2020-07-09
«Che fa il lobbista di Huawei a Chigi?» Casaleggio da Giuseppi irrita gli Usa
La candidata trumpiana DeAnna Lorraine fulmina il colloquio riservato tra il capo di Rousseau e Giuseppe Conte. Il 5G resta un tema geopolitico bollente. E i rapporti tra il figlio del fondatore del M5s e il colosso cinese non aiutano.Mentre incalza la guerra fredda dei dati tra Usa e Cina, a Washington si sono accesi di nuovo i riflettori sull'Italia. Come dimostra il cinguettio di DeAnna Lorraine di martedì 7 luglio: alle sette del pomeriggio, Lorraine ha preso carta e Twitter ha scritto: «Why did Italian Prime Minister Giuseppe Conte meet with the top lobbyist from Huawei today in private?». Tradotto: «Perché il premier italiano, Conte, oggi si è incontrato con il lobbista di punta di Huawei in privato?». Bella domanda. Soprattutto se a farla pubblicamente, conoscendo già la risposta, è la candidata di Donald Trump contro Nancy Pelosi al Congresso. Ma chi il lobbista cui fa riferimento la Lorraine? Insomma, con chi si è incontrato Conte martedì? Per quanto ne sappiamo, il presidente del Consiglio quel giorno ha incontrato Davide Casaleggio. «Abbiamo parlato un po' di tutto», ha detto il capo della piattaforma Rousseau ai cronisti che lo aspettavano nei pressi di Palazzo Chigi.Che sia proprio Casaleggio il top lobbyst di Huawei di cui parla DeAnna Lorraine? La coincidenza temporale tra la visita e il tweet da oltre oceano, oltre che la la durata della visita (si dice quasi tre ore), fanno propendere per qualcosa di molto più di un caso. La rampante trumpiana puntava proprio al figlio del papà del Movimento. Di certo, lo stesso Casaleggio nel 2019 a Milano ha aperto il convegno della Casaleggio Associati sulla «Smart company» con un intervento di Thomas Miao, ceo di Huawei Italia. E nell'aprile 2018 alla corte di Davide, durante la kermesse organizzata dall'associazione nelle ex officine Olivetti di Ivrea - sotto la scritta «Futuro» e davanti a un cartello che, citando una frase di suo padre Gianroberto, esaltava con sottolineature «migliaia di combinazioni possibili» - era stato visto passare anche Franco Brescia, l'ex braccio destro di Franco Bernabè diventato lobbista per conto di Huawei (ma oggi passato a fare lo stesso mestiere per Atlantia).Intanto, quella del 5G sembra essere l'ultima grana che Conte deve risolvere mentre sta rinnovando l'appello all'intesa M5S-Pd in vista delle elezioni regionali di fine settembre. I temi sono in un certo qual modo legati. Il dossier relativo alla partecipazione di Huawei e Zte alla fornitura di tecnologia ai grandi operatori italiani sarebbe finito anche sul tavolo della maratona del Consiglio dei ministri sul dl Semplificazioni. A sollecitarlo sarebbe stato il Pd, attraverso i ministri Lorenzo Guerini (Difesa) e Enzo Amendola (Affari europei) che hanno lanciato un altolà alle attività di fornitura delle aziende cinesi ritenute sensibili sotto il profilo della sicurezza e chiesto di esercitare i poteri del golden power per fermarle. Tanto che il cdm di martedì avrebbe discusso un ulteriore allargamento del potere del governo di bloccare operazioni aziendali in settori strategici.Nel novembre 2018 l'allora vicepremier Luigi Di Maio volò in Cina proprio per confermare il «rapporto fondamentale» del governo con Pechino. In occasione di quella missione ci sarebbe stato anche un incontro tra il sottosegretario Michele Geraci e i vertici del colosso cinese delle tlc. Finchè a maggio 2019 non erano arrivati appunto gli americani a sparigliare le carte delle alleanze inserendo Huawei nella lista nera del commercio per timori di spionaggio. La diplomazia Usa adesso è scesa in pressing, come dimostra anche la visita, la settimana scorsa, del ministro degli Esteri Di Maio all'ambasciatore Lewis Eisenberg a Villa Taverna dove si sarebbe parlato anche di 5G. Il gioco rischia dunque di diventare troppo pericoloso se il premier Conte entra nel mirino degli (alleati?) americani schierandosi con Xi Jinping. Mentre sullo sfondo restano accesi i radar del Copasir, la guerra dei dati si sta combattendo in tutta Europa. Ieri Huawei ha rivolti un appello al governo britannico affinché non prenda decisioni affrettate riguardo alla sua possibile esclusione dalla costruzione della rete 5G avvisando che un provvedimento del genere potrebbe ritardare di 2 anni lo sviluppo del network di ultima generazione nel paese e costare all'economia nazionale 29 miliardi di sterline. A inizio anno il governo di Boris Johnson si era attirato le ire della Casa Bianca decidendo di non escludere il gruppo cinese dallo sviluppo della rete 5G ma ora la situazione appare ribaltata. A far cambiare idea al governo di Londra potrebbe ora essere uno studio che sarà presentato a Johnson questa settimana dall'agenzia governativa che si occupa di comunicazione e intelligence, la Gchq. La quale avrebbe riconsiderato la garanzia fornita a suo tempo sulla sicurezza delle tecnologie del colosso asiatico. Per ora si tratta solo di un'indiscrezione, ma se confermata, la svolta di Downing Street segnerà il nuovo corso delle relazioni tra Londra e Pechino ora messe sotto tensione dalla nuova legge cinese sulla sicurezza a Hong Kong, ex colonia di Sua Maestà. Nel frattempo, la Cina ha invitato anche la Francia a compiere «scelte indipendenti» sulla realizzazione della rete 5G, che «servano i suoi interessi e forniscano un contesto commerciale aperto, equo, giusto e non discriminatorio per tutte le aziende, comprese quelle cinesi», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, commentando la notizia che Huawei sarà autorizzata ad accedere alla rete 5G in Francia, ricevendo tuttavia solo una licenza limitata.