2024-03-20
Chi tifa per il premierato europeo rischia di portare l’Italia in serie B
Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Donald Tusk (Ansa)
Gli stessi che attribuiscono alla riforma meloniana derive autoritarie seguirebbero Macron anche se invadesse la Val d’Aosta. Teniamoci il diritto di veto a Bruxelles: ci aiuta a preservare i nostri interessi. Tutto in una foto. Tutto dentro il significato volatile e un po’ sbruffone di un’immagine: Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Donald Tusk a Berlino ufficializzano il triangolo di Weimar e rappresentano l’Europa bellicista che, oltre le armi, vorrebbe mandare (o far finta di mandare) in Ucraina anche i soldati. Esattamente come due anni fa un’altra fotografia, volutamente iconica, mostrava i primi due con la variabile Mario Draghi dentro la carrozza di un treno. Significato: far sapere al mondo che l’Occidente era pronto a battersi per l’autoderminazione di Kiev. È la sindrome di Yalta declinata nel terzo millennio, come se ci trovassimo in un cinema a guardare un film di Christopher Nolan. È l’idea di un direttorio che decide per tutti senza tener conto delle 27 sensibilità di un’Europa nata proprio per armonizzarle. Nella superficiale civiltà di Instagram non potrebbe che essere così, con la colonna sonora plaudente della redazione unica. Ma questa volta la pretesa di riassumere il contesto nella frase «ciò che va bene a noi deve andare bene a tutti» risulta fastidioso. E bene ha fatto la premier Giorgia Meloni a bocciare l’iniziativa, sottolineando quanto sia bizzarra «l’idea di avere un’Europa di serie A e un’Europa di serie B».Da queste due foto a caccia di facili like si deve partire per declinare politicamente la faccenda. E per analizzare la strana voglia di «premierato europeo» che Francia, Germania più il vassallo di turno evocano per il futuro del continente. Una spinta visibile, impetuosa, immediatamente supportata in Italia dagli editorialisti più allineati (a partire da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera) e dalla sinistra macroniana che applaudirebbe il piccolo Napoleone anche se invadesse la Val d’Aosta. Le trilaterali di puro effetto artistico sono l’identificazione plastica di un tema chiave in ottica elettorale: la richiesta dell’elezione diretta del presidente della Commissione, il superamento dell’unanimità nelle scelte strategiche e di conseguenza l’abolizione del diritto di veto. Quando Panebianco scrive che «i popoli nascono per un atto d’imperio» non solo sostiene che non contano niente e implicitamente dà ragione a Vladimir Putin, ma auspica che i signori in fotografia abbiano le mani libere per portarci dove meglio credono. Al di là della ferocia dell’immagine c’è un disegno preciso, contenuto nella proposta del Ppe di Manfred Weber che lo scorso anno chiese di modificare i trattati per «abbandonare il principio di unanimità in Consiglio, in particolare nella politica estera. Un solo Paese non dovrebbe bloccare un intero continente». Un progetto condiviso dai Socialisti e da Renew Europe, che sarebbero i renziani con un piede a destra, uno a sinistra e uno in Arabia Saudita. È vero che i piedi non sono tre, ma Matteo Renzi riesce anche in questi miracoli anatomici. Tutti riteniamo necessaria un’Europa più duttile, più manovriera, meno ingessata. Ma è pernicioso, di questi tempi, pensare di raggiungere l’obiettivo delegando a trilaterali improvvisate e a triumvirati da operetta la responsabilità di fare carne di porco delle specificità nazionali e di decidere se cassare patti antichi, muovere guerre o semplicemente alzare il livello di scontro con Paesi terzi. Magari, come accade a Macron, per distogliere l’attenzione da pesanti problemi di politica interna. Senza contare una buffa contraddizione: oggi chi fa il tifo per il premierato europeo (soprattutto a sinistra) si oppone con tutte le sue forze al premierato italiano, nel quale i contrappesi costituzionali sarebbero ben più solidi ed efficaci. Il primo effetto del potere assoluto, senza ammortizzatori, di Bruxelles sarebbe facilmente prevedibile: una guerra boots on the ground, con i nostri soldati a calcare le pianure ucraine come nel 1943, magari guidati da un generale francese o portoghese. Dovremmo aggiornare i capolavori di Mario Rigoni Stern ed Eugenio Corti, torneremmo ad essere carne da cannone per soddisfare le smanie bonapartiste di un leader in declino, che se dovesse caricare un revolver da solo si sparerebbe in un piede. Allora sarebbe ancora una volta una foto a fermare il delirio: quella della prima bara coperta dalla bandiera tricolore in arrivo a Ciampino. Nessun Paese occidentale - ormai ipnotizzato dall’inganno di Francis Fukuyama sulla fine della Storia -, sarebbe in grado di sopportare una simile visione senza venirne travolto. Lo sanno bene anche gli americani, che infatti usano i droni e per il resto delegano molto volentieri.Per questo un sovrano d’Europa sarebbe un controsenso. Per questo un voto a maggioranza aprirebbe a scenari da paura. Quanto al diritto di veto, è un paracadute contro derive insondabili e purtroppo non ha impedito a Ursula von der Leyen di perseguire politiche suicide su temi vitali come la transizione green, le auto elettriche, le migrazioni affastellate, gli stessi diritti degli Stati sovrani. Controllare l’Europa dei controlli è fondamentale. Piuttosto sarebbe importante uscire dalla logica vanesia delle foto ricordo, prima che somiglino a quelle ovali su una lapide.
Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico della Regione Lombardia (Ansa)
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma