Gli ultimi dati Abi mostrano che i tassi dei prestiti sono rimasti alti e hanno schiacciato il credito. L’unico dato positivo riguarda le sofferenze delle banche, ai minimi: alle condizioni attuali, infatti, i criteri per «selezionare» i debitori sono più stringenti.
Gli ultimi dati Abi mostrano che i tassi dei prestiti sono rimasti alti e hanno schiacciato il credito. L’unico dato positivo riguarda le sofferenze delle banche, ai minimi: alle condizioni attuali, infatti, i criteri per «selezionare» i debitori sono più stringenti.Se qualcuno avesse voluto avere un nitido quadro dei danni che sta producendo la politica monetaria della Bce guidata da Christine Lagarde su imprese e famiglie italiane, non avrebbe potuto trovare nulla di meglio dell’ultimo rapporto mensile dell’Associazione bancaria italiana (Abi) aggiornato a marzo.Sembra una tempesta perfetta: volumi dei prestiti a famiglie e imprese in calo per il dodicesimo mese consecutivo, tassi di interesse medi sui nuovi prestiti inchiodati ben oltre il 5%, tassi sulla raccolta stazionari e sofferenze bancarie ridotte al lumicino. Il Bengodi per le banche. L’esatto opposto per le famiglie e le imprese.Tanti sono i punti che meritano di essere uniti. Partiamo dai volumi dei prestiti e dal livello dei tassi e delle sofferenze. Tre gambe dello stesso tavolo. Il dato di aprile purtroppo conferma un trend discendente nei volumi che è partito esattamente un anno fa, ha accelerato a cavallo dell’estate e, da allora, fa segnare una costante variazione negativa, anno su anno, intorno al 3%. Dodici mesi fa, lo stock di prestiti a famiglie ed imprese era pari a 1.322 miliardi, a marzo si è invece attestato a 1.281 miliardi. Circa 40 miliardi di prestiti sottratti al sistema, l’equivalente di due punti percentuali di Pil. L’Abi e Bankitalia imputano tutto al calo della domanda di credito, a sua volta, conseguenza del maggior ricorso all’autofinanziamento, del minor fabbisogno per investimenti e dell’elevato livello dei tassi.In questo contesto non deve quindi meravigliare la sostanziale stazionarietà del livello delle sofferenze, pur in presenza di economia in frenata e tassi elevati. Come ci ha confermato, a microfoni spenti, un esponente di vertice del sistema bancario, le sofferenze non aumentano perché le banche hanno reso più selettivi i criteri di accesso al credito e, di conseguenza, i potenziali cattivi pagatori sono stati esclusi in partenza o si sono autoesclusi per l’evidente impossibilità di sostenere certi livelli dei tassi. Meno volumi, meno perdite, più margini. E, se qualcosa andasse male, non dimentichiamo che una quota consistente dei prestiti erogati durante il lockdown beneficia della garanzia statale del Mediocredito centrale e della Sace. Rischio zero per le banche.Per dirla in modo più elegante, usiamo le parole di Bankitalia nell’ultima indagine trimestrale sul credito bancario, dove candidamente si ammette che «i termini e le condizioni generali sui finanziamenti sono stati irrigiditi, principalmente attraverso un aumento dei tassi di interesse praticati sui prestiti; i margini sono stati ampliati sui finanziamenti concessi alla clientela percepita come più rischiosa».Guardando i dati in prospettiva, un deciso cambiamento c’è stato tra la primavera e l’estate 2023, confermato dai dati di marzo. A giugno e settembre la Bce ha deciso gli ultimi due di dieci aumenti consecutivi dei tassi, pur in presenza di un’economia italiana e dell’eurozona in netta stagnazione e con l’inflazione in Italia che già ad ottobre era scesa sotto il 2%. Il risultato è stato un picco nel tasso di decrescita dei prestiti. Un caso di scuola, per chi volesse un esempio di guida osservando lo specchietto retrovisore.Da sottolineare che queste decisioni sui tassi si sono poi trasmesse in modo disomogeneo sui mercati monetari, con diversi effetti sui tassi dei prestiti e dei depositi. A tutto beneficio del margine delle banche.Tra agosto e novembre il tasso sui prestiti a società non finanziarie per nuove operazioni è salito dal 5,01% al 5,59% e a marzo siamo in discesa ma comunque attestati al 5,26%. Più significativo il calo dei tassi per i nuovi prestiti alle famiglie per acquisto di abitazioni (3,79% a marzo), per la maggiore incidenza del tasso fisso e per le scadenze più lunghe.La stretta al credito in Italia è stata ancora più forte rispetto all’eurozona. A marzo il tasso per nuovi prestiti fino a 1 milione di euro è stato pari al 5,81% contro il 5,38%. È stata colpita proprio la taglia tipica dei crediti erogati alle Pmi e tale differenza un anno fa era irrisoria.Dal lato della raccolta, le banche sono tornate a emettere massicciamente obbligazioni e sono riuscite a contenere il deflusso dei depositi, offrendo tassi adeguati sui depositi con durata prestabilita. Tuttavia sono riuscite a contenere gli aumenti, perché a marzo i flussi di raccolta hanno ricevuto un tasso medio del 3,70%, contro il 3,65% di luglio 2023. Si è così realizzato un discreto aumento della forbice tra tassi attivi e tassi passivi. Dopo i rimborsi dei massicci finanziamenti erogati dalla Bce, la fiducia nella solidità del sistema bancario italiano ha determinato anche un interessante aumento della raccolta sull’estero, che è da sempre una spia segnaletica che non mente, perché rivela la considerazione che gli investitori esteri (banche soprattutto) hanno del nostro Paese.Un quadro ancora più netto arriva osservando i tassi sulle consistenze di prestiti e depositi, anziché quelli sui flussi. A marzo il tasso medio sulla raccolta è stato pari al 1,26%, contro un tasso sui prestiti del 4,79%. Va osservato che quel tasso sui depositi è influenzato dallo 0,56% dei depositi in c/c che non sono uno strumento di investimento. Si è così sostanzialmente stabilizzata una forbice di circa 350 punti, con i tassi medi sui prestiti che hanno beneficiato dei flussi a tassi crescenti illustrata in precedenza ed i tassi sui depositi che hanno seguito più lentamente quel trend ascendente.Se le banche festeggiano, ci auguriamo che in Bce si ricordino che ci sono anche imprese e famiglie che devono far quadrare i conti.
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