro portare avanti. Così continuiamo a pagare la cassa integrazione che ci costa ben di più rispetto a percorsi di riqualificazione per chi perderà il lavoro dopo lo sblocco dei licenziamenti. A parlarne è Emmanuele Massagli, presidente di Adapt.Andrea Orlando sta attuando una logica tutta difensiva per cui si bloccano i licenziamenti e si danno soldi attraverso gli ammortizzatori, ma non si propongono politiche attive. È d'accordo?«È così. Il nodo è questo: il ministro Orlando sta preferendo una strategia che è quella che abbiamo quasi sempre attuato durante le crisi e cioè potenziare le politiche passive del lavoro perché non si sa cosa fare con quelle attive. Mi spiego: Orlando ha provato ad allungare il blocco dei licenziamenti fino al 31 agosto, ma Mario Draghi si è opposto. In realtà, la fine del blocco è un finto problema per due motivi. Il primo è che il blocco del 31 giugno riguarda l'industria e, a oggi, le grandi imprese industriali stanno già godendo di un rimbalzo positivo a eccezione, certo, di alcuni comparti come il tessile. Non è quello industriale il settore dove si licenzierà di più». Quando arriveranno i problemi maggiori? «Il 31 ottobre scadranno tutte le forme integrative alla cassa integrazione ordinaria, soprattutto per commercio, servizi e turismo, i settori più massacrati dalla crisi Covid. A ottobre, quindi, almeno all'inizio, avremo un numero considerevole di licenziamenti, che non vedremo a giugno. Inoltre, se prendiamo in considerazione il numero dei licenziamenti che non ci sono stati quest'anno e facciamo un paragone con il numero medio di licenziamenti prima del Covid, vediamo che negli ultimi 12 mesi non ci sono stati circa 360.000 licenziamenti. Di questi, però, molti non avverranno perché nel frattempo alcune imprese sono ripartite. Senza considerare che, anche durante il blocco, in Italia abbiamo avuto circa 20.000 licenziamenti al mese tra provvedimenti disciplinari e collettivi». Alla fine, chi rischia? «I lavoratori che a oggi sono ancora a zero ore di cassa integrazione. Si tratta di un numero compreso tra le 30.000 e le 100.000 persone. Sono le stime dell'Istat e della Banca d'Italia. Si tratta di un numero in assoluto alto, ma non impossibile da gestire attraverso politiche attive. Bisognava fluidificare il mercato del lavoro, attuare piani di formazione e incentivare le assunzioni. Invece, nel Pnrr c'è solo qualcosa di accennato e nulla più. La cassa integrazione straordinaria a noi è costata tra i 35 e i 40 miliardi, grazie anche al fatto che non c'era più vincolo di bilancio. In pratica noi abbiamo speso in Cig quanto nell'ultimo decennio. Un periodo nel quale c'è stata pure la grande crisi del 2008». Chi paga questa situazione?«I lavoratori più deboli. Le donne con titoli di studio bassi ed età avanzata, e gli uomini con titoli di studio bassi. Persone che non hanno mercato e quindi l'unico modo che hanno per avere reddito è la Cig. Persone che dipendono dalla cassa integrazione, come nel caso della forza lavoro di Biandrate. Il messaggio è: “Non sappiamo che soluzione offrirvi, cerchiamo di darvi qualche centinaio di euro al mese e poi ci pensa il reddito di cittadinanza". L'alternativa inevitabile è scommettere su percorsi di qualificazione. Serve un grande piano di riqualificazione, di aggiornamento sul digitale. Tutti fattori che costerebbero ben meno dei soldi spesi finora per la Cig. Ma è difficile, perché ogni lavoratore ha una storia a sé e servono percorsi specifici. Questo dovrebbe essere il ruolo del ministero del Lavoro, usando i fondi del Pnrr».Tutto questo come se poi il mercato del lavoro italiano non avesse limiti radicati da ben prima del Covid... «Nel mercato del lavoro si sta osservando quello che molti hanno visto nell'economia. Il Covid lo ha solo accelerato. Gli scompensi del mercato del lavoro post Covid sono gli stessi di quelli pre Covid. L'Italia ha sempre preferito le politiche passive sul lavoro rispetto a quelle attive. Negli anni Ottanta e Novanta abbiamo assistito a casi ridicoli di cassa integrazione. Mi viene in mente, ad esempio, la vicenda degli Ospedali riuniti di Bari che hanno fatto 14 anni di Cig o quella dell'Alfa Romeo di Arese con i suoi dieci anni di cassa. Noi, a spese dello Stato, abbiamo preferito tanti piccoli modelli Alitalia. Questo ha fatto sì che, al primo momento di crisi, i sindacati andassero a battere cassa dalla politica e lo Stato, spesso per motivi politici, quando poteva, ha sempre pagato». Cosa dovrebbe fare lo Stato allora?«Noi ora stiamo crescendo a ritmi del 5% grazie al rimbalzo. Con questi tassi, le aziende hanno bisogno di assumere. Il governo dovrebbe riqualificare le persone per favorire la loro assunzione. Dovrebbe liberare dai vincoli il mercato lavoro». Il presidente di Adapt, Emmanuele Massagli (YouTube) <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cig-oltranza-male-specie-deboli-2653464300.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lesercito-dei-50-000-padroncini-che-il-sindacato-sceglie-di-ignorare" data-post-id="2653464300" data-published-at="1624146660" data-use-pagination="False"> L’esercito dei 50.000 padroncini che il sindacato sceglie di ignorare Quello dei padroncini è un mondo in grave crisi da ben prima che arrivasse il Covid. L'ultimo censimento sui camionisti realizzato da Federtrasporti al 31 agosto 2019 conta 46.991 professionisti individuali su totale di 89.770 imprese dei trasporti (circa 10.000 hanno chiuso tra il 2014 e il 2019). Già due anni fa il dato sui professionisti individuali era in caduta libera con una popolazione di camionisti in calo del 21,4% negli ultimi cinque anni precedenti alla rilevazione. Oggi, tra Covid e crisi economica, il numero sarà con ogni probabilità ancora più basso. Del resto, a dispetto del nome, la situazione dei padroncini è assimilabile a quella dei riders che trasportano cibo nelle città. Si tratta di professionisti che sono ben poco padroni di loro stessi perché spesso costretti a trasportare merci in lungo e in largo: diversamente non guadagnerebbero un euro. Ecco perché è un lavoro che i giovani non vogliono fare. Secondo Federtrasporti, solo il 18,1% di chi guida un Tir ha meno di 40 anni, mentre il 66% ha più di 50 anni. Obesità, apnee notturne, poca attenzione alle correzioni della vista, dolori osteomuscolari, pressione alta e sindrome metabolica. Sono questi i disturbi più ricorrenti secondo Federtrasporti tra chi ogni giorno si mette alla guida di un camion per trasportare merci da una parte all'altra del Paese. Il 53% degli autisti visitati durante l'indagine porta gli occhiali, di questi il 55% non ha delle lenti corrette adeguatamente. Solo il 29% di coloro che portano gli occhiali effettua un controllo della vista all'anno e il 28% ha dichiarato di non vedere bene. D'altronde, proprio come fino a poco tempo fa accadeva nel caso dei riders, anche per i padroncini non c'è un accordo che ne regoli la professione, ma solo l'obbligo di trasportare per guadagnare. «Servirebbe un accordo sindacale che porti a regole che tutelino questi lavoratori», ha detto Paolo Capone, segretario Ugl, sindacato che in passato si è già battuto per il contratto dei riders. «Quello dei padroncini è un far west che va regolamentato. Servono maggiori garanzie sul prezzo imposto dalle case di distribuzione, sulla sicurezza e su tutti gli aspetti del mestiere che oggi non hanno una regola», dice Capone. L'omicidio di Biandrate, nei pressi di Novara, in cui Alessio Spaziano, 25 anni, (che subito dopo il fatto mentre era in fuga avrebbe chiesto aiuto al suo padrino di cresima, un sovrintendente della polizia, che gli avrebbe consigliato di costituirsi per non peggiorare la situazione) due giorni fa ha travolto Adil Belakhdim, 37 anni, sindacalista e coordinatore provinciale dei Si Cobas, ha riacceso quindi il faro su una categoria che va avanti senza regole o quasi. Un centinaio di persone, lavoratori e delegati Si Cobas, da ieri mattina hanno iniziato un presidio no stop davanti al magazzino Lidl di Biandrate organizzato dopo la morte del sindacalista, una manifestazione che andrà avanti ancora oggi. I colleghi di Belakhdim, inoltre, si stanno muovendo per una raccolta fondi a favore della sua famiglia. Sempre i Si Cobas, a Roma, in ricordo del professionista ucciso, hanno scelto di prendere parte alla manifestazione della logistica che si è tenuta ieri in piazza della Repubblica a Roma, evento già in programma dopo lo sciopero di due giorni fa. Sempre a seguito della morte del sindacalista anche una delegazione di Cgil, Cisl e Uil ha indetto per ieri e oggi due giorni di sciopero a Biandrate.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?






