2020-08-19
Chiamatelo Movimento 5 poltrone. Ma l’abbraccio col Pd sarà fatale
Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio (Antonio Masiello:Getty Images)
Per evitare una batosta alle prossime regionali, che avrebbe conseguenze anche sulla tenuta dell'esecutivo, gli ex nemici giurati della casta accettano qualsiasi ammucchiata. Snaturandosi, però, rischiano di sparire.Lo dice lui, il candidato governatore, l'uomo che ha vinto le Regionarie. «In parole povere, il Pd ci vuole comprare». Così, nero su bianco, in un'intervista al Corriere della Sera, Gian Mario Mercorelli, grafico pubblicitario e uomo dei 5 stelle nelle Marche. A precisa domanda specifica: «Con il Partito democratico non c'è mai stato un progetto comune». Però, visto che le elezioni sono vicine e i compagni rischiano di perdere la guida di una regione che amministrano da anni, con le conseguenze a tutti note sugli equilibri nazionali che sorreggono il governo, «tra le righe ci hanno detto più o meno così: venite a portare i vostri voti da noi e vi daremo poltrone». In parole povere», appunto, «il Pd ci vuole comprare». In altri tempi, con altri soggetti, ossia con Forza Italia nei panni del partito di Nicola Zingaretti, immaginatevi lo scandalo. I giornali sarebbero stati pieni di titoli a tutta pagina contro il mercato delle nomine. Probabilmente ci sarebbe scappata anche un'inchiesta della magistratura per stabilire se la compravendita di consenso potesse costituire materia d'illecito penale e consentire di mettere in gattabuia qualche candidato. Ma siccome di mezzo non c'è il centrodestra bensì il centrosinistra, lo scambio di poltrone è ritenuto cosa buona e giusta. In fondo, che cosa c'è di male? Siccome i compagni alle prossime elezioni regionali rischiano di perdere 4 a 2 e, se va male, perfino 5 a 1, con la conseguenza che sia Giuseppe Conte sia i suoi ministri sarebbero costretti a fare fagotto, ecco che per scongiurare la Waterloo del Pd, e di seguito quella del governo, si sta provando a mettere in campo qualsiasi espediente, anche quelli più spregiudicati. Nelle Marche, per esempio, la sola speranza di salvarsi è data da una replica dell'alleanza nazionale, cioè con un'ammucchiata fra Pd e 5 stelle. Peccato che fino a ieri, anzi fino a oggi, i grillini abbiano fatto la guerra ai piddini, descrivendoli come la peggiore sciagura che sia toccata alla regione. Mercorelli, l'aspirante governatore che accusa i dem di aver cercato di comprare i concorrenti, è in campagna da marzo, cioè da quando l'ha spuntata sugli altri concorrenti pentastellati. E in questi mesi ha sparato ad alzo zero sui compagni, perché se i paesi colpiti dal terremoto sono ancora sotto le macerie, certo non se la può prendere con l'opposizione, della quale peraltro in regione fa parte. Dunque, dopo aver dipinto il Pd come il peggio del peggio, adesso per calcolo politico Mercorelli dovrebbe rimangiarsi tutto e dire che il Pd è il miglior compagno di viaggio. Anzi: dovrebbe farsi da parte per cedere il posto al candidato di Nicola Zingaretti. L'aspirante governatore grillino nelle Marche ovviamente sa che salterebbe metà della lista regionale e, fra i pentastellati, in tanti per reazione farebbero le valigie. Ma a Roma di sentir parlare di traslochi per tornare a casa non hanno alcuna voglia, e ovviamente sono pronti a vendere anche la mamma pur di non rinunciare alla poltrona. Dunque, di Mercorelli e i suoi amici non gliene importa nulla. Giggino 'a bottiglietta (Luigi Di Maio faceva il bibitaro allo stadio San Paolo) e i suoi hanno a cuore il loro scranno, non certo quello di Mercorelli. Dunque, fosse per loro l'intesa con il Pd per lasciare un uomo di Zingaretti alla guida della Regione sarebbe già cosa fatta. Come lo sarebbe pure in Puglia, dove Michele Emiliano, governatore uscente, rischia perché Matteo Renzi, che lo detesta fin dai tempi in cui era a Palazzo Chigi, gli ha messo contro uno dei suoi allo scopo di togliergli voti. E i 5 stelle, che lo contestano da anni, sostengono il loro candidato, nella speranza di far dimenticare agli elettori di avere cancellato tutte le battaglie care al Movimento in Puglia, dal Tap all'Ilva.Insomma, avrete capito. In queste ore, tra Marche e Puglia, i grillini si giocano il proprio futuro. Entro sabato bisogna presentare le liste e se Pd e 5 stelle si uniranno significherà che il Movimento è morto e sepolto, inglobato dall'apparato post comunista guidato da Zingaretti. Se invece l'intesa non c'è e ognuno fa per sé, a essere morti e sepolti sono i colonnelli di Grillo, che dopo il voto di settembre rischiano di essere portati via in barella e dimenticati in fretta per aver dilapidato in appena due anni e mezzo un consenso che alle politiche del 2018 arrivò al 32 per cento. Nonostante il clima vacanziero, queste sono ore cruciali sia per Giggino che per Giuseppe Conte, per non dire poi del comico che li ha inventati. Dopo mesi di fanfaronate, il gruppetto rischia di perdere tutto, oppure di raddoppiare. Nel primo caso sono affari loro, perché vedendoli sparire non ne sentiremo di certo la mancanza. Nel secondo caso sono affari nostri, perché se rimangono rischiamo il peggio. In ogni caso, che se ne vadano o restino, fa una certa impressione scoprire che il movimento anti casta, quello che denunciava l'occupazione delle istituzioni da parte di una banda di approfittatori, dopo appena cinque anni è alle prese con la quadratura delle nomine. Altro che Movimento 5 stelle: questo è il movimento 5 poltrone. Per gli amici e gli amici degli amici.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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