2022-03-20
L’Occidente non si può ridurre al carpe diem
La diplomazia internazionale sa che l’operazione militare di Mosca è figlia di un negoziato che tanti ritenevano necessario ma che l’Occidente non ha aperto. Ok, inchiniamoci pure al «cogli l’attimo», unico principio sopravvissuto all’avanzata devastante della modernità occidentale. Attenzione però: se non ricordiamo che anche quell’attimo ha un passato e (inevitabilmente) un futuro, prodotto da ciò che ne facciamo, rischiamo di fare molto male, a noi stessi e agli altri. Da qualche settimana gran parte del mondo e tutto ciò che contiene, dalle persone alle valute, alle materie prime, viene shakerato dentro l’attimo della decisione di Vladimir Putin di invadere militarmente l’Ucraina, e dei leader del mondo occidentale di punirlo per averlo fatto. Come per la verità aveva ripetutamente minacciato di fare se l’intraprendente vicino non avesse interrotto la sua marcia verso l’Occidente e i suoi principi. La decisione e le conseguenze delle sanzioni, accompagnate dalle immagini e considerazioni fornite, hanno per prima cosa diviso in due il mondo: un fatto che - come si sa - in sé non è mai produttore di pace. Da una parte, dunque, il mondo «alto» con le sale e i tavoli del potere, compreso quello del leader ucraino Volodymyr Zelensky che però veste la maglietta del soldato semplice (presto imitato da Emmanuel Macron). Nel mondo dell’istante, infatti, il segno, rapido, sostituisce il simbolo, la comunicazione visiva è tutto, non c’è tempo né voglia di pensare. L’istante eccita e suscita ansia quanto la riflessione calma e fa pensare. Dall’altra parte il mondo basso: le vittime al loro posto, nella terra e nel sangue, tra le rovine, in mezzo ai fumi neri, barcollanti tra buchi nella terra, i cadaveri scomposti, frugati dagli obiettivi. Assieme a tanti altri, ulteriori mondi bassi (quelli produttivi, non distruttivi) coinvolti, molto diversi dalle smaglianti sale, conferenze e studi degli intellettuali intervistati. Come i lavoratori di piastrelle di Sassuolo che in Italia sono in cassa integrazione perché è dal Donbass che arriva l’argilla per lavorare, o i mobilieri che devono ora andare in Africa a cercarsi il legno, mentre i compratori russi coi loro rubli svalutati non comprano più nulla. È sempre in basso, avanzando lentamente con mezzi pesanti, sulla terra e sul fango, che si muovono poi i cattivi: i russi con i loro scarponi e le loro telefonate notturne alle mamme (intercettate della spie e subito diffuse ai giornali per alimentare la narrazione straziante). L’opposizione tra il peso (i carri armati e l’invasione) e la leggerezza (le sanzioni comunicate via Internet e le apparizioni sul Web) è del resto un’altra caratteristica dell’opposizione tra l’attualmente impopolare Storia, che si costruisce nel tempo, e l’attimo (oggi senz’altro preferito), che distrugge in un istante, senza bisogno di conoscere la storia, anzi proprio perché non la si conosce affatto.È così che giornali e televisioni raccontano subito, tutti eccitati, del fallimento della sporca operazione militare. Intanto i russi avanzano, lentamente, e le città cadono, una dopo l’altra. Nel frattempo, nel mondo alto, giusto e pulito, su Internet, negli incontri di vertice o nelle telefonate private dei leader, avanzano le trattative. Non senza, però, paurose e insospettate scivolate, perché alla fine, quando la Storia è stata risvegliata, si scopre comunque che il potere degli umani che lo manovrano non è così grande come si crede. Se non nel distruggere. Nel grande e rumoroso spettacolo, unico discreto e profondo testimone dell’eterno, il Papa chiama un taxi, e si fa portare dall’ambasciatore russo a Roma, per dirgli la sua costernazione.Ma da dov’è nato quell’attimo di perversa follia che, come si racconta, avrebbe spinto Putin a invadere l’Ucraina, e i leader occidentali a sanzionarlo per porre fine al suo potere? È nato dal contrario dell’attimo, dalla Storia che gli amanti dell’istante non vogliono vedere, perché richiede sacrifici ed è impegnativa per tutti, mentre il culto dell’attimo come ogni finzione riduttiva, come un videogioco, fabbrica eroi e mostri che tali non sono mai completamente, e narrazioni che vengono poi regolarmente smentite, come quella afgana miseramente conclusa qualche mese fa, dopo anni di sangue, velleità e stupidaggini. Sentiamo cosa scrivevano due scienziati politici impegnati a Chatham House (uno dei maggiori pensatoi di relazioni internazionali) i professori Jennifer Lind e Daryl G. Press sul formarsi dell’attimo scoppiato poche settimane fa e noto a tutti da anni sul bimestrale Foreign Affairs, rivista di grande prestigio e tra l’altro molto vicina al Dipartimento di Stato americano. L’articolo è: «Prova di realtà. Il potere americano nell’epoca dei limiti». Dopo aver descritto la Russia come un «improbabile impedimento» al primato americano, e comunque la nota determinazione di Putin nell’arrestare l’espansione occidentale attraverso l’Ucraina, i due politologi concludevano: «Per evitare il conflitto i due avversari devono fare uno scambio: la rinuncia all’espansione occidentale in cambio della non interferenza della Russia. L’Occidente deve smettere ogni allargamento della Nato e dell’Ue nell’Europa dell’est. In cambio, la Russia deve accettare di smettere la sua campagna di interferenze nella politica locale dei Paesi». Con l’eloquente, successiva parentesi: («Ma anche Washington dovrebbe abbandonare questi metodi»). Questo articolo è di due anni fa: da allora quasi ogni numero del bimestrale è tornato a occuparsi della spinosissima questione, constatando che non si era fatto nessun passo avanti, anzi. Ma allora perché tutta questa sorpresa, se tutta la diplomazia internazionale sa benissimo che questa invasione non è figlia dell’improvvisa follia di Putin (che potrebbe anche esserci, ma qui non c’entra) ma di un negoziato che tutti sapevano necessario ma l’Occidente non ha mai aperto, malgrado le ripetute proteste della Russia? Mentre scrivo leggo che il presidente cinese Xi Jinping ha esortato tutte le parti coinvolte nella crisi in Ucraina «a sostenere congiuntamente il dialogo e il negoziato tra Russia e Ucraina e trattare i risultati e la pace». Molto saggio, ma era già stato detto, da tempo. Perché nessuno l’ha fatto? Perché il leggero, coraggioso, audace «cogli l’attimo» è, in realtà, quello che un altro leader cinese, Mao chiamava nel suo Libretto rosso: «Bastonare il cane che annega». Cioè: «finisci il perdente», profitta della situazione. Non proprio una cosa elegante per uno schieramento umanitario e politicamente corretto. Per sapere chi vince e chi perde, però, occorre pazienza, come per imparare la storia. Non si fa in un attimo. Ed è poco spettacolare, piuttosto meditativo. Insomma, come diceva ancora il vecchio Mao: «Non è un pranzo di gala». Quelli che piacciono ai nostri presidenti, che forse non se la cavano benissimo tra guerre e sanzioni.
Jose Mourinho (Getty Images)