2021-01-09
Sui vaccini
millantano record per coprire i ritardi
A Giuseppe Conte piace guardare nello specchietto retrovisore, così facendo dimentica però di tenere l'occhio sulla strada che ha davanti. Risultato, in questi giorni, oltre a curarsi della crisi di governo, preferisce pavoneggiarsi, assieme al commissario straordinario dell'emergenza Covid, per il numero di vaccini fatti negli ultimi 15 giorni. Dimenticando però di pensare a quelli che dovranno essere fatti da qui ai prossimi mesi per rendere immuni al coronavirus gli italiani. Più o meno si ripete la storia dello scorso anno, quando il nostro Paese si trovò per la prima volta a fare i conti con la pandemia. Anche allora, dopo le prime settimane, il presidente del Consiglio si complimentò con sé stesso, arrivando perfino a sostenere che l'Italia fosse un modello per l'Europa, anzi, per il mondo. Secondo l'avvocato di Volturara Appula, tutti invidiavano la decisione e la celerità con cui avevamo affrontato l'emergenza. Si capì solo in un secondo tempo che le cose non stavano esattamente come venivano narrate dall'ufficio stampa di Palazzo Chigi. L'Italia, oltre ad avere più morti dei Paesi vicini, era costretta a registrare una caduta più marcata del Pil e gli aiuti che dovevano rafforzare l'economia stentavano ad arrivare. Il giudizio finale sulla prima ondata è sintetizzato dagli studi degli analisti: non siamo stati i migliori e se nella classifica non figuriamo come i peggiori è solo perché dell'elenco fanno parte alcuni Paesi che non hanno una sanità sviluppata e un'economia attrezzata. Ciò detto, almeno con i vaccini ci saremmo aspettati una reazione più adeguata. Superato l'effetto sorpresa, ovvero un'epidemia che è stata colpevolmente nascosta dalla Cina, è da giugno che si parla di come immunizzarci dal coronavirus. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, annunciò di aver stretto un accordo con un'industria farmaceutica durante gli Stati generali, ossia sette mesi fa. Non era vero, come poi ha scoperto La Verità, tuttavia si sapeva che prima o poi il nodo da sciogliere sarebbe stato rappresentato dai vaccini e perciò era evidente che avremmo dovuto prepararci a un'inoculazione di massa, onde evitare altri contagi e altri morti. Come il governo si sia preparato all'appuntamento è noto: l'intera materia è stata affidata alle mani di Domenico Arcuri, che avendo dato splendida prova con le mascherine e con i banchi scolastici, non poteva che garantire risultanti altrettanto splendenti. I giorni fissati per la distribuzione dei vaccini si sono risolti con uno show a reti unificate, con un furgone carico di meno di 10.000 dosi scortato sotto l'occhio delle telecamere. Poi, sempre sotto lo sguardo vigile dei teleoperatori e dei fotografi, si è passati alle prime iniezioni. Partenza lenta, soprattutto in Lombardia, dove guarda caso l'alto commissariato all'emergenza pare aver inviato decine di migliaia di siringhe inutilizzabili per il vaccino in questione. Partenza lenta, non solo in Lombardia, anche per quanto riguarda il personale addetto alle vaccinazioni, le cui assunzioni non sono praticamente ancora partite. Ma questi, nella narrazione dell'Italia che tutti invidiano, sono dettagli, perché il nostro Paese per numero di immunizzati, è secondo in Europa, anzi - che dico - il primo, avanti anche all'efficientissima Germania. Peccato che finora le cifre siano piccolissima cosa rispetto al numero degli italiani da vaccinare. Poco sopra le 400.000 persone, segnava ieri il sito di Palazzo Chigi e, anche considerando uno scatto di reni per il fine settimana, si arriva a mezzo milione, meno di un centesimo della popolazione. Poi, al di là dei primati, il problema delle dosi a disposizione, che nel nostro caso sono pochine, rimane, perché una volta esaurite quelle arrivate in pompa magna, non è chiaro quando e da chi arriveranno le prossime. La Germania si è data da fare per comprarne 30 milioni da sola, mentre noi aspettiamo pazientemente il nostro turno, cioè che la Ue distribuisca quelle che ha promesso di acquistare. Il rischio di rimanere a corto di fiale è evidente e se a Berlino - che pure, come detto, fa da sé - le preoccupazioni sono forti, il nostro governo, grazie al flop manager di Stato, dorme tra due guanciali, pronto a rettificare le promesse come ha fatto in altri casi nell'ultimo anno e con le chiusure natalizie. Che il piano vaccinale non prometta nulla di buono non lo induce a pensare solo il fatto che le primule disegnate per l'occasione dall'archistar Stefano Boeri (cioè i tendoni sotto i quali si praticano le iniezioni) non siano ancora sbocciate nei centri cittadini, ma anche il fatto che non esista di fatto una lista dei candidati alla vaccinazione, dunque nessuno sa quando verrà il proprio turno. Qualcuno si è anche preso la briga di fare qualche conto e basandosi sulle previsioni di Domenico Arcuri, il quale ha assicurato di essere pronto a vaccinare tutti gli italiani entro settembre, ha provato a immaginare quante persone dovrebbero essere sottoposte a iniezione. Il calcolo è semplice: considerando 60 milioni di italiani, basta dividere per i 260 giorni che ci separano dal 30 settembre. Risultato: 230.000 vaccinati ogni giorno, sabati, domeniche, Pasqua, primo maggio e Ferragosto compresi. Arcuri, a dire il vero, puntava a 65.000 vaccinazioni al giorno, una volta raggiunta la velocità di crociera da manager pubblico. Ma così, per immunizzare tutti, serviranno tre anni, per la precisione 923 giorni, Pasqua, Natale e altre festività comprese. Insomma, campa cavallo. Anzi: campa Covid. Per dirla con un proverbio, sopra la panca la capra campa, sotto il Covid, Conte ci incanta. E un po' ci frega.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 21 ottobre con Carlo Cambi