2025-03-23
«L’Occidente non è arrivato alla fine. Ripudieremo ciò che ci danneggia»
Nel suo nuovo libro, la filosofa francese Chantal Delsol dipinge luci e ombre della nostra civiltà: «Il liberalismo senza fede e limiti ha trasformato la libertà in capriccio. Perciò il resto del globo ci rifiuta. Ma troveremo un rimedio».Chantal Delsol insegna filosofia politica all’Università di Paris-Est, dove ha fondato il Centro di Studi europei, e fa parte dell’Institut de France. L’editore Cantagalli ha appena mandato in libreria il suo nuovo saggio, Il crepuscolo dell’universale, un’opera decisamente importante che radiografa l’Occidente contemporaneo e ne mostra i lati oscuri ma anche i grandi valori che tutto sommato resistono. Nel libro, lei nota che ci fu un tempo in cui i Paesi colonizzati dall’Occidente aspiravano a somigliargli. Ma oggi, lei scrive, «assistiamo a una nuova regressione della legittimità universalista, che si manifesta con un rifiuto delle norme occidentali, riunite attorno al liberalismo. Nuovi modelli di modernità si annunciano in tutte le parti del mondo». Secondo lei, cosa ha prodotto questo rifiuto dell’Occidente?«Ci sono state due fasi in questo processo di de-occidentalizzazione del mondo. Prima, i movimenti di rivolta contro le colonizzazioni: bisogna ricordare che la maggior parte dei Paesi del mondo è stata colonizzata in un modo o nell’altro da potenze occidentali. La seconda metà del XX secolo è stata segnata dalle decolonizzazioni, accompagnate da sentimenti di ostilità nei colonizzati e di vergogna nei colonizzatori (è qui che si trova il supporto del pensiero decoloniale che oggi prospera). Ma le conquiste coloniali non erano nulla rispetto alla potente influenza della cultura occidentale su tutte le popolazioni del mondo, al fascino esercitato dal nostro stile di vita. Tutti gli esseri umani sulla Terra volevano essere curati in ospedali efficienti e bere Coca-Cola, se mi posso permettere questa semplificazione che tutti capiscono. Tutti i Paesi non occidentali si ponevano la domanda: fino a che punto posso e devo occidentalizzarmi? È difficile per noi occidentali comprendere quale disordine mentale debba aver generato questo tipo di interrogativo angosciante. Perché - è un processo recente - l’impero culturale occidentale sta arretrando?».Già, perché?«A mio avviso, è stato ucciso dai suoi eccessi. Se guardiamo, ad esempio, ai grandi movimenti islamici del 1979 che hanno coinvolto il Medio Oriente in una guerra contro di noi, è chiaro: la loro fascinazione per l’Occidente si è trasformata in repulsione verso un modello che ormai giudicano decadente». Forse l’Occidente è stato troppo arrogante e non ha considerato che il suo modello potesse non piacere ad altri? «L’Occidente si è comportato come qualsiasi egemone, o se preferisce, come un padre di famiglia all’antica o un figlio maggiore autoritario: non si rendeva nemmeno conto che dominava, tanto gli sembrava normale! E poiché il suo modello esercitava una seduzione, o meglio, un vero e proprio incantesimo, si pensava universale e destinato a diffondersi ovunque in modo naturale. È, ad esempio, l’idea americana del “destino manifesto”. L’Occidente si presentava come una guida destinata a condurre l’intera Terra verso l’emancipazione. Dall’inizio del secolo, vedere i Paesi del cosiddetto “Sud globale” negare i principi di democrazia e diritti umani ci lascia sbalorditi. Non sappiamo più dove siamo. È tutto il nostro modello che crolla, e non ci siamo ancora ripresi. A dire il vero, non abbiamo nemmeno capito davvero cosa stia succedendo, è un tale rovesciamento… Ed è per questo che rispondiamo facilmente con un senso di colpa eccessivo, che è una volontà di sparire».È difficile definire l’Occidente oggi. La cultura woke, il progressismo, alcune forme di liberalismo hanno prodotto un mondo molto diverso da quello a cui gli stessi occidentali erano abituati. L’Occidente a cui i colonizzati volevano somigliare non è lo stesso di oggi. «Sì, è per questo che parlo di una forma di estremismo dell’emancipazione, che ha allontanato da noi le culture straniere. Il musulmano dell’Arabia è disposto a lasciare che sua figlia impari a guidare, ma se questa deve rinunciare a ogni forma di famiglia o trasformarsi in un maschio, allora non è più d’accordo».Se dovessi indicare l’idea centrale dell’Occidente, direi «la libertà». Ma mi sorge il dubbio che abbiamo definitivamente abusato di questa libertà, lasciando campo libero a un individualismo sfrenato che ha divorato tutto il resto. Cosa resta oggi della libertà occidentale?«Il culto della libertà e il liberalismo si sono radicati in Occidente, inizialmente, sotto il segno di una morale derivata dalla religione. La libertà si dava dei limiti che la rendevano sostenibile. Il motto era “la mia libertà finisce dove comincia la mia responsabilità”. Ma gli ultimi due secoli vivono sotto la massima rivoluzionaria: “La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri” - è l’inizio di una libertà senza limiti e del tutto individualista. Nel XIX secolo Tocqueville aveva analizzato bene questa deriva. Nel XX secolo, un autore come Böckenförde ha mostrato chiaramente cosa diventa una libertà senza contrappesi morali e religiosi. Il problema del liberalismo di oggi è che ha perso i fondamenti su cui si basava e, così com’è, non ha più altro senso se non il capriccio dell’individuo».Insisto sullo stesso tema: l’Occidente ha condotto guerre per esportare libertà e democrazia. Eppure, negli ultimi anni, a livello interno, ha spesso cercato di censurare e soffocare il dissenso. Sembra che il liberalismo spinto all’estremo sia diventato illiberale. E non mi riferisco alle presunte «democrature», ma alle nazioni cosiddette progressiste, alla censura imposta dalle piattaforme digitali o ai tentativi di controllo dell’Unione europea. Cosa ne pensa?«Non è la mia opinione. Penso che le censure di cui parla siano tipi di controllo che si esercitano in tutte le società e in tutte le epoche, ma che differiscono nel contenuto a seconda dei tempi. Prendo come esempio le questioni etiche, temi oggi molto sensibili. In Francia, i cattolici si dicono inorriditi da quello che chiamano il reato di opposizione, che vieta di criticare l’aborto. Ma dimenticano che un secolo fa era vietato promuovere l’omosessualità, e gli omosessuali dovevano nascondersi. La differenza è che prima era la Chiesa a stabilire i divieti, oggi è lo Stato. Penso che un gruppo non sia onesto se grida alla censura perché la censura è contro di lui, quando invece ha usato la censura quando aveva il potere».Secondo lei, quali sono i valori occidentali oggi?«La dignità sacra della persona umana, da cui derivano la sua coscienza personale, la sua responsabilità, la sua libertà che si basa sulla responsabilità».Pensa che sia possibile porre rimedio ad alcune delle derive che ho menzionato prima? «A dire il vero, non sono fondamentalmente pessimista, perché tutti questi eccessi mostrano abbastanza rapidamente i loro svantaggi e persino i loro pericoli, e anche se l’Occidente ha perso molto della sua morale religiosa, conserva, come tutti, una morale consequenzialista».Ovvero?«Quando un comportamento danneggia la società, anche se è liberale ed emancipatore, forse ci vuole del tempo perché sia rimesso in discussione, ma alla fine viene ripudiato. È così, ad esempio, che ora accettiamo di guardare in faccia i disastri tra i bambini privati del padre, i bambini dipendenti dalla cocaina o dagli schermi, o gli orrori causati dai “cambiamenti di sesso” nei bambini. Mi ricordo dei miei colleghi intellettuali che reclamavano la pedofilia per tutti! Le società tornano sui loro errori (anche se la Francia, sempre ideologica, è spesso l’ultima a farlo). Nel frattempo, dei danni sono stati fatti. Ma è meglio una morale consequenzialista che nessuna morale. No, non stiamo andando verso Sodoma e Gomorra! C’è un buon senso profondo che ci tiene lontani dalle follie, anche se, ovviamente, un certo paganesimo sta tornando - ma questa è un’altra cosa».La sensazione però è che molti qui siano diventati incapaci di tollerare opinioni diverse, di gestire i conflitti in generale. Sembra che amiamo molto l’uniformità, quella che abbiamo cercato di imporre al mondo come occidentali. È questo il punto di rottura? «Siamo in un periodo di forte polarizzazione tra postmodernisti e conservatori, e questo in tutta l’area occidentale. Gli Stati Uniti sembrano talvolta sull’orlo della guerra civile. In Europa, sembra non ci siano abbastanza insulti a disposizione per parlare di Orbán. La Polonia è divisa in due. È praticamente lo stesso ovunque. Il processo postmoderno (liberalizzazione economica anarchica, globalizzazione, società di mercato, emancipazione morale a tutto campo) ha molti avversari e si difende con veemenza. Ciò che unisce Trump e Putin è che, a questo riguardo, sono nello stesso campo. Non penso che si debba desiderare l’uniformità; la democrazia è l’espressione delle differenze, ma in questo momento sembra una lotta all’ultimo sangue».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)