2022-07-20
Centrodestra ignorato, ma Silvio rimedia
Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (Getty Images)
«Sconcertata» per l’incontro tra premier e Pd, la coalizione raggiunge Chigi dopo una telefonata tra il Cav e Mario Draghi. Sul tavolo resta l’ipotesi di chiedere la testa di Roberto Speranza e Luciana Lamorgese e una svolta all’agenda. Il ritorno di Giuseppe Conte però scombinerebbe tutti i piani.Fdi mostra i sondaggi: 23,8%. Il governatore dell'Abruzzo Marco Marsilio: «6.000 sindaci non han firmato».Lo speciale contiene due articoli.Giornata tutt’altro che semplice per Lega e Forza Italia. Di minuto in minuto, ieri, cresceva la sensazione di un Mario Draghi più disponibile a tornare sui propri passi e quindi a cercare una qualche ricomposizione della maggioranza: circostanza tale da rendere oggettivamente difficile per Matteo Salvini e Silvio Berlusconi opporre un no secco a una ripartenza. Certo, però, anche in termini di galateo politico, oltre che di sostanza, il premier non ha davvero risparmiato nulla al centrodestra di governo, che a un certo punto della giornata ha dovuto assistere all’incontro (non annunciato) tra lo stesso Draghi ed Enrico Letta. Vista nell’ottica di chi esamini il comportamento di Palazzo Chigi, si è trattato di una grave sgrammaticatura, potenzialmente in grado di far saltare tutto: paragonabile, come svarione, alla gestione dissennata che a gennaio i collaboratori di Draghi fecero delle ambizioni quirinalizie del premier. Ma vista dal punto di vista del centrodestra, si è trattato di un autentico dito nell’occhio, anzi della materializzazione di ciò che tanti già sussurravano: una filiera Quirinale-Palazzo Chigi-Nazareno volta a tagliar fuori il centrodestra di governo, puntando sempre a imporre un fatto compiuto a Lega e Fi. Dinanzi a ciò, Fi e Lega hanno fatto trapelare «sconcerto» e «incredulità», e per qualche ora si è registrato un giallo sulla volontà del centrodestra di chiedere a propria volta un confronto faccia a faccia con Draghi. Il primo bersaglio di Lega e Fi era ovviamente il Pd, accusato di «provocazioni», ma inevitabilmente la polemica toccava anche Draghi: «Il premier non può gestire una crisi così complessa confrontandosi solo con il campo largo di Pd e 5 stelle». Intanto, in tarda mattinata, la Lega (reduce da una riunione dei suoi parlamentari la sera prima) aveva lasciato trapelare l’intenzione di spingere (elezioni o no) per un voto ravvicinatissimo della legge di bilancio: «A prescindere dagli esiti della crisi di governo e anche in caso di elezioni anticipate», informavano fonti del Carroccio, «la Lega vuole tutelare la tenuta economica e sociale del Paese, garantendo l’approvazione in tempi brevissimi di una legge di bilancio anche tabellare, che dia certezze e stabilità. L’obiettivo è evitare un mercanteggiamento preelettorale, garantendo al contempo la messa in sicurezza dei conti dello Stato».Questa proposta era il frutto di una delle molte riunioni di ieri di Salvini, quella con i ministri e i sottosegretari del partito. Un altro incontro - presenti Salvini e Giancarlo Giorgetti - è avvenuto in videocollegamento con i governatori regionali leghisti. Poi il trasferimento a Villa Grande, da Silvio Berlusconi, per un pranzo tra le delegazioni di Lega e Fi (più mini formazioni centriste) divenuto una riunione durata sei ore.E prima di riaggiornare la riunione in tarda serata, è entrato in agenda, intorno alle 20, il confronto con Draghi a Palazzo Chigi (preceduto da una telefonata tra Berlusconi e il premier): presenti, oltre a Salvini, Antonio Tajani, Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi. Certo, tra le incognite rimaste sul tavolo, ce n’è una particolarmente spiacevole per il centrodestra: e se poi alla fine Giuseppe Conte si riaggregasse e votasse la fiducia, che farebbero Lega e Fi, dopo aver detto in tutte le lingue di non voler più collaborare con M5s? Al di là di questa evenienza, restano altri due rilevanti interrogativi che saranno sciolti solo oggi, e che potrebbero cambiare in extremis il segno della partita, rovesciandone l’esito da un oggettivo cedimento a una non trascurabile affermazione politica. Il primo: proveranno Lega e Fi a chiedere la messa in discussione di Roberto Speranza e Luciana Lamorgese? Non c’è bisogno di spiegare - qui - quanto sia stato catastrofico il comportamento dei due ministri. Nell’assemblea dei parlamentari leghisti, l’altra sera, Lamorgese e Speranza sono stati spesso evocati, e non certo per farne oggetto di elogi. In una richiesta di sostituzione non ci sarebbe - in questo caso - il rito politicista del rimpasto, ma un atto di saggezza rispetto alla delicatissima stagione politica che si annuncia. È prudente lasciare nelle mani di Speranza la gestione del prossimo autunno, riproponendo inevitabilmente la dinamica chiusurista? Ed è prudente che la Lamorgese resti al suo posto? Certo, si sa che i due ministri sono graditissimi al Quirinale: ma, in una vicenda in cui il centrodestra ha dovuto ingoiare molti bocconi amari, una compensazione politica sarebbe dovuta. Purtroppo, almeno fino a ieri sera, non si aveva la sensazione che il centrodestra di governo intendesse forzare sulla richiesta di rimuovere i due ministri. Il secondo interrogativo ha a che fare con richieste politiche avanzate da Lega e Fi. Ieri fonti dei due partiti evocavano quattro temi: «Una profonda revisione del reddito di cittadinanza (così da recuperare risorse per finanziare l’azzeramento del cuneo fiscale), la pace fiscale e la conseguente rottamazione delle cartelle esattoriali, l’investimento sul nucleare di ultima generazione e un fermo contrasto all’immigrazione clandestina». Nelle risposte (o nelle non risposte) di Draghi a queste domande, starà il bilancio politico di Lega e Fi al termine di questa partita.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/centrodestra-ignorato-silvio-rimedia-2657698186.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-meloni-sente-puzza-di-bruciato-sinistra-contro-il-voto-ci-teme" data-post-id="2657698186" data-published-at="1658274010" data-use-pagination="False"> La Meloni sente puzza di bruciato: «Sinistra contro il voto, ci teme» Se il Pd prova in tutti i modi a intestarsi il ripensamento di Mario Draghi (ieri l’incontro con il premier di Enrico Letta che ha fatto imbufalire il centrodestra di governo, i mini sit in di piazza, la mobilitazione largamente minoritaria dei sindaci), dall’altra parte Giorgia Meloni innalza il vessillo di lesa democrazia per i tentativi che si stanno facendo per evitare le elezioni a ogni costo. Senza mezzi termini la leader di Fratelli d’Italia ha cinguettato: «Le stanno tentando di tutte per non farci tornare al voto». E nel post si vede il sondaggio di Swg che dà Fratelli d’Italia al 23,8%. Commenta la Meloni: «Ecco perché la sinistra ha così paura». In effetti sono in corso le grandi manovre per delegittimare il partito di opposizione, il solo che stamani non ha dubbi su cosa fare al Senato e poi alla Camera, visto che i gruppi saranno compatti per la sfiducia. Le guida Repubblica, che per rompere il futuro asse di centrodestra ha pubblicato la lista dei ministri del prossimo governo Meloni: Guido Crosetto alla Difesa, Carlo Nordio alla Giustizia, Elisabetta Belloni, capo dei servizi segreti e candidata per qualche ora al Quirinale, ministro degli Esteri, dove si indica anche Giampiero Massolo, Giulio Tremonti forse all’Economia con alternative Domenico Siniscalco o Carlo Messina (Ceo di Intesa San Paolo), il prefetto di Roma Matteo Piantedosi (già capo di gabinetto di Matteo Salvini al Viminale) all’Interno, fino a Luca Ricolfi al Lavoro. La lista ha un evidente doppio scopo: logorare i rapporti tra la Meloni e i possibili alleati (la scelta di indicare il ministro dell’Interno è chiaramente diretta a colpire il segretario della Lega), e indurre i «nominati» a prendere le distanze da Fratelli d’Italia dopo che la convention di Milano a inizio maggio aveva invece mostrato l’attenzione della cosiddetta società civile verso il partito. Giorgia Meloni in risposta ha fatto notare: «A sentire la stampa sembra che tutta Italia stia supplicando Draghi di rimanere, come se questo governo fosse nel cuore di tutti gli italiani. Però poi la stessa stampa avverte che se si votasse stravincerebbe chi sta all’opposizione. Tipiche dissonanze cognitive della sinistra». È un indiretta ripresa della posizione che aveva espresso contro l’appello pro Draghi dei sindaci, quando aveva detto: «Pensino a rappresentare tutti i cittadini e non gli interessi dei singoli partiti». Ovviamente il Pd aveva replicato duramente e così lei ha ribadito: «La sinistra mi insulta perché critico l’appello dei sindaci. L’Italia a guida dem è così: niente regole e se li critichi ti attaccano con violenza. Così disdegna milioni di cittadini che vorrebbero tornare al voto, ma il giudizio dell’Italia arriverà presto». Sull’adesione dei sindaci all’appello pro Draghi (secondo il primo cittadino di Firenze, Dario Nardella, del Partito democratico sarebbero 1.600; i sindaci sono 7.904, quindi per far restare al suo posto il presidente del Consiglio ha firmato il 20,2%) è intervenuto Marco Marsilio, presidente di Fdi della Regione Abruzzo: «Faccio presente che ne mancano ancora 6.000 di sindaci. Io sto con gli altri 6.000 che non hanno firmato. Questa caccia alla firma è una cosa che non si è mai vista, penso che si è davvero superato ogni limite».