
Il vice di Sergio Mattarella tra i partecipanti a incontri con personaggi citati nell'inchiesta, tra cui l'ex ministro dello Sport e Luca Palamara. Il braccio destro di Bonafede verso il Csm. Un giudice: «Meritiamo di sprofondare».Vedere trasformare l'avvocato David Ermini in una vittima del Giglio magico e, contestualmente, in una riserva per la democrazia, come sta accadendo in queste ore, sta infastidendo coloro che si sono battuti per farlo nominare vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Anche perché quasi l'intera carriera di questo avvocato di provincia è stata annaffiata da Matteo Renzi e Luca Lotti. Un paio di giorni fa in un caffè a due passi dalla Camera dei deputati c'era chi ricordava, dando l'impressione di considerare Ermini un irriconoscente, gli incontri che il vicepresidente faceva con alcuni dei personaggi finiti oggi nell'occhio del ciclone. In particolare, veniva citato un appuntamento al bar di Palazzo Montemartini, uno dei locali cool del renzismo imperante, nuovissimo hotel di fronte alla stazione Termini. Una riunione in cui i commensali discettarono di giustizia, Csm e, probabilmente, di nomine. «Mangiammo un toast» prova a smarcarsi uno dei partecipanti. «I quattro amici al bar» erano personaggi arcinoti alle cronache recenti: il pm romano Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione e spacciato in questi giorni come il belzebù della magistratura italiana, due deputati del Pd, Lotti e Cosimo Ferri, noti alle cronache per i conversari notturni con Palamara, e lo stesso Ermini. Il quale non ha partecipato alla serata all'hotel Champagne il 9 maggio scorso (quella che ha portato alle dimissioni di quattro consiglieri del Csm), ma che, evidentemente, qualche incontro carbonaro con i mariuoli del momento non se l'è risparmiato.Nelle redazioni circola voce che presto usciranno altre intercettazioni scivolose. Ieri un quotidiano ha giocato d'anticipo e ha riassunto, pur senza carte in mano, il contenuto di una di queste: «Ermini farà quello che gli verrà detto di fare da lui, Lotti». Una frase che non deve stupire. Per l'ex ministro, Ermini vicepresidente del Csm è un'invenzione del Giglio magico.Lotti, da tempo, pur in assenza di una laurea in giurisprudenza, è interessatissimo al Risiko della magistratura e alla sistemazione di amici e sodali in posizioni chiave. Per la nomina di Ermini si realizzò lo stesso schema che avrebbe dovuto portare Marcello Viola a capo della Procura di Roma. Nell'occasione tornarono a parlarsi e frequentarsi, nonostante la scarsa empatia degli anni precedenti, due grandi collettori di voti come Ferri e Palamara, segretari ombra di magistratura indipendente e Unicost. A metterli allo stesso tavolo era stato Lotti che con Palamara aveva instaurato un ottimo rapporto, forse anche per la comune passione per il calcetto. L'alleanza tra Palamara e il Pd aveva portato alla nomina a commissario della Consob di Giuseppe Maria Berruti, ex leader di Unicost, e alla proroga ad personam del giudice della Cassazione Giovanni Canzio, con un passato nelle correnti di sinistra e stimatissimo dai renziani.Ferri, inizialmente vicino a Forza Italia e a Silvio Berlusconi, venne messo ai margini dentro al partito sui temi della giustizia dall'asse tra Elisabetta Alberti Casellati e Claudio Maria Galoppi, entrambi, dal 2014 al 2018, membri del Csm (oggi la prima è presidente del Senato e il secondo è suo consigliere). Matteo Renzi in persona propose all'allora sottosegretario alla Giustizia Ferri (era stato nominato nel governo Letta in quota Forza Italia) un collegio sicuro che il giudice in aspettativa accettò. Arrivato in Parlamento, il magistrato deputato fece la pace con Palamara e spostò la corrente di Mi su posizioni renziane. Quando ci fu da scegliere il vicepresidente del Csm alle riunioni con i consiglieri partecipava Lotti, esattamente come all'hotel Champagne. I consiglieri non capivano (Lotti non aveva ruoli legati alla giustizia), ma abbozzavano.L'operazione più importante della nuova squadretta capitanata dall'ex ministro dello sport fu la nomina di Ermini. Il candidato del Pd non renziano doveva essere il costituzionalista Massimo Luciani e membri della corrente di sinistra dei giudici, Area, sondarono i colleghi delle altre correnti per valutare l'apprezzamento. Luciani perse le «primarie» e alla fine ci fu un braccio di ferro tra Ermini e l'avvocato genovese Alberto Maria Benedetti, in quota 5 stelle. Il patto Lotti-Palamara-Ferri resse e prevalse. «Ermini era molto voluto da Lotti», rammenta uno dei partecipanti all'Opa su Palazzo dei Marescialli.In queste ore si sussurra di almeno altri due consiglieri rimasti impigliati nelle intercettazioni a strascico contro Palamara. Si parla di una signora non meglio identificata e c'è persino chi cita Piercamillo Davigo, integerrimo magistrato e segretario della corrente Autonomia e indipendenza. A quanto riferito alla Verità da due diverse fonti, Palamara, già indagato a Perugia, menava vanto del fatto che dopo una recente presentazione del libro dell'eroe di Mani pulite, lo stesso Davigo si sarebbe fatto accompagnare a casa da Palamara in versione chauffeur. Quest'ultimo raccontò l'episodio a più d'uno, dandogli questa interpretazione: se il Robespierre dei magistrati si fa vedere con me vuol dire che non mi considera un corrotto. Quasi una patente d'onestà, ottenuta grazie alla patente dell'auto. Certamente, conversando da par suo con Palamara, Davigo non avrà detto niente di men che conveniente, ma potrebbe aver affrontato l'argomento nomine, che in questi giorni brucia chiunque lo tocchi. Va ricordato che la corrente di Davigo ha votato in commissione a favore di Marcello Viola, il candidato sostenuto da Ferri, Palamara e su cui per Lotti occorreva «virare».Con le dimissioni arrivate ieri di Corrado Cartoni sono quattro i consiglieri incolpati dal procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio (di Unicost, anche lui, secondo i ben informati, in rapporti con Palamara) che hanno lasciato lo scranno a Palazzo dei Marescialli. Resiste solo Paolo Criscuoli, giudice civile palermitano. Per sostituire i pm Luigi Spina e Antonio Lepre si terranno elezioni suppletive dopo l'estate, non essendoci toghe pronte a subentrare: alle ultime elezioni c'erano solo quattro candidati per quattro posti, uno per corrente e ovviamente sono stati eletti tutti. Sono, invece, pronti a entrare nel parlamentino due giudici (i non eletti erano tre): Ilaria Pepe e Giuseppe Marra (entrambi di Autonomia e indipendenza). Il secondo ha lasciato in fretta e furia il ministero della Giustizia (dove era stato nominato direttore generale degli affari giuridici) per rientrare in servizio in Cassazione (al Csm si può accedere solo dalla magistratura effettiva). Ieri per questa mossa di Marra si sono surriscaldate le chat e il giudice napoletano Stefania Amodeo ha scritto: «Senza parole. Questo terremoto non è valso a nulla. Sono basita per il rientro in ruolo di Marra al fine di subentrare nel Csm, dopo un fuori ruolo al ministero. Passando per il via. Come al Monopoli. Se tutto ciò è normale ed è consentito meritiamo di sprofondare».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.