2020-08-03
Antonio Suetta: «C’è il diritto a non emigrare. Non facciamoci colonizzare»
Il vescovo di Ventimiglia: «Accogliere non basta, bisogna anche ricordare che la nostra missione è evangelizzare. Comporre le differenze tra cattolici e musulmani? È difficile».Gli avevano dato del «vescovo leghista». Ma monsignor Antonio Suetta, che guida la diocesi di Ventimiglia-San Remo dal 2014 e ha vissuto gli anni difficili delle migrazioni di massa, è solo fiero di essere cattolico. Come recita il sottotitolo del suo libro-intervista, Controcanto (San Paolo edizioni), da poco sugli scaffali.Eccellenza, venerdì ha chiuso il campo migranti Roja. Com'è la situazione a Ventimiglia?«Sempre difficile, specie in estate. E quest'anno ci si è messa pure l'emergenza sanitaria».Teme focolai?«Persone non adeguatamente controllate potrebbero anche fungere da veicoli di contagio».Altrove è successo.«E qui stiamo anche lottando per riprenderci dal punto di vista turistico. Ma Ventimiglia è affaticata».Affaticata?«Sia a causa di persone che non son certo inserite in maniera stabile, regolare e tranquilla in città. Sia per la ricaduta d'immagine».È vero che, nonostante i richiami della Corte europea sui diritti dell'uomo, continuano i respingimenti da parte dei francesi?«È vero».E l'Europa dov'è?«Bella domanda. L'atteggiamento della Francia è insostenibile e ingiusto».Giudizio severo.«La Francia è una nazione portante dell'Unione europea. Ma allora siamo di fronte a una contraddizione».Di che tipo?«Da una parte si favoriscono certe politiche migratorie; dall'altra, per egoismo, si agisce nel modo opposto. L'Ue dovrebbe richiamare la Francia. Anche perché, spesso, chi tenta di passare il confine ci riesce. Perciò a Ventimiglia continua ad arrivare gente».Nel 2018, in una missiva, lei sottolineò che se è legittimo cercare fortuna all'estero, altrettanto lo è non essere strappati dalla propria terra.«Certamente».Esiste il diritto a non emigrare?«Sì. E il diritto a non emigrare precede quello a emigrare».Perché?«Perché a volte si emigra per migliorare la propria condizione economica: un desiderio legittimo, che però presuppone adattamento alle norme dei Paesi di arrivo. Questo tipo di immigrazione ha un carattere d'urgenza di certo meno cogente rispetto a quella di chi fugge da guerre o povertà estrema».Lo dice anche il catechismo.«Esatto».Quindi?«A livello di cooperazione internazionale, va anzitutto promosso il diritto delle persone a realizzare i loro desideri nella propria terra d'origine. Per il loro bene, perché staccarsene è doloroso; e per dovere di responsabile solidarietà verso la loro patria. Ecco perché, in questo fenomeno, io vedo un disegno di nuova colonizzazione».Che intende?«La colonizzazione oggi è economica, finanziaria e culturale».Si spieghi.«Se si presentano miraggi di benessere, si inducono a partire le persone più giovani, più in salute, più istruite e più benestanti, in grado di pagarsi il viaggio».E ciò cosa comporta?«Molte conferenze episcopali africane si sono chieste: perché depauperare i nostri territori delle migliori energie?».Non le pare che il modo in cui la Chiesa accoglie i migranti trascuri l'aspetto dell'evangelizzazione?«Purtroppo succede spesso. Se per noi la fede è il tesoro più prezioso, la carità, che ci spinge all'accoglienza, deve farci sentire il desiderio di rendere chi bussa alla nostra porta partecipe del dono della fede».Deve preoccuparci l'immigrazione islamica?«L'incontro tra culture e civiltà così diverse inevitabilmente determina situazioni che possono degenerare in conflitti. Difficilmente le differenze tra cattolici e musulmani sono componibili».Crede?«Pensi alla sharia: la concezione della famiglia, della donna, dell'educazione dei figli. Pensi anche alle questioni sociali: l'islam impronta la comunità ai principi coranici, perciò l'amministrazione della giustizia è radicalmente diversa dalla nostra. Va bene lavorare alla convivenza pacifica...».Però?«Una presenza massiccia sul nostro territorio di fedeli islamici, che tendono a organizzarsi secondo le loro usanze, può anche creare anche situazioni conflittuali».Nel suo libro, scrive della «fierezza di essere cattolici». I cattolici hanno il complesso d'inferiorità? «Oggi è diffusa una forma d'indifferentismo religioso, lontana dalla vera concezione cristiana».Che consiste in cosa?«Nella convinzione che Cristo si sia incarnato per rivelare, sì, l'amore di Dio, ma anche la verità».Cosa se ne deve dedurre?«Che il dialogo interreligioso va bene, se aiuta la pacificazione. E si può valorizzare il cammino spirituale di chi professa una fede diversa. Ma non si può appiattire tutto. Anche perché l'appiattimento è la morte del dialogo».In che senso?«Dialoga bene solo chi è accomunato da una passione: quella per la ricerca della verità. E per i cristiani, la verità ha un nome e un volto».Oggi approda alla Camera la legge Zan, nata per punire l'omotransfobia. Teme che sia un grimaldello per opprimere i cattolici?«Ne sono sicuro».Ecco.«Non mi pare che nel sistema giuridico italiano manchino strumenti efficaci per combattere odio e discriminazioni. Chiaramente, questa proposta di legge soggiace all'ideologia gender e all'ideologia omosessualista, oggi dominante».Un'ideologia che mira a quale obiettivo?«Ha un disegno perverso, ma abbastanza chiaro: annientare la famiglia, uno dei presidi più forti della civiltà cristiana, ma più generalmente dell'umanità autentica».L'ideologia gender e omosessualista vuole abbattere il nemico?«Vuole rimuovere le barriere che ne ostacolano l'affermazione. Se la famiglia, che è fondata su vincoli di sangue, gode di buona salute, è difficile proporre certe “novità". Viceversa, se l'uomo viene sradicato, rimane in balia di queste forze».Allora perché è sembrato che alcuni giornali cattolici, a cominciare da Avvenire, il quotidiano dei vescovi, difendessero quella legge?«Avvenire ha tentato di girare certi interrogativi ai promotori della legge, affinché ne chiarissero gli aspetti controversi».Si riferisce all'intervista ad Alessandro Zan?«Sì».Ma in un'intervista, l'intervistato è sempre avvantaggiato…«Lo so. E Zan è stato furbo nel rassicurare sul fatto che il dl non priverebbe i cristiani della libertà d'espressione».Con la sentenza della Consulta sull'aiuto al suicidio e con i tribunali che assolvono chi accompagnava i malati a morire in Svizzera, abbiamo trovato la via italiana all'eutanasia?«S'è accentuata la tendenza per cui i giudici, dotati di margini di discrezionalità eccessivamente ampi, creano una giurisprudenza che il legislatore deve rincorrere, mettendo il sigillo su quella che intanto è diventata una prassi. È una deriva pericolosa».Spesso si lamentano i «vuoti legislativi». Ma non è meglio nessuna legge che una cattiva legge? L'assenza di una norma rispecchia la mancanza di un consenso sociale.«In realtà, io non condivido l'idea che tali questioni vadano decise sulla base di un “consenso sociale". Anche perché, prima che se ne occupino i giudici, il legislatore o l'opinione pubblica, di solito sono già intervenuti i media».Per fare cosa?«I media manipolano il giudizio delle persone, insistendo sugli aspetti emotivi e compassionevoli. Che vanno certamente considerati, ma non possono sostituire una valutazione razionale dei principi».Cosa suggerirebbe?«Che il legislatore metta a fuoco il principio della dignità inviolabile della vita. Oggi invece la dignità della vita è legata alla sua qualità».La «vita indegna di essere vissuta».«Proprio così. E qui agisce un forte condizionamento sociale».Che intende?«Se la società non sa accogliere determinate fragilità, quelle fragilità, alla fine, diventano insostenibili».Il mondo della politica non condivide questa prospettiva.«Ci sarebbe bisogno di un pensiero forte attorno al quale strutturare tutta la vita dello Stato. Ma oggi questa visione è avversata».Nel libro lei affronta anche le critiche a papa Francesco. Questo Pontificato ha provocato smarrimento tra i fedeli?«Lo smarrimento c'è, ma non è una novità nella storia della Chiesa».No?«La Chiesa è sempre esposta alle aggressioni del Divisore. Perciò è soggetta al rischio di frammentazione in fazioni, che minacciano il dono conferito da Dio: l'unità».Lo smarrimento dipende soltanto da questo?«A volte deriva pure dalla fatica che si subisce per via dell'impatto con difficili situazioni esterne».Quali situazioni?«Alludo alla sfida culturale di cui abbiamo parlato prima. In tal caso, si può essere tentati di esasperare certe posizioni».Il ritorno in auge del tradizionalismo lo vede come una reazione a questa sfida culturale?«In parte. Per me il problema è l'esagerazione, da una parte e dall'altra. La Chiesa deve rimanere ben compaginata, nella condivisione della fede, dei sacramenti e dei pastori. Per il resto…».Per il resto?«Ciò che causa frammentazioni va affrontato con la pazienza: lavoro comune, ascolto reciproco, evitare i giudizi frettolosi, favorendo un autentico discernimento di fronte alle divergenze. Questa è la fatica che la Chiesa è chiamata a fare, mentre cammina nel mondo».
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Ll’Assemblea nazionale francese (Ansa)