2024-03-21
La Cassazione dà ragione al governo: «Cospito deve restare al 41 bis»
Respinta l’istanza contro il carcere duro presentata dai legali dell’anarchico, in cella per aver gambizzato l’ad di Ansaldo nucleare. Il sottosegretario Andrea Delmastro: «È la conferma che la nostra linea era fondata». Alfredo Cospito dovrà restare detenuto in regime di 41 bis. La Cassazione ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata dal legale dell’anarco-insurrezionalista contro la decisione e del tribunale di Sorveglianza di Roma che il 23 ottobre scorso aveva confermato il carcere duro per l’uomo, attualmente detenuto nel penitenziario di massima sicurezza di Bancali, in provincia di Sassari. Nel corso dell’udienza di martedì il procuratore generale della Cassazione si era espresso con un parere negativo al ricorso presentato dal difensore di Cospito, Flavio Rossi Albertini, che ieri ha reso nota la decisione della Suprema Corte. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha commentato così il provvedimento della Cassazione: «Abbiamo sempre difeso le istituzioni democratiche dalle violenze del terrorismo, senza alcuna indulgenza e senza farci intimorire. Con la decisione di oggi la Cassazione conferma che vi erano e vi sono attualmente tutti i presupposti giuridici per il mantenimento del carcere duro a carico di Cospito. Una decisione che conferma indirettamente la fondatezza e la legittimità delle posizioni del governo: nessun cedimento, nessun arretramento, nessun tentennamento nel contrasto frontale al terrorismo anarchico, soprattutto se si connota per la sua attuale carica rivoluzionaria violenta e eversiva». Per il responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli «Pd e benpensanti di sinistra hanno fatto credere a lungo all’opinione pubblica che Cospito fosse vittima di un sopruso. La Cassazione ha detto che avevamo ragione noi a difendere l’utilizzo dello strumento del carcere duro per arginare il pericolo rappresentato da anarchici, terroristi e mafiosi». Secondo Rossi Albertini, invece, alla luce della conferma del regime speciale per il suo assistito, e in base alle dichiarazioni degli esponenti della maggioranza di governo, «sorge il fondato sospetto che la vicenda Cospito sia stata profondamente influenzata dalla politica». Nell’autunno del 2022, per protestare contro il regime speciale di detenzione a cui era sottoposto, l’anarchico si era reso protagonista di un lungo sciopero della fame, che aveva suscitato la solidarietà non solo del mondo anarchico, ma anche della galassia dei centri sociali, che avevano organizzato numerose manifestazioni di solidarietà, spesso culminate con scontri tra i partecipanti e le forze dell’ordine. Le maggiori tensioni si erano registrate durante quella svolta il 4 febbraio 2023 a Roma, quando circa 800 manifestanti (secondo i conti della Questura), avevano dato il via al loro corteo non autorizzato in piazza Vittorio con l’intenzione, almeno quella annunciata, di raggiungere la zona di Roma Est per poi andare verso il Pigneto. Ad aprire la manifestazione c’era Pasquale «Lello» Valitutti, l’uomo che sostiene di essere stato l’ultimo a vedere l’anarchico Giuseppe Pinelli prima del tragico volo dal quarto piano della Questura di Milano il 15 dicembre 1969, con la sua sedia a rotelle. All’altezza di Porta Maggiore il serpentone di anarchici e centri sociali era già un fiume umano. Una decina di partecipanti, vestiti di nero e con il volto coperto, avevano cominciato a lanciare bottiglie e fumogeni contro il cordone delle forze dell’ordine e i blindati messi a protezione di una concessionaria della Fiat. Tra fumogeni rossi e cori contro le istituzioni la folla era andata avanti, mentre i negozi abbassavano le saracinesche per evitare danni. Dopo l’esplosione di una bomba carta sotto al ponte della tangenziale erano iniziate le tensioni più forti con le forze dell’ordine. Davanti alla sede di Atac: i manifestanti avevano danneggiato una macchina della vigilanza privata, incendiato una cabina elettrica e mandato in frantumi i vetri di una fermata dell’autobus. Numerosi i petardi esplosi e i lanci di bottiglie, indirizzate sia alla polizia che ai giornalisti. A quel punto le forze dell’ordine avevano stoppato le azioni violente con delle cariche di alleggerimento. Cospito, 56 anni, è già stato condannato in via definitiva a 9 anni e 5 mesi per la gambizzazione di Roberto Adinolfi, dirigente di Ansaldo nucleare, avvenuta a Genova nel 2012. Durante il processo l’anarco-insurrezionalista aveva rivendicato l’attentato: «In un’Europa costellata di centrali nucleari, uno dei maggiori responsabili del disastro nucleare che verrà è caduto ai miei piedi». Attualmente l’anarchico è sotto processo per l’attentato esplosivo del 2006 alla scuola allievi carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. Secondo l’accusa, Cospito e la sua presunta complice Anna Beniamino piazzarono nei cassonetti della spazzatura all’esterno della struttura due diversi ordigni. Il primo, a basso potenziale, doveva servire da richiamo per i militari, mentre il secondo, temporizzato e ad alto potenziale, secondo gli inquirenti, sarebbe stato piazzato per uccidere i carabinieri attirati fuori dalla caserma dalla prima esplosione, avvenuta in piena notte. Il 26 giugno 2023 Cospito è stato condannato in appello a 23 anni di reclusione, 3 in più di quelli della sentenza di primo grado. L’anarco-insurrezionalista si trova ristretto in regime di 41 bis da maggio del 2022, dopo che, dai controlli svolti dalla polizia penitenziaria sulla sua corrispondenza erano emersi i «numerosi messaggi che, durante lo stato di detenzione, ha inviato a destinatari all’esterno del sistema carcerario […] documenti destinati ai propri compagni anarchici, invitati esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci».
Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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