2018-08-03
C’è uno scrittore emulo della Bobbit che predica la fine della mascolinità
L'americano John Stoltenberg si proclama un femminista radicale e usa toni più veementi della donna che evirò il suo compagno, invitando gli uomini a combattere sé stessi: «La nostra identità è costruita sull'oppressione».Ve la ricordate Lorena Bobbitt, l'indimenticabile signora che, armata di forbici, aggredì il «bene più caro» del suo compagno? Ecco, adesso arriva qualcuno (occhio: un uomo!) che la scavalca a sinistra, e, per farla breve, spiega che i maschi devono provvedere direttamente da sé, speriamo solo metaforicamente.Chi è il fenomeno? Si chiama John Stoltenberg, è uno scrittore californiano, e si proclama un «femminista radicale». Da anni «elabora» sul tema, con libri dal titolo surreale: Disarmo e mascolinità: connessione tra violenza sessuale e guerra, Rifiutare di essere uomo: saggi su sesso e giustizia e La fine della mascolinità: un libro per uomini di coscienza.Non parendogli abbastanza l'attività giornalistica e letteraria, si dedica pure all'attivismo e alla militanza diretta, con workshop e gruppi di formazione contro la violenza (maschile) e una martellante attività radiotelevisiva ben sintetizzata da una sua «perla di saggezza»: «La pornografia dice il falso sulle donne, ma dice il vero sugli uomini». Roba da far diventare Laura Boldrini e Asia Argento due paladine del genere maschile, insomma.L'ultima di Stoltenberg è una scombiccherata intervista a Vice Magazine. Già il titolo ci fa capire dove si va a parare: «Tutta la mascolinità è tossica». Tenetevi forte: chi lo intervista gli pone esattamente questo problema, evocando l'espressione «mascolinità tossica», e chiedendogli se per caso possa esisterne una forma «non tossica». Ma a Stoltenberg pare un'idea morbida e inaccettabile: parlare di «mascolinità salutare» sarebbe come parlare di un «cancro salutare». Guai - spiega Stoltenberg - se qualcuno dovesse per caso sentirsi autorizzato a dire «sono un uomo migliore di quell'altro tipo di uomo» (quello della mascolinità tossica, appunto): sarebbe una «trappola» logica. Insomma, fate e facciamo tutti schifo, senza eccezioni, perché «la mascolinità è un'identità interamente costruita sull'oppressione».Segue un ampio appoggio di Stoltenberg a #Metoo, la campagna contro le (vere o presunte) violenze avvenute nel mondo nello spettacolo. E infine l'appello: non basta che a organizzarsi contro gli uomini siano le donne, e non basta nemmeno che la campagna sia rivolta solo contro i maschi violenti. Bisogna fare una campagna contro gli uomini in quanto tali: e devono farla in primo luogo i maschi, chiamati da Stoltenberg ad autoarruolarsi contro sé stessi.Direte voi: un delirio, un caso da infermieri e ambulanze. Ma forse la tendenza non va sottovalutata. Inutile girarci intorno. A partire dal movimento #Metoo, e ora direttamente in ambito maschile, c'è tutto un fiorire di una pubblicistica per spiegare quanto siano porci e impresentabili i maschi. L'inclinazione psicopolitica mi pare proprio quella di Lorena Bobbitt: colpevolizzare il maschio in quanto tale, aggredire un genere in modo indistinto, far pensare che gli uomini - tutti - si dividano tra stupratori e possibili stupratori.Viene da pensare che, se alcune (e pure alcuni!) avessero di fronte James Bond, lo metterebbero sotto processo non solo perché imperialista e occidentale (già due capi d'accusa non da poco a sinistra!), ma pure perché responsabile di avance nei confronti delle belle signore che incontra sulla sua strada. È perfino superfluo ribadire, a scanso di equivoci, che chiunque sia responsabile di violenza va denunciato, perseguito, e, se colpevole, condannato. Ma, con la stessa chiarezza, va respinta questa sorta generalizzata jihad antimaschile almeno per due ragioni. Primo: perché non mi pare proprio che tutte le donne si sentano assediate da tutti gli uomini in circolazione. Ma dove vive chi sostiene questa follia? Il mondo è pieno di famiglie, luoghi di lavoro, ambienti umani e professionali dove uomini e donne convivono, competono, si incontrano, si scontrano, facendo i conti - com'è assolutamente fisiologico - con simpatie, antipatie, successi, insuccessi, felicità o delusioni, ma senza che vi siano comportamenti criminali. Non dispiaccia alle paladine (e ai paladini) del giustizialismo applicato alle relazioni sessuali: ma la regola, la normalità, è questa. L'abuso - per fortuna - è una remota, ultraremota eccezione da perseguire.Secondo: perché semmai oggi ad aver bisogno di riscatto è proprio l'uomo, vittima di una specie di nuovo maccartismo, di un generalizzato processo di intimidazione, di una sistematica presunzione di colpevolezza. Sia consentito dirlo: esistono tanti stronzi, ma esistono pure un mucchio di stronze (sia perdonato il doppio «oxfordismo»). E allora - com'è giusto - critichiamo in ogni campo chi si comporta male, dimenticando per un momento se si tratta di un lui o di una lei.
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Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.