2023-04-11
Cenerentola è il racconto perfetto per superare le litigate in famiglia
Nella riedizione di «Le fiabe non raccontano favole» il filosofo Silvano Petrosino legge l’avventura della scarpetta a caccia del senso profondo: un’educazione implicita alla libertà negli affetti soprattutto coi parenti di sangue.Al centro della fiaba di Cenerentola è posto il tema della rivalità fraterna e dell’ostilità in famiglia. Si tratta di un tema universale che emerge con chiarezza, ad esempio e per limitarsi alla sola narrazione biblica, nella vicenda di Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i fratelli. Nel nostro caso, trattandosi di una fanciulla, l’ostilità è quella esercitata dalle sorellastre: in Cappuccetto Rosso l’ostacolo è costituito dal lupo (l’uomo-seduttore), in Biancaneve dall’altra donna (la regina invidiosa), in Cenerentola dalle persone di casa (la matrigna e le perfide sorellastre). Anche in Cenerentola la protagonista è sola: la madre è morta, il padre è assente perché è in viaggio; inoltre la fanciulla è relegata ai margini della casa, ed è costretta, come uno scarto, a vivere vicino al focolare e tra la cenere. […] Cenerentola vive come un’estranea tra i suoi. Da questo punto di vista il tema della rivalità fraterna deve essere ricondotto a un’esigenza fondamentale che si colloca all’origine stessa del costituirsi di ogni identità soggettiva: si tratta del desiderio di riconoscimento. La ragione di questa insopprimibile tendenza non è difficile da comprendere; si viene alla vita senza deciderlo, ma ora si deve precisare che si viene alla vita sempre all’interno di una scena già allestita, in cui altri attori già da tempo recitano la loro parte: il ‘nuovo arrivato’ è ‘nuovo’ proprio perché ‘sopraggiunge’ in un luogo in cui deve ‘ritagliarsi’ il proprio spazio, in cui deve trovare quella collocazione che, per lo meno in prima battuta, deve essere ‘autorizzata’ e ‘accettata’ mediante il riconoscimento di altri (la madre, il padre, i fratelli, le sorelle, ecc.). Tuttavia, anche in questo caso, come accade sempre per le vicende umane, il «desiderio di riconoscimento», un desiderio che deve essere senz’altro considerato un desiderio legittimo e «buono», può trasformarsi in una trappola in cui il soggetto alla fine rischia di perdersi. […] È un primo grande insegnamento di questa fiaba: essere amati, riconosciuti, ammirati, scelti, è una speranza del tutto legittima che tuttavia non deve mai trasformarsi in una pretesa: posso stare in attesa del riconoscimento ma non devo cadere nella trappola di concepire e vivere una simile attesa come una pretesa. Quest’ultima porta alla cecità perché spinge a guardare l’altro sempre e solo in riferimento a sé stessi, come uno specchio di sé stessi, come se l’altro non avesse altro da fare che riconoscermi e amarmi. Cenerentola, dicevamo, è sola ed esclusa, eppure ella non resta vittima di tale situazione, non si lascia andare cedendo allo sconforto. Il ramoscello che chiede in dono al padre (mentre le sorellastre chiedono «bei vestiti, perle e gemme») svolge da questo punto di vista una funzione simbolica assolutamente fondamentale: non è una cosa inerte, non è un semplice oggetto da indossare e usare, ma è un essere vivente di cui ci si può prendere cura e soprattutto che può crescere. Il tema e il tempo relativo alla «crescita», così come la differenza tra «usare» e «curare», sono qui essenziali; infatti, dopo aver ringraziato il padre per il dono ricevuto, Cenerentola si reca sulla tomba della madre e vi «piantò il rametto e pianse tanto che le lagrime vi caddero sopra e l’innaffiarono. Il ramo crebbe e divenne una bella pianta. Cenerentola ci andava tre volte al giorno, piangeva e pregava, e ogni volta si posava sulla pianta un uccellino bianco, che, se ella esprimeva un desiderio, le gettava quel che aveva desiderato». […]Dopo il tema della «solitudine», emerge fin dalle prime battute della fiaba quello delle «avversità». La solitudine di Cenerentola, come già si accennava, è particolarmente drammatica perché essa è da ricondurre non solo all’assenza della madre e del padre, ma anche alle angherie a cui è sottoposta da parte della matrigna e delle sorellastre. Emerge a questo livello un tratto di particolare interesse; le prove a cui la fanciulla è sottoposta sembrano insormontabili, e in verità lo sono, ma ella, grazie all’aiuto degli uccellini del cielo, riesce a superare le prove. Se ci si fermasse qui, si banalizzerebbe il senso del racconto; si potrebbe infatti ridurre tutto all’intervento magico e inverosimile degli aiutanti alati; ma il testo precisa che nonostante Cenerentola riesca a superare le prove impossibili a cui è sottoposta dalla matrigna il risultato resta comunque lo stesso: lei non potrà partecipare al ballo organizzato dal re per trovare una sposa al figlio. Contro ogni ottimismo ingenuo, non è vero che tutte le difficoltà, se ci si impegna (esaltazione idolatrica della propria volontà), prima o poi saranno superate; inoltre, a volte accade che anche quando esse vengono superate la situazione non cambi: «Ma la matrigna le disse: – È inutile, tu non vieni, perché non hai vestiti e non sai ballare: dovremmo vergognarci di te –. Le voltò le spalle e se ne andò in fretta con quelle due figlie boriose».La fanciulla, dunque, avrebbe tutte le ragioni per avvilirsi e rinunciare, abbandonandosi così allo sconforto; ma ancora una volta, sebbene sia sempre più sola, ella risponde e, ritornando sull’unico luogo che riesce concretamente ad abitare e in cui si sente realmente accolta in quanto Cenerentola, ribadisce con forza il proprio desiderio: «Rimasta sola, Cenerentola andò sulla tomba della madre e gridò – Piantina, scuotiti, scrollati, d’oro e d’argento coprimi». Questo «grido» non è riducibile a un semplice ‘atto di volontà’ assomigliando piuttosto a un’invocazione, a una preghiera; quando tutto sembra ormai perduto, si può sempre gridare, si può sempre pregare, e non c’è solitudine che possa impedire quel grido che è sempre rinvio ad altro, all’altro. Nel grido, infatti, si è al tempo stesso soli e non già più soli.Il grido di Cenerentola viene ascoltato e «allora l’uccello le getto un abito d’oro e d’argento e scarpette trapuntate d’argento e di seta. In fretta in fretta ella indossò l’abito e andò a nozze». Inizia l’avventura del ballo a palazzo reale dove Cenerentola si reca tre volte ma dal quale fugge anche tre volte. […]Nel corso dell’ultima fuga Cenerentola perde la scarpetta d’oro, una scarpetta che essendo d’oro non può essere modificata, nel tentativo ma anche con la pretesa di adattarla a qualsiasi piede, ma solo indossata dalla sua legittima proprietaria. […]Si apre a questo punto il capitolo a mio avviso più drammatico dell’intero racconto. Davanti alla prova di indossare la scarpetta per verificare se sono loro la giovane con la quale il principe ha ballato tutta la sera durante la festa a palazzo, la madre spinge entrambe le figlie, prima la maggiore e poi la minore, a mutilarsi il piede in modo da riuscire ad infilarlo nella calzatura che risulta troppo piccola per loro. […] Ecco come la determinazione si trasforma in ostinazione e come l’ostinazione porta alla violenza, alla mutilazione della propria persona, arrivando così a stravolgere la propria vita pur di raggiungere lo scopo; quando si ragiona secondo la logica del ‘a ogni costo’, questo costo, in ultima analisi, non potrà essere altro che quello della propria vita. Vale la pena ripeterlo: si può desiderare e sperare di essere scelti e amati, così come si può desiderare e sperare di diventare sposa e madre (la matrigna di Biancaneve), ma non si deve pretendere di esserlo ad ogni costo. Inoltre, ciò che rende particolarmente drammatica e tragica questa trasformazione – quella dalla determinazione all’ostinazione, dall’attesa alla pretesa – è che essa è sollecitata dalla madre stessa nei confronti delle proprie figlie, madre che, a differenza del padre di Cenerentola, non fa mai un passo indietro e resta caparbiamente al centro della loro vita impedendole di raggiungere una piena autonomia. […]Le sorellastre riescono, a turno, a calzare la scarpetta, e riescono anche ad ingannare il principe, ma nonostante questi ‘successi’ non possono impedire che l’effetto della loro mutilazione si manifesti con assoluta evidenza: il sangue sgorga dalla calzatura rivelando al principe la trappola in cui è caduto. […]Il principe, caduto in un primo momento nell’inganno delle sorellastre ma che ora dimostra di non limitarsi a vedere ma di sapere anche guardare, andando al di là dell’aspetto esteriore poco piacevole della ragazza, porge infine la scarpetta a Cenerentola, la quale, di propria iniziativa, indossa la calzatura con facilità e alla perfezione. Non è il principe ad infilare la scarpetta a Cenerentola ma è quest’ultima a calzarla autonomamente; il particolare è di fondamentale importanza e può essere collegato al fatto che solo Cappuccetto Rosso, e non il cacciatore o la nonna, può decidere di lasciare il lupo fuori dalla propria casa/vita.Anche in Cenerentola, così come in Biancaneve, il racconto non finisce affatto con l’ovvio «e tutti vissero felici e contenti»; per le sorellastre, così come per la matrigna in Biancaneve, la storia si conclude tragicamente e questo permette di evidenziare uno degli aspetti più fecondi delle fiabe, le quali, evitando ogni ipocrisia e non cadendo nella trappola della parola edificante, sollecitano il lettore a identificarsi con tutti i personaggi messi in scena e non solo con le eroine o con gli eroi del racconto. [..] Il viaggio di quest’ultime giovani donne, per certi aspetti mosso dallo stesso legittimo desiderio che muove il viaggio dell’altra giovane donna della storia, ha dunque un esito terribile: la mutilazione dei piedi, infatti, evolve con estremo rigore nella mutilazione degli occhi. In effetti, una stessa logica lega tra loro lo sguardo di sbieco, l’in-vidia della regina di Biancaneve e la cecità delle sorellastre di Cenerentola, come se la prima fosse sempre destinata, prima o poi, a trasformarsi nella seconda: «Quando stavano per celebrarsi le nozze, arrivarono le sorellastre, che volevano ingraziarsi Cenerentola e partecipare alla sua fortuna. E mentre gli sposi andavano in chiesa, la maggiore era a destra, la minore a sinistra di Cenerentola; e le colombe cavarono un occhio a ciascuna. Poi, all’uscita, la maggiore era a sinistra, la minore a destra; e le colombe cavarono a ciascuna l’altro occhio. Così furono punite con la cecità di tutta la vita, perché erano state false e malvage».
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