2019-07-23
Chi nega le radici sogna l’uomo matrioska
Gli intellettuali alla moda dichiarano guerra all'identità. Per Claudio Magris e Carlo Rovelli «le appartenenze sono costruzioni artificiali che portano al fascismo». Le persone devono essere contenitori di storie diverse, con un'unica casa comune: la Terra.L'identità ha certamente due facce: il diritto e il rovescio. Ma poiché il rovescio è brutto in quanto, se si alza il piatto della bilancia dell'amore e della stima di sé si abbassa corrispondentemente quello dell'amore e della stima degli altri, alcuni maîtres-à-penser tendono a ridurre il valore dell'identità negando che una vera identità ci sia, negando cioè il diritto. E anche quando lo ammettono, lo sminuiscono.Arrivano i demolitori Allora dicono, come per esempio ha detto Claudio Magris nel discorso tenuto all'Istituto italiano di cultura di New York il 15 aprile 2019 in occasione dell'incontro con lo scrittore rumeno Norman Manea, che sì, «l'appartenenza garantisce al soggetto radici, basi, solidità», ma d'altra parte «può portare a pericolose forme di nazionalismo o eccesso di protezionismo verso ciò che si sente come proprio». Ha citato a sostegno Padre Dante: «Dante sapeva che l'amore per Fiorenza, appreso dall'acqua dell'Arno, doveva condurlo a sentire che la nostra patria è il mondo, come ai pesci il mare. Dobbiamo tenere sempre in mente l'immagine delle matrioske. Noi non siamo una identità, ma siamo tante identità insieme». In un tempo in cui «i Trump puntano a innalzare muri, le Le Pen minacciano di proporre ai francesi referendum di uscita dall'Unione europea e dalla moneta comune, e le May indicono nuove elezioni per guadagnare la maggioranza e zittire i dissensi in Parlamento», non si dovrebbe far passare il concetto espresso da Magris che «siamo esattamente come le matrioske? contenitori che contengono tante culture, e non monoliti mono-culturali?», e che «non c'è nessun cuore puro al centro, nessuna patria unica, in quanto siamo la sovrapposizione di tutti quanti i singoli strati identitari che collezioniamo nel corso di una vita, e di tutte le case che abitiamo»? Già, perché «non si può mai possedere una casa, uno spazio ritagliato nell'infinito dell'universo, ma solo sostarvi, per una notte o per tutta la vita, con rispetto e gratitudine». Un altro negatore dell'identità, fra tanti altri, è il fisico-scrittore Carlo Rovelli. Nel suo articolo intitolato «L'identità nazionale è veleno», pubblicato il 25 luglio 2018 sul Guardian e ripetuto il 30 luglio 2018 sul Corriere della Sera, quindi raccolto con altri articoli nel libro Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza (Milano 2018, pp. 114-118), critica fortemente l'identità. Anche lui premette che non c'è niente di male, anzi è una cosa buona, saggia e lungimirante politica «unificare popolazioni diverse - veneziani e siciliani, o diverse tribù anglosassoni - perché collaborino a un bene comune», precisando: «Lo scambio di idee e merci, sguardi e sorrisi, i fili che tessono la nostra civiltà, ci arricchisce tutti, in beni, intelligenza e spirito. Fare convergere persone diverse in uno spazio politico comune è vantaggio per tutti. Rafforzare poi questo processo con un po' di ideologia e teatro politico, per tenere a bada i conflitti istintivi, montare la farsa di una Sacra identità nazionale, per quanto sia un'operazione fasulla, è comunque utile. È prendere in giro le persone, ma chi può negare che la cooperazione è meglio del conflitto?». Ma dopo questo riconoscimento, strappato coi denti, della faccia buona dell'identità, del suo diritto, si scaglia furiosamente contro di essa. Ma, ci domandiamo, non è già questa lode il rovescio? Non è contenuto già in essa il biasimo dell'identità? Ma poi Rovelli continua: «Ma è proprio qui che l'identità nazionale diventa un veleno. Creata per favorire la solidarietà, può finire per diventare l'ostacolo alla cooperazione su scala più larga. Creata per ridurre conflitti interni, può finire per generare conflitti esterni ancora più dannosi. Le intenzioni dei padri fondatori del mio Paese erano buone nel promuovere un'identità nazionale italiana, ma solo pochi decenni dopo questa è sfociata nel fascismo, estrema glorificazione di identità nazionale. Il fascismo ha ispirato il nazismo di Hitler. La passionale identificazione emotiva dei tedeschi in un singolo Volk (in un singolo Reich e in un singolo Führer) ha finito per devastare la Germania e il mondo. Quando [...] alla ricerca di compromessi e regole comuni si preferisce mettere la propria nazione davanti a tutto, l'identità nazionale diventa tossica».Occidentali confusiSembra dunque che l'identità nazionale non sia una realtà naturale, ma una costruzione artificiale. E allora la domanda: ma l'identità nazionale, noi l'abbiamo o no? Beh, sì, dice Rovelli, noi le identità nazionali le abbiamo. «Ma perché ognuno di noi è un crocevia di identità molteplici e stratificate. Mettere la nazione in primo luogo è tradire tutte le altre. [...] Chiunque siamo, siamo in tanti. E abbiamo un posto meraviglioso da chiamare «casa»: la Terra, e una meravigliosa, variegata tribù di fratelli e sorelle con i quali sentirci a casa e con i quali identificarci: l'umanità». E questa è una caduta nella retorica, nel «Volemose bene», giacché, fermo restando l'ideale della fratellanza (e della libertà e dell'uguaglianza degli uomini), da che mondo è mondo, questi fratelli e sorelle non hanno mai smesso di scannarsi, di farsi guerra, per difendere ciascuno la sua nazione o tribù. Tutti pazzi? Pazzi sicuramente, ma fino a un certo punto. Notiamo intanto che uno Stato che se non è il più potente del mondo, è certamente uno dei più importanti, gli Stati Uniti, è una mescolanza delle più svariate popolazioni di immigrati [...]. Ha esso per questo poca o nessuna identità? Non è quello che ne dimostra da più di un secolo tantissima? [...] Essa è intimamente programmata, proprio su quella che non si può non chiamare la sua identità, e si svolge secondo la sua legge interna anche quando l'uomo non se ne rende conto: egli diventerà quello che è destinato a diventare, come col senno di poi si può constatare chiaramente.Sì, perché le argomentazioni di Magris e Rovelli si applicano non solo alle nazioni, ma altrettanto «all'individuo, quindi viene altresì negata l'identità dell'individuo, dell'identità dell'individuo. Si tratta in realtà dello stesso problema. Da Nietzsche in poi la negazione o decostruzione del soggetto è diventata un luogo comune. Nietzsche rovescia l'uomo nella natura e la natura nell'uomo. In tal modo l'individuo diventa una mera concrezione naturale, l'Io perde la sua individualità ineffabile, nella quale generalmente si crede. Il soggetto esiste, secondo Nietzsche, solo per un fatto grammaticale, cioè per il fatto che ci siamo abituati a pensare le cose in termini di soggetto, oggetto e predicato. Dunque Nietzsche decentra l'Io, lo decifra in quanto finzione, in quanto unità illusoria, e pertanto privo di identità. Nietzsche è seguito in ciò, tra gli altri, da Rimbaud, per il quale «È falso dire: “Io penso". Si dovrebbe dire “Io sono pensato. Io è un altro" (Je est un autre)». Ma soprattutto è preceduto dal buddhismo. Per la dottrina dell'anātman l'esistenza di un Io individuale è un'illusione dovuta alla percezione della realtà convenzionale ed è basata sulla credenza che esista qualcosa di sostanziale e monolitico. Ma questo senso dell'Io è l'ignoranza che per il buddhismo è alla base di tutte le altre afflizioni mentali e la causa del soffrire. In realtà l'Io, la persona, il sé, sono qualcosa di puramente nominale. Quanto più è presente l'Io personale, tanto meno è possibile l'ascesa verso il trascendente. Buddha indica nella realizzazione del shunyata (vacuità, annullamento del sé) la soluzione, il superamento di dukkha (patimento). L'Io va negato; bisogna dare preminenza all'universalità dell'interdipendenza. Bisogna riconoscere l'evanescenza e la vacuità del fenomeno della soggettività, perché [...] si possa raggiungere il Nirvana (Gianmario Sabini). Suicidio culturaleMa questo è il punto: l'Occidente non è come l'Oriente, non è buddhista, crede nella passione, nell'azione e nell'affermazione tragica, tanto per citare ancora una volta Nietzsche in senso opposto. Crede nella realtà, nell'Io che tutto conosce e da nessuno è conosciuto, come dice Schopenhauer. Il grave pericolo che i sovranismi e nazionalismi attualmente imperanti comportano per l'Europa - riformanda ma nostra unica speranza in mezzo a un mondo di giganti, quale il nostro è diventato, e nel quale nessun singolo Stato membro dell'Europa è da solo capace di sostenere l'urto delle grandi formazioni politiche mondiali - spinge le persone che seguono la ragione a combatterli e a combattere l'identità su cui essi si appoggiano; ma in certi casi, come quelli da noi qui considerati, oltre il limite giusto. Per giustizia, bisogna dire che l'identità esiste, non solo, ma che è la nostra principale risorsa e ricchezza. «Ciò che uno è in sé e ha in sé stesso, in breve la sua personalità e poi il suo valore, sono l'unico mezzo diretto per conseguire la felicità e il benessere. Tutto il resto è indiretto e il suo effetto può essere vanificato, mentre quello della prima cosa no: è anche per questo che, se viene percepita, essa suscita particolare invidia (Schopenhauer, Cogitata, p. 361).
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