
Il regista che più ha fatto ridere l'Italia negli ultimi 40 anni: «La parola Natale nei titoli è da abolire! Quando noi facevamo questi film, in sala c'era una generazione dagli 8 ai 20 anni, che oggi invece non ci va più. Internet ha livellato tutto, compresi Nord e Sud».Facendo ricerche in rete su Neri Parenti, il regista che più ha fatto ridere l'Italia negli ultimi 40 anni e che attende ancora di essere collocato accanto ai grandi artigiani della risata, da Mario Mattoli a Sergio Corbucci, spunta fuori un quadro familiare di grandissimo spessore umano e professionale. Giuseppe, suo padre, è stato uno statistico di fama mondiale, primo presidente del Credito sportivo, carica che lasciò con un attivo di 153 milioni di lire (altri tempi!), presidente dell'Ina Casa, rettore dell'Università di Firenze, contribuì al piano Marshall e fece il censimento in Cina. Mentre il padre viaggiava per il mondo, Neri, nato a Firenze nel 1950, sfuggiva alle aspettative paterne per inseguire il suo sogno cinematografico.Come è entrato nel mondo del cinema?«Volevo fare lo sceneggiatore. Durante il terzo liceo, ci fu un concorso per conseguire un apprendistato giornalistico. Io arrivai terzo. I ragazzi che mi precedettero erano uno toscano e l'altro bolognese, per cui scelsero i posti disponibili nelle rispettive regioni. Rimaneva un posto alla Rai. Io, avendo la fortuna di avere un'abitazione a Roma che mio padre utilizzava per motivi di lavoro, accettai, ma mi collocarono in una stanza a non far niente. Allora protestai e mi mandarono a fare un resoconto giornaliero - che secondo me buttavano non appena lo ricevevano - sulla prima coproduzione televisiva, Addio Fratello crudele di Giuseppe Patroni Griffi, per cui tutte le mattine dovevo andare sul set». Un bel colpo di fortuna…«Oltre a voler scrivere, avevo un'altra caratteristica, ai tempi rara: ero bilingue perché mia madre era inglese. Ai tempi le persone che si occupavano di produzione erano veramente dei buzzurri. Quando arrivai, chiesi: “Dove mi posso mettere?". La risposta del direttore di produzione Giorgio Adriani fu: «Stai venti metri lontano dalla macchina da presa, nun mette' i piedi sui cavi e nun rompe er ca...!"».Era il vademecum dell'apprendista!«Un giorno arrivò Charlotte Rampling e cominciò a strillare come una matta. Il direttore di produzione commentava: “Ma che vole?". “Guardi, sta dicendo che nel camerino ha trovato un topo". “Tu la capisci?". “Certo che la capisco, è inglese". “Tu oggi stai accanto a me". Poi ad Adriani capitò di fare un film importante di Arthur Hill, L'Uomo della Mancha, con Peter O'Toole e Sophia Loren, e mi portò con sé. E così, piano piano...».Quindi ha cominciato a lavorare in produzione.«Durante la preparazione di un film di Pasquale Festa Campanile, Conviene far bene l'Amore, Adriani litigò selvaggiamente con Festa Campanile e se ne andò. Il film rimase orfano di una figura importantissima a pochi giorni dalle riprese. Festa Campanile aveva uno storico aiuto, Marcello Crescenzi, che non vedeva l'ora di passare a fare l'organizzatore, per cui, conoscendo il suo desiderio, gli offrirono il posto di Adriani e si liberò il posto di aiuto regista. Fecero alcuni nomi a Pasqualino, il quale disse: “Mi arriva uno che non sa di cosa si parli… lo fa Neri". E quindi fui promosso aiuto regista. Avevo 25 anni, ero giovanissimo. Feci questo film, evidentemente me la cavai e continuai a lavorare come aiuto regista».Come ha avuto l'occasione di passare da aiuto a regista?«Quando ho fatto con Steno Piedone in Africa, ci fu bisogno di una seconda unità. Siccome erano previsti inseguimenti, fu chiamato uno specialista del genere poliziesco, Stelvio Massi, il quale però si sentì male e non partì più. Steno mi guardò e disse: “La fa Neri la seconda unità". Andò bene e mi fecero tutti i complimenti. Il produttore era Turi Vasile. A quel tempo imperversava La Febbre del sabato sera e Enrico Lucherini, durante il festival di Venezia, vide un cuoco, Giuseppe Spezia, che era il sosia di John Travolta, due gocce d'acqua, per cui a Vasile venne in mente di fare un film con questo finto Travolta».E nacque John Travolto... da un insolito destino.«Avendo fatto bene quella seconda unità, mi chiesero se volessi dirigerlo io. Ero molto combattuto, perché avevo 28-29 anni, ero in grado di farlo, ma era un bel salto, dal quale non sarei più potuto tornare indietro. Come aiuto regista lavoravo tutto l'anno, guadagnavo un sacco di soldi. Alla fine mi convinsi, anche perché mi diedero un bravo sceneggiatore, Massimo Franciosa. Il problema è che Spezia recitare men che meno, ballare men che meno... Lo feci doppiare da Flavio Bucci, che all'epoca doppiava Travolta. Ero amico di Flavio, gli chiesi questa cortesia e lui me la fece, pagandola amaramente perché non glielo hanno più fatto doppiare Travolta!». Il film come andò?«Uscì nelle sale lo stesso giorno del film di Carlo Vanzina Il Figlio delle Stelle. Io conoscevo bene sia lui che Enrico perché avevo fatto l'aiuto al padre. I nostri film uscirono uno al Giulio Cesare, l'altro in un cinema lì vicino che oggi non c'è più. Ai tempi si andava alle tre fuori dai cinema a vedere cosa succedesse. Eravamo quindi seduti insieme su una panchina e non entrava nessuno, né al mio, né al suo. A un certo punto vediamo un gruppo numeroso di giapponesi che entra a vedere il mio film. Dopo un po' ho capito: “Questi pensano che sia veramente un film con John Travolta". Sia il mio film che quello di Carlo fecero un tonfo terribile, ma il mio fu venduto in tutto il mondo proprio perché lo spacciavano per un film del vero John Travolta. Per Goffredo Lombardo, che distribuiva il film, fu un grande colpo». A questo punto nella sua vita entra prepotentemente Paolo Villaggio.«Lombardo mi era grato, per cui quando Villaggio litigò con Salce al terzo Fantozzi e disse: “Lo voglio dirigere io", tutti, conoscendolo, non glielo volevano far dirigere perché era il contrario di quello che deve essere un regista. Non arrivava mai! Gli proposero di avere al fianco per aiutarlo dal punto di vista tecnico un personaggio non ingombrante, com'ero io. Ho un colpo di genio: “Va bene tutto, però io lo faccio solo se posso seguire la sceneggiatura perché voglio arrivare sul set preparato". E quindi fui mandato come aiutante a casa di Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, bravissimi sceneggiatori, i quale mi presero a benvolere, un po' perché eravamo toscani tutti e tre e poi... perché sapevo battere a macchina! Non era tanto una cosa da poco ai tempi perché loro avevano la Olivetti 22 e dopo due-tre ore era come suonare la chitarra!». Villaggio era presente alle riunioni di sceneggiatura?«Villaggio non era presente assolutamente, però pretendeva di essere presente! “Il personaggio è mio, i libri - che erano stati utilizzati per i primi due film - non ci sono più, quindi voglio capire se quello che fate, va bene". È successa una cosa che ho raccontato al funerale. Noi, con Piero e Leo, andavamo sotto casa ad aspettarlo, lui ci vedeva e saltava il muro...».Vi evitava…«Un'altra cosa che faceva sempre era che, quando gli consegnavamo il lavoro, faceva sempre schifo perché aveva questo concetto, caro a molto produttori, “anche se mi piace, te la faccio rifare perché sei pagato"».Sul set come andò?«Il primo giorno di riprese la convocazione venne fissata alle 6.30 di mattina. Paolo: “Come alle 6.30? Noi iniziamo a girare alle 10...". “Lo so, ma il regista arriva un po' prima". “Tutte le mattine?". “Più o meno". “Ah, allora non lo faccio. Fai te". E quindi praticamente lo girai tutto io».La sua carriera com'è cambiata dopo la lunga collaborazione con Villaggio?«Morì Mario Cecchi Gori, al quale mi ero legato dopo Lombardo, e il timone venne preso da Vittorio, ma soprattutto dalla moglie, Rita Rusic, la quale cominciò a fare un'operazione di destabilizzazione di tutti i collaboratori storici, in realtà quelli che la mandavano a quel paese. Benvenuti e De Bernardi, appena diceva qualcosa, la chiamavano “la signorina Lumière"! Cercarono di mandare via i collaboratori e alla fine andò via anche Villaggio, che firmò un contratto con Lucisano, il quale volle dare una stretta di borsa, forse perché i film non andavano bene come una volta, ma una stretta notevole. Benvenuti e De Bernardi dissero: “Noi a queste cifre non veniamo a lavorare". Io li seguii: “Io sto con loro, quello che fanno loro faccio io"». Ed è passato alla Filmauro.«Avevo già avuto due-tre contatti con Luigi e Aurelio De Laurentiis, che però non si erano mai concretizzati. A un certo punto i Vanzina decisero di fare una società loro, la Video 80, e chiesero ad Aurelio di prodursi i film di vacanze con la loro società e a lui di distribuirli solamente. Aurelio non ne voleva sapere, allora trovarono quest'accordo: un anno Carlo e Enrico avrebbero fatto il film di Natale per Aurelio e l'anno successivo, con la loro società, avrebbero fatto quello che volevano. Si liberò un posto, per cui abbiamo ripreso i contatti e abbiamo fatto Vacanze di Natale '95, che ho scritto con Enrico Vanzina». Qual è la differenza tra i suoi film e i loro, se c'è una differenza, o l'impianto produttivo era tale che i film si assomigliassero tutti?«I film dei Vanzina, come Vacanze di Natale, erano comico-sentimentali. Io mi portavo dietro Fantozzi, quindi le cascate, le gag, a volte un po' troppe parolacce. Un critico, non mi ricordo chi, una volta ha scritto questa cosa, che è molto centrata: “La differenza tra Parenti e Vanzina: Vanzina guarda dal buco della porta, Parenti butta giù la porta!". Poi loro hanno smesso di fare il film di Natale e quindi sono rimasto io per tanti anni».Il filone natalizio viene però sempre identificato con il nome dei Vanzina.«La gente fa confusione. Quanti autografi Carlo Vanzina ho firmato nella mia vita? Migliaia! “Signor Vanzina, mi fa un autografo?"».Cosa ha portato di suo nel filone?«Un tempo erano più corali, dal '95 c'è stata questa formula: un episodio Christian De Sica, un episodio Massimo Boldi che si mischiavano e poi al centro una parte che noi chiamavamo “la notte brava", in cui comparivano loro due insieme. Evidentemente questa formula è piaciuta perché vedevi due film e poi vedevi Christian e Massimo insieme».Catturavano anche due pubblici…«Anche questa è una cosa che non esiste più, il nord e il sud: internet ha livellato tutto». Con chi si trovava meglio tra Boldi e De Sica dal punto di vista professionale?«Non voglio fare il diplomatico… con tutti e due. Hanno entrambi uno spirito che mi appartiene. Dalla parte di Boldi mi piace la gag, l'assurdo, De Sica invece ha il dono di riuscire a rendere naturale qualsiasi situazione. Erano così diversi che si completavano». Secondo lei il filone dei cinepanettoni è finito?«Secondo me la parola Natale nei titoli è da abolire! Quando noi facevamo questi film, c'era una generazione dagli otto ai vent'anni che andava al cinema e oggi invece non esiste più».
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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