- Mancano 18.500 camici bianchi, soprattutto nei pronto soccorso. Colpa di tagli, pensionamenti e liste d’attesa sempre più lunghe Risultato: turni massacranti e aggressioni di familiari esasperati.
- Il vicesegretario dei medici di famiglia Pier Luigi Bartoletti: «Scaricato su di noi il peso della gestione Covid, troppe procedure per ricette e tamponi. E ora ci tocca la campagna per la quarta dose».
- Il chirurgo del Cardarelli di Napoli Maurizio Cappiello: più posti letto per ridurre il sovraffollamento.
Mancano 18.500 camici bianchi, soprattutto nei pronto soccorso. Colpa di tagli, pensionamenti e liste d’attesa sempre più lunghe Risultato: turni massacranti e aggressioni di familiari esasperati.Il vicesegretario dei medici di famiglia Pier Luigi Bartoletti: «Scaricato su di noi il peso della gestione Covid, troppe procedure per ricette e tamponi. E ora ci tocca la campagna per la quarta dose».Il chirurgo del Cardarelli di Napoli Maurizio Cappiello: più posti letto per ridurre il sovraffollamento.Lo speciale contiene tre articoli.AAA Cercasi dottore disperatamente. La salute non va in vacanza ma mai come in questa estate ammalarsi è un problema. La mancanza di medici non è una novità ma ora si sono sommati i buchi creati dai pensionamenti e dalle assenze per smaltire le ferie accumulate durante l’emergenza pandemica. Un corto circuito innescato dal ritorno in massa dei pazienti dopo due anni di cure con il contagocce. E si è arrivati al paradosso di importare medici dall’estero. Dall’Ucraina ne sono arrivati 250 e altri 100 dall’Albania. Ma il caso più eclatante è il reclutamento, deciso dal presidente della regione Calabria, Roberto Occhiuto, di 500 camici bianchi provenienti da Cuba. Il governatore di centrodestra ha spiegato che diversi bandi di concorso a tempo indeterminato sono andati deserti, tesi però smentita da associazioni sindacali e personale medico che non avrebbero mai saputo di esami per il reclutamento. Come mai, appena si sono aperte le porte del pensionamento, tanti medici hanno colto la palla al balzo per andarsene? Come mai un posto in ospedale, specie al Sud, è precipitato nelle aspirazioni di un giovane laureato? E quanto ha inciso la selvaggia «spending review» degli ultimi dieci anni che ha tagliato i posti nelle specializzazioni? L’Anaao Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri, ha calcolato che tra ospedali, pronto soccorso e medici di famiglia, mancano circa 18.500 camici bianchi. La situazione più critica, è quella dei pronto soccorso dove, alle emergenze quotidiane, si aggiunge l’esercito dei malati che non potendo rinviare ancora le cure, dopo lo stop del Covid, bussano agli ospedali per essere assistiti. E non possono permettersi uno specialista privato. Gli ospedali sono entrati in affanno e il sovraffollamento ha coinciso con l’esodo dei medici. Secondo Anaao Assomed, ne mancano circa 4.500. Ma l’allarme riguarda in generale gli ospedali: sono 10.000 i posti vacanti. Gli organici ridotti all’osso costringono a turni massacranti, ad accumulare ferie che prima o poi andranno smaltite creando ulteriori vuoti. In sofferenza anche il servizio delle ambulanze dove i camici bianchi si sono ridotti del 50% negli ultimi dieci anni. La legge di bilancio ha stanziato 90 milioni per una indennità accessoria, ma è come una goccia nel deserto. Si è anche assottigliato il numero dei medici di famiglia, il primo snodo di assistenza del servizio sanitario, che fino a qualche anno fa era un vanto della sanità italiana rispetto al resto d’Europa. Si contano circa 4.000 sedi vacanti su una categoria che ne conta complessivamente 40.000. Il fabbisogno riguarda sia piccoli centri montani e delle campagne, ma anche grandi città come Milano e Firenze. In alcune regioni, specie nel Nord, sono stati richiamati in servizio i pensionati. Per tamponare la situazione, i pazienti sono dirottati in studi che hanno raggiunto il massimo della capienza consentita per legge, cioè 1.500 assistiti. Il problema non è la carenza di laureati in medicina: nei prossimi 10 anni, le università ne sforneranno circa 100.000, un numero più che sufficiente per le esigenze di turn over. Mancano invece gli specialisti, quelli che lavorano negli ospedali e in molte strutture del territorio. Una ricerca Eurostat dell’agosto 2020 evidenzia che l’Italia è il secondo Paese con più medici nella Ue: circa 240.000 su 1,7 milioni registrati nella Ue, dietro solo alla Germania che ne ha 357.000, il 21,1% del totale, e davanti alla Francia con 212.000. Ci sono 3,1 medici ogni 1.000 abitanti secondo l’Istat, il che ci colloca nella media europea. Tuttavia, il numero di medici disponibili non si riflette negli organici della sanità pubblica. Gli ultimi dati del ministero della Salute (2017) sui camici bianchi nel Servizio sanitario nazionale indicano 1,7 medici ogni 1.000 abitanti. Essi scarseggiano perché, a partire dal governo Monti, la sanità ha subito pesanti tagli che hanno colpito in particolare le borse di specializzazione. Va considerato anche che, come stima l’Anaao, solo il 66% degli specialisti sceglie il servizio pubblico, i restanti lavorano nella sanità privata o scelgono la libera professione. Un’opzione che consente di esercitare sia negli ospedali sia nelle cliniche, senza vincoli di esclusiva.Altro elemento è che alcune specializzazioni come la medicina d’urgenza non esercitano grande appeal sui laureati che preferiscono settori meno stressanti e più remunerativi. Qualcosa è stato fatto per colmare i buchi negli organici ospedalieri. I contratti di formazione sono stati portati da 4.500 a 15.000, però produrranno effetti a lungo andare. Formare uno specialista richiede 4-5 anni e occorre quindi scontare un periodo in cui le strutture continueranno a essere in emergenza. Secondo Anaao, i circa 10.000 medici che oggi mancano all’appello negli ospedali saranno verosimilmente recuperati tra il 2024 e il 2028, quando entreranno nel sistema sanitario coloro che quest’anno iniziano la specializzazione.Oltre a pensionamenti, turni stressanti e remunerazione considerata bassa in relazione all’impegno, recentemente è emerso un ultimo fattore che rende meno attrattivo il lavoro in ospedale: l’aumento delle aggressioni. Nella città metropolitana di Milano, da gennaio a maggio, sono stati denunciati 116 casi di attacchi al personale a fronte di 122 in tutto il 2021. Minacce e intimidazioni sono più che raddoppiate: da 22 casi lo scorso anno a 45 nei primi cinque mesi del 2022. Il fenomeno è generalizzato. Secondo la Fnopi (la federazione degli infermieri), le aggressioni fisiche colpiscono in media in un anno un terzo degli infermieri: circa 130.000 casi con un sommerso non denunciato all’Inail stimato in circa 125.000 casi l’anno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cercate-un-dottore-2657955726.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="schiacciati-dalla-burocrazia" data-post-id="2657955726" data-published-at="1661726856" data-use-pagination="False"> «Schiacciati dalla burocrazia» Anche per i medici di famiglia il Covid ha portato un sovraccarico di incombenze spesso burocratiche che ostacolano il funzionamento del sistema: lo dice Pier Luigi Bartoletti, vicesegretario nazionale della Fimmg, la federazione dei medici di famiglia. La situazione dei medici di base è meno dura rispetto a quelli delle emergenze, eppure l’esodo c’è stato lo stesso. Come lo spiega? «Le uscite erano attese, bastava guardare i dati anagrafici dei pensionamenti. Inattesi invece i prepensionamenti. La categoria è stata messa a dura prova dalla pandemia. Sui medici di famiglia si è scaricato il peso enorme della gestione del Covid. Sono stati in trincea per oltre due anni, dovendo affrontare una situazione di caos. Ora gli studi sono intasati da coloro che hanno ritardato o sospeso le cure durante la pandemia. E si parla di coinvolgere i medici di base per la quarta dose vaccinale. Molti colleghi, superata l’emergenza, hanno preferito anticipare il pensionamento nonostante le penalizzazioni economiche: anche perdendo un po’ di soldi, non hanno esitato e se ne sono andati. Nel Lazio pensavamo che nel 2022 saremmo rimasti in 4.000 da 4.800 che eravamo, con il pensionamento standard dei settantenni, invece siamo scesi a 3.800 unità. Ci sono stati casi di medici che se ne sono andati a 63 anni. Mi dicevano: non ce la faccio più. Il lavoro si è complicato». Complicato in che senso? «Siamo afflitti da una serie di passaggi burocratici che rallentano il lavoro». Un esempio? «Le priorità per le prescrizioni sulle ricette. Se indico che un paziente deve fare un accertamento entro una certa data ma questa non viene rispettata perché i tempi di attesa sono lunghi, il paziente finisce per dare la colpa a me. Il medico di base è al centro di un sistema che non funziona e diventa il terminale della rabbia dei cittadini. Se un paziente anziano ha un catetere che non funziona il sabato pomeriggio, a chi lo dico? C’è qualcuno che mi risponde al Cad, il Centro di assistenza domiciliare? Altro esempio: dimettono un paziente alle 17 del venerdì pomeriggio, spesso con prescrizioni varie. Il parente si rivolge a me per sapere cosa fare. Ma io sono costretto a rispondere che per attivare alcune procedure bisogna aspettare lunedì perché sabato e domenica è tutto chiuso. Questi casi sono aumentati in modo esponenziale e tanti colleghi non ne possono più». In quali regioni si sentono le maggiori carenze di medici di base? «Le regioni più sofferenti sono al Nord, soprattutto Lombardia, Liguria, Trentino. Qui fanno lavorare i pensionati. Anche in alcune aree del Lazio si prolunga l’attività oltre i 70 anni. Ma mentre negli anni passati era una costante chiedere di restare oltre l’età pensionabile, ora è un’eccezione. Nel Sud c’è più mobilità e tante persone vanno al Nord. In Calabria il numero di guardie mediche è altissimo, superiore al resto d’Italia». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cercate-un-dottore-2657955726.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="meno-soldi-meno-visite-private-e-i-pazienti-si-riversano-da-noi" data-post-id="2657955726" data-published-at="1661726856" data-use-pagination="False"> «Meno soldi, meno visite private e i pazienti si riversano da noi» «Al pronto soccorso del Cardarelli di Napoli, il più grande ospedale del Mezzogiorno, ci sono 22 medici: ne servirebbero altri 24. Nel 2019 ce n’erano 46. Nei pronto soccorso di tutta la Campania, di qui al 2025 mancheranno 800 camici bianchi, ora sono vacanti 420 posti. Servirebbero 1.400 letti in più per arrivare alla dotazione minima e garantire i livelli di assistenza». Maurizio Cappiello, vicesegretario Anaao Assomed della Campania e medico chirurgo al Cardarelli, sciorina numeri da incubo. Come si è arrivati a questa situazione? «I pensionamenti, rispetto alle carenze totali, sono una piccola quota. Un 15% dei medici è andato a lavorare nel settore privato, un 10% si è trasferito all’estero e il resto si è fatto spostare nei reparti di degenza ordinaria dove non c’è lo stress delle emergenze». Si fugge dagli ospedali? «Le condizioni di lavoro sono diventate insostenibili. I pronto soccorso stanno esplodendo. Negli ultimi sette anni a Napoli ne sono stati chiusi 5: Loreto Mare, San Giovanni Bosco, Santa Maria del Popolo degli Incurabili, San Gennaro, Ascalesi. Gli ospedali di San Gennaro e di Santa Maria del Popolo degli Incurabili non esistono più. È uno degli effetti del commissariamento della Regione Campania. Per risanare il bilancio si è preferito tagliare alcune strutture di emergenza con la promessa, mai mantenuta, di potenziarne altre. L’ospedale Cardarelli si è fatto carico dell’afflusso dei pronto soccorso chiusi. Non bisogna dimenticare inoltre che gli ospedali spesso sono usati come ammortizzatori sociali per le prestazioni non urgenti». In che senso? «Le liste d’attesa per la specialista si sono allungate con il Covid. Tanti pazienti hanno saltato le cure e ora, per recuperare, si rivolgono all’ospedale. Qui arrivano quanti non hanno le disponibilità economiche per pagare un medico privato o fare gli accertamenti nei laboratori di analisi. Questa massa di persone si somma alle urgenze quotidiane. Sempre più spesso la tensione sale e sono frequenti le aggressioni da parte dei parenti del malato che è in corsia in attesa del suo turno e rivendica la priorità anche su chi arriva con il codice rosso. Oltre il 20% delle aggressioni avvengono proprio nel pronto soccorso. Lavorare in queste condizioni è diventato molto faticoso oltre che rischioso. Al medico dovrebbe essere riconosciuto lo status di pubblico ufficiale. Ora l’aggressore è perseguibile solo su denuncia a meno che non vi siano lesioni tali da richiedere una prognosi di almeno 20 giorni. Ecco perché chi può va altrove. Pesa anche uno stipendio che è più basso della media europea». Come si può arginare la fuga dei medici? «Innanzitutto occorre aumentare il numero dei posti letto per ridurre il sovraffollamento. Va riformata l’assistenza in emergenza; un medico che al pronto soccorso fa tutto non è più possibile. E per ammortizzare i turni massacranti servirebbero più ferie». Quanti giorni di riposo avete a disposizione? «Oscillano tra 32 e 36 giorni l’anno ma non si riescono a soddisfare per carenza di personale. Chi è nelle strutture di emergenza dovrebbe averne 15 in più».
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
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Al centro del processo in corso in Svizzera, la questione dell’effettiva residenza in terra elvetica della nonna Marella Caracciolo, cruciale per la validità dei testamenti.
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