2025-01-24
Censura belga sul discorso di Trump «Abbiamo timore di quello che dice»
Alexander De Croo, Primo Ministro del Belgio (Ansa)
Assurda scelta della televisione pubblica francofona che ha trasmesso in differita l’insediamento del tycoon per non mandare in onda eventuali «affermazioni d’odio o xenofobe». Il canale non chiede scusa e tira dritto.La televisione pubblica francofona del Belgio, Rtbf, ha trasmesso leggermente in differita il discorso di insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump. Il motivo? Avere il «tempo per analizzare» le parole del neopresidente Usa qualora questo facesse dichiarazioni «razziste, di estrema destra, xenofobe e incitazioni all’odio». Lo ha spiegato il vicedirettore editoriale del canale pubblico Aurélie Didier.Può sembrare lo scenario di un film distopico, invece è tutto vero. Così come è reale la scelta fatta dalla stessa Rtbf di invitare regolarmente nelle proprie trasmissioni politiche dei rappresentanti di partiti di ispirazione islamica come il Team Fouad Ahidar, che prende il nome dal suo fondatore. Questa formazione è riuscita a fare eleggere alcuni suoi esponenti, in occasione delle elezioni locali nella regione di Bruxelles dello scorso ottobre. In totale, questo partito di sensibilità islamica ha ottenuto 5 seggi nella città di Bruxelles, 4 a Schaerbeek e ben 7 a Anderlecht e a Molenbeek, Comune tristemente noto per essere stato eletto come base d’appoggio di vari terroristi islamici che hanno insanguinato l’Europa negli ultimi anni. Tornando alla cerimonia di insediamento del 47° presidente americano, va detto che nel reagire alle polemiche scaturite dalla scelta di trasmettere leggermente in differita l’evento, Aurélie Didier ha contestato le accuse più pesanti affermando che «non è una questione di censura». Lo stesso vicedirettore editoriale di Rtbf ha anche rivendicato la scelta di imporre un «cordone sanitario mediatico» per non dare la parola all’estrema destra. Questo cordone pare essersi formato nel 1989 dopo della vittoria elettorale del partito nazionalista fiammingo Vlaams Blok. E così mentre il Belgio si islamizzava sempre di più, i giornalisti mainstream del Paese hanno decretato che non si doveva parlare di certe cose ritenute di «estrema destra», semmai le si poteva trattare solo da certe angolazioni, approvate dai benpensanti. La lista di questi argomenti tabù si è allungata nel corso degli anni andando a includere una lunga serie di questioni: gli effetti dell’immigrazione incontrollata, i danni dell’aborto, i dubbi sul cambiamento climatico, ecc.Ma se le motivazioni fornite da Didier possono lasciare perplessi i sostenitori della libertà di espressione, questi ultimi potrebbero cadere dalla sedia nel leggere le parole di Murielle Hanot, segretario generale del Cdj, il Consiglio di deontologia giornalistica belga. «Si confonde il fatto di evitare un’espressione in diretta con la censura», ha dichiarato Hanot al giornale belga Moustique. Secondo lei, «qui si tratta di trasmettere delle dichiarazioni lasciando la possibilità di rimetterle in prospettiva». La numero uno del Cdj ha anche detto che «il cordone sanitario mediatico si può applicare» perché è una «questione di responsabilità sociale dei giornalisti». L’autore dell’intervista ha chiesto se il cordone sanitario possa valere anche per Trump benché non aderisca a partiti di estrema destra. Hanot è stata categorica in senso affermativo perché, secondo lei, questo blocco deve essere applicato a «candidati, liste, partiti, movimenti... identificati come liberticidi o antidemocratici», il cui «programma o le dichiarazioni entrano in contraddizione con le leggi che reprimono il razzismo, il sessismo, la discriminazione o il negazionismo». Inoltre bisogna «sottoporre questi discorsi a un trattamento giornalistico». Sembrerebbe di capire quindi che in Vallonia, la zona francofona del Belgio, per i giornalisti è lecito non parlare, né intervistare i rappresentanti di partiti che, secondo loro, non sono di centrosinistra, oppure islamisti. Inoltre, gli stessi professionisti dell’informazione in questione si arrogano il diritto di riportare le loro dichiarazioni, solo dopo aver effettuato un «trattamento giornalistico», verosimilmente in linea con le loro opinioni politiche.Come ha ricordato in una tribuna pubblicata da Le Figaro il senatore onorario belga, Alain Destexhe, «la Vallonia resta una regione povera, con record negativi dal punto di vista economico, educativo e sociale, qualunque siano gli indicatori utilizzati». Da decenni la regione è governata dalle sinistre che, secondo il senatore, «per mascherare questo fallimento» devono «mostrarsi in prima linea nella lotta contro un’estrema destra immaginaria». Destexhe ritiene che ci sia «una tacita connivenza tra i media belgi, tutti di sinistra, e i partiti di sinistra» e che quindi «se cadesse il cordone sanitario, questi ultimi sarebbero i primi a subirne le conseguenze elettorali» registrate altrove in Europa. Sarà anche per questo che la vicenda del discorso di Trump in differita è stata denunciata da Georges-Louis Bouchez, deputato belga del Mouvement réformateur, situato politicamente a destra. Ma al di là degli interessi politici, ciò che è accaduto in Belgio ricorda vagamente il modus operandi di certe dittature che annegano la società nella propaganda ufficiale.
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