2023-07-16
Cavilli, vincoli ed extracosti: il Pnrr è un peso
Il ministro degli Affari europei, il Sud le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto (Ansa)
I funzionari di Bruxelles si sono impuntati sui dettagli burocratici della terza rata per cui riceveremo prima i fondi della quarta. Il Paese si è indebitato per farsi dire come e dove spendere dall’Ue e ora il conto si aggrava di 20 miliardi con l’aumento dei tassi.Il Piano nazionale di ripresa e resilienza si sta confermando, ogni giorno di più, quello che è sempre stato ma che pochi hanno avuto il coraggio di dire da subito: una fregatura. A Napoli, con caratteristica sfrontatezza, lo avrebbero almeno chiamato pacco. Bruxelles, più incline a parlare di pacchetti e più acconcia a neutri acronimi senza vocali, l’ha chiamato Pnrr.Ora pare che il pagamento della quarta rata del piano (da 16 miliardi di euro, scaduta al 30 giugno) sia più vicina, e abbia più possibilità di venire erogata, della terza (da 19 miliardi, scaduta il 30 aprile). Perché questo paradosso da Ritorno al futuro? Perché i funzionari che controllano la realizzazione dei progetti si sono impuntati su alcune questioni di lana caprina che riguardano la terza tranche. Poiché ogni erogazione dei prestiti è vincolata al via libera dei burocrati, ecco che la quarta rata, meno frenata da promesse difficili da mantenere, potrebbe arrivare sul conto corrente del Tesoro prima della terza. Del resto, inondare di fiumi di denaro una burocrazia ingessata, vecchia e sottopagata, abituata a tagliare qualunque spesa, mettendola alla frusta per realizzare in quattro e quattr’otto asili, convegni sulla stregoneria, token di buoni pasto, vespasiani digitali e rover spaziali non è stata esattamente una buona idea. Di fatto, il Paese è commissariato e la burocrazia nazionale è tutta protesa («ventre a terra», dicono, il che rende l’idea dello strisciare più che del correre) a realizzare il libro dei sogni di Bruxelles. È la plastica realizzazione del vincolo esterno. È ciò che Guido Carli, governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975 e ministro del Tesoro dal 1989 al 1992, nel suo libro Cinquant’anni di vita italiana (1993) definisce come la salvezza per l’Italia. Secondo Carli, poiché la classe politica italiana, e la società italiana in senso più ampio, sono incapaci di limitarsi e non hanno il minimo istinto liberale, era necessario che istituzioni sovranazionali obbligassero l’Italia a rispettare determinate regole. Il trattato di Maastricht, con i suoi parametri rigidi di finanza pubblica, tracciava una rotta obbligata che impediva ai partiti politici, secondo Carli, di utilizzare la spesa pubblica come esca elettorale. Questa visione razzista, elitaria, paternalista e antidemocratica, un vero cancro ideologico, è la stessa sposata a corpo morto dalla sinistra negli ultimi trent’anni e impersonata da esponenti come Romano Prodi, Mario Monti e Mario Draghi. Rendendo la spesa pubblica una questione «tecnica» la si è sottratta alla responsabilità politica, cancellando con un tratto di penna un elemento fondante della democrazia, giacché la politica si fa (anche) impegnando lo Stato in certe spese piuttosto che in altre.Il Pnrr è dunque raffinatissima evoluzione del vincolo esterno: l’Europa ci dice come dobbiamo spendere i nostri soldi.Comunque, il governo attuale, con l’affaticato ministro Raffaele Fitto, ha proposto variazioni ad alcuni obiettivi Pnrr fissati dal governo precedente e relativi alla quarta tranche. Infatti, la decisione del governo Conte II di sottoscrivere anche i prestiti del mitico Recovery Fund, e non solo le erogazioni a fondo perduto (in realtà comunque pagate da noi), ha costretto a buttare avanti, a suo tempo, una serie di obiettivi e progetti del tutto inconsistenti con le basi stesse dell’intero baraccone. Dopo la divertente prima versione contiana del Recovery Plan, come si chiamava allora, di cui probabilmente un originale è conservato nel Museo dell’Umorismo di Buenos Aires, oggi appare chiaro che il successore di Conte, l’Eccellentissimo Mario Draghi, abbia lavorato sulla revisione di quel capolavoro più con un machete arrugginito che con un cesello. Ma in un Paese in cui una giornalista di importante testata, in conferenza stampa al cospetto dell’Eccellentissimo, riesce ad affermare senza vergogna: «Se non ci fosse lei come Presidente del Consiglio saremmo proprio terrorizzati» (18 aprile 2021), questa sembra una cosa poco elegante da dire.Quanto costa tutto ciò? Per finanziare i singoli Pnrr la Commissione Ue deve andare sui mercati ed emettere debito. Come ha spiegato il nostro Giuseppe Liturri, la Commissione nell’ultima emissione ha pagato al mercato 87 punti base in più dei titoli tedeschi, che è circa 5 volte la spesa che la Commissione stessa prevedeva di sostenere, a carico del bilancio Ue. Poi, come dice il documento elaborato dai tecnici del parlamento sull’avanzamento del Pnrr, il conto complessivo raggiungerà per l’Italia i 140 miliardi di debito aggiuntivo. Si tratta di 20 miliardi in più di quanto stimato inizialmente. Numeri pesanti.Così, ora è il governo delle destre, declinate al plurale per allarmare anche il più mite degli elettori di sinistra, a subire l’onere della revisione di migliaia di righe di un romanzo caotico e sconclusionato. Proprio in questi giorni la Commissione ha accettato i cambiamenti dei Pnrr di Francia, Slovacchia, Irlanda e a Malta. Persino i quotidiani più anti-governativi sono stati costretti a riconoscere a denti stretti che cambiare il Pnrr si può. Non solo non si tratta di reato di lesa Von der Leyen, ma neppure quello italiano è l’unico governo a cambiare in corsa. Si smonta così lo spin tanto caro alla sinistra del governo incapace che fa brutte figure all’estero (almeno su questo). Resta però la sgradevole evidenza di come e in che misura la Commissione possa usare i pagamenti condizionati come leva nei confronti dei governi di orientamento politico ad essa sgradito.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
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