2020-10-12
«C’è poco entusiasmo per Sleepy Biden ma per Trump è dura»
L'esperto Usa Andrew Spannaus: «Contro il presidente gestione Covid e scandali, anche se il suo avversario non ha prodotto una sola idea forte».La campagna elettorale americana è ormai entrata nel suo ultimo, serrato, mese. I colpi di scena non mancano: Donald Trump è stato contagiato dal coronavirus e Joe Biden è nettamente avanti nei sondaggi a livello nazionale. Tutto questo accade mentre sullo sfondo si prepara una battaglia in Senato per la conferma di Amy Coney Barrett come giudice della Corte Suprema. Il Paese è polarizzato, con la situazione che si fa sempre più incerta sulle questioni dell'economia e dell'ordine pubblico. In tutto questo, prosegue uno scontro sul caso Russiagate, con il presidente Trump che sostiene (non senza qualche evidenza) di essere rimasto vittima di una manovra, ordita dai suoi avversari politici. E intanto crescono le analogie con la campagna elettorale del 1968: una campagna, anche allora, caratterizzata da proteste, crisi e sommovimenti politici. Non sarà del resto un caso che Trump abbia spesso cercato di imitare il candidato che proprio le presidenziali di quell'anno riuscì infine a vincere: Richard Nixon. È del resto in tal senso che l'attuale inquilino della Casa Bianca ha rinverdito alcuni classici slogan nixoniani (come «legge e ordine» o «maggioranza silenziosa»), cercando di additare al contempo il suo rivale democratico come ostaggio dell'estrema sinistra. È quindi per cercare di comprendere questo complicato quadro che La Verità ha deciso di intervistare l'analista Andrew Spannaus, autore del recente volume L'America post-globale. Trump, il coronavirus e il futuro (Edizioni Mimesis). Quale impatto politico avrà, secondo lei, il contagio del presidente Trump sotto il profilo politico-elettorale? «Trump è in una situazione già difficile. Nel senso che ha uno svantaggio. Sperava in un recupero, in un comeback in queste due settimane. Ma ha avuto due settimane veramente pessime: le rivelazioni sulle tasse non versate, un dibattito in cui la sua strategia non ha pagato, e adesso il ricovero ospedaliero per colpa del Covid. Il virus fa male a lui, perché ricorda a tutti il principale motivo di critica di Trump da parte dell'elettorato, e cioè che non ha gestito bene la pandemia».Un contrappasso?«Il fatto di averlo preso e che tanti altri intorno a lui alla Casa Bianca si siano infettati con il Covid-19 conferma un atteggiamento poco attento. Più si parla della crisi del coronavirus, peggio è per Trump. Lui preferiva spostare il dibattito altrove». Venendo alla Corte Suprema, c'è chi dice che, con la nomina del giudice Amy Coney Barrett, Trump possa alienarsi il voto degli elettori di centro. Lei che cosa ne pensa? «La battaglia per la Corte Suprema di fatto riflette le opinioni degli elettori che hanno già preso una posizione. Quelli che sono contro Trump credono che egli non debba cercare di confermare un giudice in così poco tempo, a ridosso delle elezioni. Gli elettori invece già a favore di Trump lo sostengono. In termini di impatto elettorale, penso che - a livello complessivo - nella sfida con Joe Biden la questione della Corte Suprema non avrà grandi conseguenze».Perciò nessun effetto?«Ritengo che nei singoli Stati, nelle elezioni per il Senato, questa nomina così controversa possa svolgere un ruolo maggiore. I candidati democratici negli Stati tendenzialmente repubblicani rischiano di soffrire, perché diventa una questione che mobilita gli elettori tradizionalmente repubblicani e conservatori. Dall'altra parte, gli Stati tendenzialmente democratici diventano molto più difficili per i repubblicani». Al netto delle difficoltà di Trump che prima ricordava, lei ritiene che la candidatura di Joe Biden sia solida come molti sondaggi a livello nazionale sembrano indicare? «Ho sempre considerato la candidatura di Biden molto debole. Lui rappresenta il passato, rappresenta l'establishment democratico. E non è uno che propone idee forti. Se c'è una cosa che serve in questo periodo (già da prima del coronavirus) sono azioni decisive da parte dello Stato».Quindi «Sleepy Joe» ha poche possibilità, secondo lei?«Biden rappresenta l'anti-Trump in tema di personalità e come modo di agire. E la sua forza è sempre stata semplicemente il ritorno alla normalità ed essere una persona molto conosciuta dall'elettorato. Tuttavia, qualora venga eletto, Biden dovrà cambiare marcia, se vorrà essere un presidente efficace. Lo ha capito la sua squadra già da subito, durante la pandemia, comprendendo di non poter più agire come dei moderati, ma - semmai - come Franklin Delano Roosevelt».Cosa intende?«In campagna elettorale le parole sono facili. Andare veramente verso azioni più incisive è difficile. Una candidatura debole di questo tipo funziona solo contando sul fatto che la gente si sia stufata di Trump». Diamo un'occhiata alla sinistra del Partito democratico. Gli elettori di Bernie Sanders come si comporteranno? Si schiereranno compattamente con Biden o si rischia qualche significativa defezione come avvenne nel 2016? «Credo che per i democratici andrà meglio quest'anno, rispetto al 2016. Bernie Sanders si è ritirato un po' prima. Biden ha cercato di coinvolgere Sanders e i suoi rappresentanti nei processi decisionali del programma del partito, quindi - pur non adottando posizioni molto forti - il suo atteggiamento è di apertura verso l'ala più a sinistra dei democratici. In più, da quelle parti vedono Trump piuttosto male, soprattutto a causa delle proteste sulle questioni razziali».Ma la sinistra si mobiliterà?«Certo, non c'è grande entusiasmo a sinistra, come non c'è grande entusiasmo tra i giovani. Questi sono potenziali problemi per l'attuale antagonista del presidente Trump. Ma non credo che sarà sulla stessa scala del 2016, quando Hillary Clinton era una candidata ben più impopolare di quanto sia oggi Biden». Veniamo all'inchiesta del procuratore John Durham, con cui il presidente sta di tentando di condurre una controffensiva sul caso Russiagate. Qualcosa è uscito ma, per ora, ben poco. Non è neppure granché chiaro se ci saranno rivelazioni effettive prima del 3 novembre. Lei crede che questo dossier sarebbe comunque eventualmente in grado di spostare dei voti? «Nel mio libro L'America post-globale ho smontato la tesi del Russiagate con i fatti. Penso tuttavia che ormai la popolazione americana sia divisa e immunizzata sul tema. Nuove rivelazioni, a questo punto, in una direzione o nell'altra sposteranno pochi voti. Un'indagine che addita Obama o Biden (che oggettivamente erano a conoscenza di alcune scorrettezze e forse erano addirittura coinvolti) verrebbe vista solo come un attacco politico disperato. Quindi non credo che, a così pochi giorni dalle elezioni, nuove rivelazioni riuscirebbero a spostare molti voti».Nemmeno quelli degli indecisi?«Ci sono pochi indecisi rimasti, molto meno che nel 2016. Biden nei sondaggi è a quasi al 51%. I sondaggi possono non essere precisi, ma sono comunque indicatori di una situazione meno fluida di quella di quattro anni fa». Al di là della Casa Bianca, i repubblicani riusciranno - secondo lei - a mantenere la maggioranza in Senato e a riconquistare la Camera dei Rappresentanti? «La Camera credo che rimarrà in mano democratica, anzi i numeri potrebbero anche aumentare a favore della maggioranza democratica. Al Senato la battaglia è serrata: a oggi, li darei sostanzialmente pari, ma forse i repubblicani potrebbero arrivare con un voto in più. Queste elezioni tendono ad andare in una direzione. Se ci fosse un'onda blu [il colore del Partito democratico, ndr] e Biden vincesse veramente di 9 o 10 punti, allora i democratici potrebbero prendere la maggioranza. Ma, a oggi, fattori come quello della Corte Suprema fanno propendere per la sostanziale parità. E quindi per gli equilibri tra le Camere diventa importante chi vince la Casa Bianca».
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