2018-10-27
Chi gioca con il fuoco delle nostre banche
Dopo le dichiarazioni di Giovanni Tria e Mario Draghi, la rissa dello spread si sposta sui nostri istituti. Un'arma a doppio taglio. Da un lato il governo sottolinea che nessuno può permettersi il contagio, dall'altro rischia di svendere i gioielli. Nella partita entra pure il verdetto di S&P.In questi giorni Commissione Ue, Bce e governo italiano si sparano a vicenda. L'arma si chiama spread, l'esplosivo sono e banche italiane. Più lo spread sale, più si svalutano i Btp che gli istituti italiani detengono (circa 300 miliardi). Più scende il valore dei titoli, meno le banche, secondo le regole Ue, sono capitalizzate. Aumenta, dunque, il rischio che gli azionisti debbano mettere mano al portafogli. Questa è algebra. Come poi debbano essere gestiti i numeri è politica o strategia. Ci siamo chiesti più volte perché il ministro, Giovanni Tria, abbia alzato il dito e attirato l'attenzione di mezzo mondo sulla fragilità del sistema bancario italiano. Una strategia di marketing a dir poco autolesionista. A meno che, fra le tre parti in causa, non sia cambiato qualcosa. Il primo a lanciare l'allarme sulle banche è stato infatti il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, («se lo spread arriva a 400 punti bisognerà ricapitalizzarle»), poi è arrivato Tria e giovedì sera Mario Draghi ha messo il cappello sopra l'allarme. Sappiamo che Draghi incontra Sergio Mattarella con una certa frequenza, e che il presidente della Repubblica stima Tria, che a sua volta è stimato da Giuseppe Guzzetti, numero uno delle fondazioni bancarie e garante della finanza cattolica assieme al presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli. Il quale, sempre giovedì, ha lanciato un messaggio indiretto alla componente più grillina del governo: «Siamo di fronte a un bivio: se l'Europa riuscisse a ritrovare la sua anima potrebbe ancora essere la guida della civiltà nel mondo». A sua volta Guzzetti e Bazoli comunicano con Giorgetti. La premessa serve per provare a rispondere alla domanda originaria. Perché Tria ha alzato la palla a Draghi? Evidentemente l'allarme sulle banche aumenta il livello di scontro, ma al tempo stesso riporta il tema al contagio europeo. Finché sale lo spread, le altre nazioni Ue non ne risentono. Se invece comincia a saltare una banca italiana, il problema diventa europeo. Lo sanno bene tutti i partecipanti alla filiera sopra elencata. La mossa di Draghi vuole fare esplodere il problema agli occhi della Commissione Ue e del governo (nella sua componente dura e pura). Il capo della Bce sembra voler far fare un passo indietro ai due contendenti. Il rischio è però che, correndo verso un baratro (quello della ricapitalizzazioni bancarie), nessuno dei due si fermi e salti il banco. Alzare i toni (e lo spread) ha sicuramente anche un effetto collaterale non sgradito a una parte del sistema bancario. Accelererebbe il consolidamento del sistema. Ma favorirebbe anche l'arrivo di compratori esterni. Le prime dieci banche hanno una capitalizzazione di circa 85 miliardi di euro: pochissimo. Il Monte dei Paschi di Siena vale in Borsa solo 1,6 miliardi. Solo due anni fa il Tesoro ne ha iniettati circa 8. La banca è a un prezzo di saldo, e il tentativo di andare sul mercato del debito non sarebbe stato dei più positivi: emettere bond con rendimenti a doppia cifra è problematico. Non è un caso se la solidità di Mps e di altre banche italiane è stata al centro di colloqui tra tecnici della Commissione ed esponenti del governo e di Bankitalia. Lo ha riferito ieri la Reuters, senza smentita alcuna. Significa che se nel pieno della bufera, a prendersi Mps arrivassero Credit Agricole oppure la spagnola Bbva, magari per fonderla con Carige, il governo non avrebbe mezzi per opporsi. Andare incontro a salvataggi, nonostante quello che dicono Matteo Salvini e Luigi Di Maio, sarebbe sconveniente prima di una campagna elettorale. Assistere passivi a un bail in sarebbe ancora peggio. Ecco perché il momento è ottimo per chi vuole fare shopping da noi. I tedeschi non avrebbero alcuna possibilità. Il loro sistema bancario è azzoppato. Ai prezzi di mercato la capitalizzazione di Commerzbank e Deutsche bank assieme vale meno della sola Unicredit, motivo per cui il governo di Berlino vuole le fusioni. Chi invece da questo punto di vista è forte è la Francia. Anche se gli istituti d'Oltralpe sono estremamente esposti alla leva finanziaria, sono ben sostenuti dallo Stato e hanno completato il processo di consolidamento che tanto piace all'Ue. Société Générale e la rivale Bnp Paribas sono uscite dalla crisi come alcune tra le attrezzate banche continentali, o comunque tra le poche capaci di contrastare l'invasione delle banche di investimento americane in Europa. La Spagna ha salvato i propri istituti già nel lontano 2012 con i soldi dell'eurozona. Parigi e Madrid sono desiderose di scalare i nostri istituti. Con la differenza che i francesi conoscono bene la Penisola e sono introdotti nei salotti che contano. I cugini avrebbero un doppio vantaggio. La commissione Ue, tifando spread, non solo li faciliterebbe nel portarsi via a un euro gli sportelli tricolore, ma al tempo stesso renderebbe Draghi ostaggio degli eventi: non è una novità il fatto che i francesi vogliano nominare il prossimo presidente della Bce. In pratica, il gioco pirotecnico è pericolosissimo. Perdere è un attimo. Mattarella e Draghi sostengono la transizione ordinata del nostro sistema bancario. Per andare in questa direzione sembrano dare una mano ad accendere il falò. Chi lo spegnerà? Non si sa. Intanto, il parere di Standard & Poor's arrivato questa notte rientra nel gioco.