2021-09-20
Ma davvero a voi questa sembra «normalità»?
Dall'immunologa Antonella Viola a Mariastella Gelmini, la parola d'ordine è trasformare in ordinarietà lo stato d'eccezione. Così, finisce per apparirci scontato vivere in un regimetto, che oscilla tra restrizioni e minime concessioni.All'improvviso, è tutto risolto, tutto va bene. L'immunologa Antonella Viola, durante la manifestazione letteraria Pordenonelegge (oggi, come noto, i medici affollano anche gli eventi culturali) annuncia raggiante: «Siamo già fuori dalla pandemia. Ci siamo svegliati in un nuovo giorno in cui conviviamo con un nuovo virus e di conseguenza ogni tanto dovremmo usare le mascherine nei luoghi chiusi, dovremmo usare i green pass ancora per un po', ma abbiamo avuto un'estate normale, siamo qui a chiacchierare tranquillamente». Una estate normale, dice lei. Viene da chiedersi come mai, allora, per settimane e settimane, proprio durante il periodo estivo, i principali quotidiani ci abbiano ripetuto che eravamo ancora in piena emergenza, che si stava rischiando grosso, che molte regioni erano a un passo da una nuova chiusura, che gli scriteriati no vax stavano spargendo morte a manciate. Ora, però, apprendiamo che è tutto a posto. È bastato introdurre il green pass e poi il super green pass per risolvere magicamente ogni problema. Pure le vaccinazioni, ora, procedono che è un piacere. «Code negli hub per immunizzarsi e ottenere il certificato», titola arzilla Repubblica. «Più 35% di prime dosi», rincara. Il generale Figliuolo sbandiera un fantastico aumento del 40% delle punture. Che cosa ci sia da vantarsi non è chiarissimo: se obblighi le persone a vaccinarsi (perché il super green pass è di fatto un obbligo), è ovvio che più gente correrà a sottoporsi all'iniezione. Per altro, stiamo parlando di cifre tutto sommato contenute. L'Italia era già tra le nazioni più vaccinate d'Europa e del mondo, la percentuale di popolazione con almeno una dose era superiore anche a quella registrata nel Regno Unito, dove però non ci sono restrizioni. Insomma, non è che le cose andassero male. Solo che sui media hanno dipinto un quadro orrorifico, ovviamente allo scopo di giustificare l'applicazione di nuove norme più stringenti. Ora che il lasciapassare rinforzato è stato approvato, è consentito all'improvviso celebrare i grandi risultati ottenuti: almeno fino alla prossima stretta, bisognerà lasciare al governo la possibilità di vantarsi.Dunque la vaccinazione procede spedita, e l'estate è stata «normale», come dice Antonella Viola. E sembra persino crederci, la dottoressa. È appena più onesta Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali. Ieri, al Corriere della Sera, ha spiegato che «con l'85% della popolazione immunizzata avremo un autunno quasi normale». Ah, eccola lì: non è normalità, è «quasi» normalità. Ed è proprio quel quasi a rendere la fotografia più nitida della situazione che stiamo vivendo. Siamo, in effetti, quasi liberi. Siamo sottoposti a una quasi dittatura. Le attività produttive e gli esercizi hanno quasi riaperto. Si può quasi rientrare a scuola in presenza. Gli italiani sono quasi sereni. Quasi, però.Il quasi è il tappetino sotto cui nascondere la polvere sgradevole. Se Giorgia Meloni, sabato, ha portato in piazza migliaia e migliaia di persone e continua a crescere nei sondaggi, significa che non proprio tutti gli italiani sono soddisfatti dell'attuale gestione. Se il blog che promuove il referendum per l'abolizione del green pass ottiene circa 600.000 visite appena messo online, forse non sono tutti così felici.Ma ci sono anche altri dati, ferrigni nella loro concretezza. A pochi giorni dall'inizio dell'anno scolastico, già migliaia di alunni sono tornati in didattica a distanza. E non solo in Trentino Alto Adige, ma anche a Milano, in Emilia, in Abruzzo. Nonostante il green pass e il super green pass, guarda un po', ci sono pure decine di focolai nelle Rsa. Certo, i casi gravi di infezione sono pochi. Ma i contagi rimangono. E il punto è sempre quello: i contagi. È sui contagi che il governo si basa per decidere in merito alle riaperture. È sui contagi che si basa il sistema delle zone colorate, che è ancora in vigore. «Se i numeri dei contagi saranno sotto controllo», dice il ministro Gelmini, «è già previsto che si possa procedere ad aumentare le capienze per tutti gli eventi e a riaprire le attività ancora chiuse, anche le discoteche». Ecco, ma se i contagi salgono? Che si fa, non si riapre? Forse no, visto che siamo nella «quasi» normalità, va quasi tutto bene, siamo quasi liberi.Il punto, di nuovo, è il quasi. Cioè quella fettina di incertezza che garantisce l'arbitrio governativo; quei pochi grammi di libertà mancanti che ci fanno restare appesi alle decisioni della Cattedrale Sanitaria, e ci rammentano quotidianamente che non possiamo decidere del nostro destino. Nella quasi dittatura, infatti, non ci sono persecuzioni fisiche violente (per ora), non ci sono bastonate o sparizioni. La libertà, tuttavia, è stata sottratta alla popolazione e viene restituita sotto forma di piccole elargizioni, che in ogni momento possono essere revocate. Ci vendono come una grande vittoria la possibilità - per adesso solo ventilata - che si torni all'80% di capienza negli stadi e agli eventi. Il 20% di capienza mancante è appunto il «quasi»: siamo talmente assuefatti alla propaganda da essere pronti a festeggiare se il governo conferma una restrizione alleggerendola un filo. «Credere che il green pass significhi il ritorno alla normalità è davvero ingenuo», ha scritto un paio di giorni fa Giorgio Agamben. «Così come si impone già un terzo vaccino, se ne imporranno dei nuovi e si dichiareranno nuove situazioni di emergenza e nuove zone rosse finché il governo e i poteri che esso esprime lo giudicheranno utile. E a farne le spese saranno in primis proprio coloro che hanno incautamente obbedito».Se fossimo ancora lucidi, ancora liberi almeno a livello di pensiero, ci renderemmo conto che non è normale togliere lo stipendio a chi esercita un diritto costituzionale, non è normale essere bombardati quotidianamente da bugie e allarmismi istituzionali, non è normale dover esibire un lasciapassare che non ha alcuna ragion d'essere (né scientifica né medica) per entrare al lavoro. E ciò che non è normale è eccezionale: viviamo, infatti, in uno stato di eccezione col quale si giustifica la repressione quotidiana del dissenso.Come mai, allora, tanti italiani non si ribellano? Chissà, forse sono quasi rincitrulliti. Ma quasi, eh.
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)