2025-01-07
Caso Sala, l’Iran si divide e apre uno spiraglio
Cecilia Sala e, a destra, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (Ansa)
Massimo riserbo di Roma sulla riunione del Copasir. Ma dal ministero degli Esteri di Teheran filtra che il destino di Abedini e quello della cronista (sulla quale si terrà un’inchiesta) sarebbero slegati. E la magistratura dichiara di non sapere nulla del suo arresto.Una partita a scacchi con le mosse pubbliche alquanto prevedibili, mentre quelle coperte le conoscono solo i protagonisti di questo triangolo tutt’altro che amoroso: Donald Trump, Giorgia Meloni e il regime iraniano. La visita lampo del presidente del Consiglio italiano a Mar-a-Lago e l’incontro con il tycoon sono serviti chiaramente a capire quanto Trump sia disponibile, in nome della solida amicizia con la Meloni, a concedere all’Italia un po’ di margine di manovra per trattare con Teheran per la liberazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta nel carcere di Evin dallo scorso 19 dicembre e accusata di «aver violato le leggi della Repubblica islamica», il che significa, come è di tutta evidenza, tutto e niente. In cambio della sua liberazione l’Iran chiede che non venga concessa l’estradizione negli Stati Uniti d’America di Mohammad Abedini Najafabadi, ingegnere iraniano arrestato all’aeroporto di Malpensa su richiesta di Washington lo scorso 16 dicembre, accusato di collaborazione con i terroristi iraniani. Dopodiché, come insegna la storia di queste trattative condotte dai servizi segreti dei vari Paesi, le pedine di scambio potrebbero anche essere altre: la Sala potrebbe essere scarcerata e rimandata in Italia anche in cambio della liberazione di altri iraniani in galera in Italia o negli Usa. Ieri da Teheran sono arrivate dichiarazioni di pura circostanza: a quanto riporta l’Agenzia Nova, nel corso del bollettino settimanale rilasciato ai media, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, ha negato qualsiasi collegamento tra l’arresto di Cecilia Sala a Teheran e quello di Mohammad Abedini Najafabadi a Milano. Una dichiarazione che contraddice quanto pubblicato lo scorso 2 gennaio su X dall’ambasciata iraniana a Roma, in seguito alla convocazione dell’ambasciatore alla Farnesina. Il post commentava l’incontro tra l’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran a Roma, Mohammad Reza Sabouri, e Riccardo Guariglia, segretario generale del ministero degli Esteri italiano: «In questo amichevole colloquio», si leggeva «si è discusso e scambiato opinioni sul cittadino iraniano Abedini, detenuto nel carcere di Milano con false accuse e della signora Cecilia Sala, cittadina italiana, detenuta in Iran per violazione delle leggi della Repubblica islamica dell’Iran. L’ambasciatore del nostro Paese ha annunciato in questo incontro che sin dai primi momenti dell’arresto della signora Sala, secondo l’approccio islamico e sulla base di considerazioni umanitarie», si leggeva ancora, «tenendo conto del ricorrente anniversario della nascita di Cristo e dell’approssimarsi del nuovo anno cristiano, si è garantito l’accesso consolare all’ambasciata italiana a Teheran. Sono state inoltre fornite alla signora Sala tutte le agevolazioni necessarie, tra cui ripetuti contatti telefonici con i propri cari e ci si aspetta dal governo italiano che, reciprocamente, oltre ad accelerare la liberazione del cittadino iraniano detenuto», scriveva l’ambasciata, «vengano fornite le necessarie agevolazioni assistenziali di cui ha bisogno». L’Iran dunque pochi giorni fa collegava esplicitamente i due dossier e ieri negava ogni collegamento. I casi sono due: o tra Roma, Washington e Teheran si sta studiando una soluzione alternativa allo scambio Sala-Abedini oppure le dichiarazioni di ieri del ministero degli Esteri iraniano sono aria fritta. Da interpretare invece un altro passaggio delle dichiarazioni di ieri del portavoce del ministro degli Esteri iraniano che come riporta l’Adnkronos, ha annunciato l’apertura di «un’inchiesta» sul caso di Cecilia Sala: «La comunicazione degli ultimi sviluppi e i dettagli riguardo al caso», ha detto Baghaei, «spetta al portavoce della magistratura». Il Manifesto, che sottolinea come sui media iraniani l'arresto della giornalista italiana sia quasi completamente oscurato, riporta una dichiarazione del portavoce della magistratura di Teheran, Asghar Jahangir, che ha affermato «di non essere a conoscenza del caso di Cecilia Sala». Una cortina fumogena, come è evidente, avvolge la vicenda. In relazione all’arresto e alla detenzione in Italia di Mohammad Abedini, Baghaei ha poi sottolineato: «Consideriamo questa una forma di presa di ostaggio nei confronti dei cittadini iraniani. La loro accusa è infondata. La nostra richiesta è che le relazioni con l’Iran non vengano influenzate dalle volontà di terzi». I terzi, manco a dirlo, sarebbero gli Usa. Ieri Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, ha riferito per più di due ore al Copasir sul caso Sala. Al termine dell’audizione il responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, componente del Copasir, ribadendo il dovere di mantenere il segreto sui contenuti della audizione, si è limitato a dire: «C’è fiducia? Sì, siamo fiduciosi, ma c’è anche stata la richiesta di silenzio stampa, motivo in più per non parlarne».
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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