2020-03-08
Ce la faremo da soli, grazie ai nostri medici
Nel momento del bisogno l'Europa ci ha chiuso la porta in faccia. Francia e Germania hanno bloccato l'invio di materiale sanitario verso l'Italia: l'Unione è fondata sull'egoismo e sull'ipocrisia. A salvarci ci penseranno gli uomini e le donne che lottano in corsia.Le conseguenze del coronavirus non riguardano solo la salute delle persone. L'epidemia infatti sta dando un colpo mortale alla cosiddetta globalizzazione, ossia alla libera circolazione delle merci e degli individui, perché ogni Stato tende a chiudersi a riccio per proteggersi dall'influenza cinese. Gli esempi ormai sono moltissimi, dalla Thailandia che vieta lo sbarco agli italiani in crociera, al Kuwait che non fa scaricare un impianto energetico arrivato a bordo di un cargo partito da un porto della Penisola. Tuttavia esiste un altro effetto collaterale della malattia, anche questo potenzialmente letale, e riguarda l'Europa. Sì, l'Unione non è mai stata così disunita come di fronte al virus. E non solo perché con l'avanzata del contagio non è riuscita ad adottare una linea comune, ovvero delle norme precauzionali e dei protocolli che valessero per tutti i Paesi, ma perché il coronavirus sta facendo a pezzi l'idea alla base degli Stati Uniti d'Europa: la solidarietà.Già la crisi economica greca aveva dimostrato che il progetto pensato dai padri fondatori di una comunità solidale, che si presentasse unita di fronte al mondo, in realtà esisteva solo sulla carta, ma non nel portafogli. Nel mezzo di uno choc finanziario pesante, le nazioni più grandi e più solide del Vecchio Continente si sono infatti lavate le mani di fronte a ciò che accadeva in quelle più deboli. Il caso più clamoroso riguarda Atene, a cui è stata imposta una cura da cavallo a spese di pensionati e lavoratori nel disinteresse generale di Bruxelles. Alla Ue premeva solo tutelare gli interessi degli investitori, anzi, in qualche caso degli speculatori, e in particolare modo delle banche tedesche, le più esposte nei confronti delle aziende greche.Ora, con l'avanzare dell'epidemia, oltre all'avarizia, la Ue sta mostrando un altro dei suoi vizi capitali, ovvero l'egoismo e siamo proprio noi italiani a toccare con mano che cosa significhi. Giornali e tv hanno dato ieri la notizia del divieto di esportazione di materiale sanitario varato negli ultimi giorni da Francia e Germania. In pratica, due dei Paesi fondatori dell'Unione, guarda caso proprio quelli che ci rammentano ogni volta i principi ispiratori del trattato di Roma, ma soprattutto di Maastricht, hanno deciso di non vendere ad altri partner Ue mascherine, gel disinfettanti, caschi e macchinari che consentano la respirazione artificiale. In breve, Francia e Germania ci hanno hanno chiuso la porta in faccia nel momento di massimo bisogno, negato l'aiuto che il nostro ministero della Salute chiedeva in momento di emergenza. Essendo il Paese più colpito dall'epidemia, l'Italia è rimasta senza scorte di Amuchina, ma ormai scarseggiano anche guanti e filtri, per non parlare poi degli apparati di rianimazione. La cosa più logica era chiedere agli Stati vicini di venderci una parte della produzione. Ma pur avendo, al momento, meno malati di noi, Francia e Germania hanno detto no. Nessun aiuto. Nessuna vendita di macchine per pompare ossigeno nei polmoni degli intubati. Nonostante i nostri reparti di terapia intensiva siano allo stremo e malgrado i medici che lottano ogni giorno contro il contagio non sappiano più come assistere, e dove mettere, i malati, Francia e Germania, i Paesi guida della Ue, quelli che dettano legge sull'euro e sulle banche, oltre che sulla concorrenza e gli aiuti di Stato, non vogliono tendere la mano ad altri.Se c'era un modo per rendere evidente che l'Europa è una somma di interessi fondata sull'egoismo delle nazioni, in particolare di quelle più grandi e forti, beh, diciamo che Parigi e Berlino hanno trovato il migliore. Ora è chiaro a tutti: l'Unione serve a farsi gli affari propri. O meglio, a fare quelli dei più forti.Personalmente non avevo dubbi, visto ciò che era accaduto con i migranti. Ma quanto successo in questi giorni rende ancor meglio l'idea. Non abbiamo una costituzione in comune, non abbiamo pari diritti, non abbiamo tasse e sistema finanziario condivisi e ora siamo separati perfino sulla salute. Per Bruxelles possiamo anche trasformarci nel lazzaretto d'Europa, ma da lì non c'è da aspettarsi alcun aiuto. La Ue chiude le porte, ma soprattutto gli occhi, per non parlare della serrata delle coscienze.Ciò detto, come abbiamo già scritto, dovremo salvarci da soli. L'emergenza che abbiamo davanti è soprattutto sanitaria e su quella dobbiamo concentrarci senza tentennamenti e senza divisioni. Sinistra e destra oggi devono concentrarsi e unirsi per fronteggiare il pericolo numero uno della diffusione del contagio. Il tempo dell'economia verrà dopo, anche se preoccupa tanti, ma come sanno anche i sassi, prima dei soldi viene la salute.Voglio spendere due ultime parole per i medici e gli infermieri in prima fila contro l'epidemia. Sono eroi, a cui tutta l'Italia deve rendere merito. Rischiano ogni giorno la vita, senza orari e con pochi mezzi. A loro si dovrà il successo della battaglia contro il virus. Ce la faremo, ne sono certo. Grazie a loro.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)