True
2022-08-25
Caso Ruberti, acquisizioni all’Asl Frosinone
Albino Ruberti con Nicola Zingaretti (Imagoeconomica)
Lunedì mattina gli uomini della Procura di Frosinone si sono recati negli uffici della Asl del capoluogo ciociaro e hanno acquisito la documentazione sugli affidamenti e le proroghe relativi ai contratti sottoscritti dalla Asl di Frosinone con Vladimiro De Angelis, agente Unipol locale, fratello dell’ex europarlamentare del Pd Francesco (attualmente a capo del Consorzio industriale del Lazio). A rivelarlo alla Verità è stato il nuovo direttore generale della Asl, Angelo Aliquò, che stamattina trasmetterà ufficialmente all’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato la relazione sulle polizze. Aliquò, figlio di Vittorio, l’ex procuratore aggiunto della Procura di Palermo scomparso nel 2021, ci spiega che gli investigatori «sono venuti e hanno acquisito carte» relative a «gare, aggiudicazioni e proroghe». Secondo quanto emerso ieri, con De Angelis la Asl del capoluogo ciociaro avrebbe sottoscritto polizze per più di 1,6 milioni di euro, tra il 2014 e il 2019. Di cui più della metà sarebbero stati assegnati senza gara, grazie ai rinnovi deliberati dall’allora commissario straordinario Luigi Macchitella.
Ieri Aliquò ha anticipato in parte all’agenzia Adnkronos i risultati che verranno trasmessi alla Regione Lazio: «Dalle verifiche che ho fatto, su richiesta dell’assessore regionale, è risultato che la Asl per alcuni anni, a seguito di una gara con cui erano state affidate quasi tutte le polizze a Unipol nel 2014, aveva prorogato e prorogato negli anni. Questo fino a quando, nel 2021, la dottoressa D’Alessandro, mio predecessore, aveva invece celebrato una gara divisa in 5 lotti più uno, quello più grosso fatto poi a parte». Il riferimento è alla ex dg della Asl di Frosinone, Pierpaola D’Alessandro, da pochi mesi comandata come dirigente in Campidoglio, dove, fino a venerdì scorso, Albino Ruberti ricopriva il ruolo di capo di gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri. La proroga del 2019 è attestata da una mail del 6 febbraio di quell’anno. Nel messaggio la compagnia Unipolsai ha trasmesso gli importi dei premi assicurativi relativi a sei mesi per un pacchetto di polizze comprendente incendio (87.497 euro), infortuni comulativa (56.578 euro), Rca (35.726 euro) e altre coperture per premi complessivi pari a 185.430 euro per ogni semestre. Circa 370.000 euro per l’intero anno, in virtù di una gara che prevedeva due anni di contratto ma rinnovata fino al 2019 per un totale di premi incassati pari a 1.631.802 euro. Con La Verità Aliquò getta acqua sul fuoco: «Le proroghe sono state fatte con delle motivazioni, perché fare una gara di queste non è proprio semplicissimo, quindi sono tutte motivate. Poi è chiaro che se io propongo a una compagnia di assicurazioni di fare la proroga, quelli mi dicono di si, è ovvio». Il dg ricorda anche che tra le polizze «la fetta più grossa è quella della responsabilità medica, che è stata aggiudicata a un’altra ditta». Nel bilancio del 2019 dalla Asl Frosinone si possono leggere tre voci relative alle polizze assicurative: una da 3,78 milioni relativa proprio alla «r.c. (responsabilità civile, ndr) professionale» e l’altra , da 466.000 euro per «altri premi assicurativi». Il totale della voce «premi di assicurazione» ammonta a 4,253 milioni di euro. Forse per questo nel colloquio con questo giornale Aliquò ha minimizzato: «Per quello che mi riguarda, rispetto a quello che era stato scritto, mi sembra un po’ differente», ricordando anche che la gara del 2021 ha modificato lo scenario delle polizze.
L’acquisizione da parte della Procura di Frosinone è parte dell’indagine aperta nel fine settimana dopo la pubblicazione del video sulla lite avvenuta la sera del primo giugno di quest’anno tra Ruberti, Vladimiro De Angelis, il fratello Francesco e Adriano Lampazzi, sindaco di Giuliano di Roma. Per ricostruire cosa è stato detto durante la cena avvenuta presso il ristorante la Taverna a margine di un evento elettorale, sono già stati ascoltati i primi partecipanti alla tavolata, di cui facevano parte anche un paio di sindaci e il segretario cittadino del Pd. Il pm Adolfo Coletta ha delegato alle indagini il capo della squadra mobile di Frosinone e il vicequestore Flavio Genovesi, che puntano ad ascoltare anche avventori del locale che si trovavano casualmente a tavoli vicini. Per adesso infatti, le persone sentite hanno confermato la versione ufficiale secondo la quale la discussione che ha portato Ruberti a esplodere in una strada adiacente al ristorante con la frase «Me te compro!? A me? Si deve inginocchiare e chiedermi scusa, altrimenti dico a tutti quello che mi ha detto. Li ammazzo! Lo ammazzo! Deve venire qui a chiedere in ginocchio scusa, altrimenti io stasera scrivo quello che mi avete chiesto a tavola. Cinque minuti je do. Cinque! Vi sparo! T’ammazzo. Cinque minuti, qui in ginocchio, tutti e due», sarebbe scaturita da un diverbio tra opposte tifoserie di calcio, divise tra Roma, Lazio e Juventus, ma accomunate dalla fede politica. Ma un’altra frase urlata da Ruberti, «Io stasera scrivo quello che mi avete chiesto a tavola», sta portando la Procura a indagare a tappeto, polizze comprese, settore nel quale, come detto, ha messo ordine l’ex dg della Asl approdata come comandata in Campidoglio poco dopo il trasloco Ruberti dalla Regione Lazio, dove era capo di gabinetto di Nicola Zingaretti. Vaste programme quello dei pm, anche perché, visto l’elevato numero di presenti alla cena, circa una ventina, non è detto che un’eventuale conversazione su temi scottanti sia avvenuta in modo esplicito.
L’ex braccio destro di Gualtieri nelle carte di Mafia capitale
Il nome di Albino Ruberti, l’ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio e poi di Roberto Gualtieri in Campidoglio dimessosi dal ruolo venerdì scorso dopo la pubblicazione di un video che lo ritraeva mentre minacciava il fratello di un esponente del Pd di Frosinone, compare anche negli atti della cosiddetta Mafia capitale. In un’intercettazione ambientale inedita fatta negli uffici della fondazione di Luca Odevaine, dal 2001 al 2008 vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e poi approdato alla Provincia di Roma a seguito di Nicola Zingaretti come comandante della polizia provinciale, racconta al suo interlocutore come, nonostante il passaggio alla Provincia, sia riuscito, grazie alla disponibilità di Ruberti, all’epoca ad di Zètema, a portare con sé Sandra Cardillo una dipendente di Zètema, distaccata per lavorare in Campidoglio nei suoi uffici. La conversazione, che non ha avuto alcuna conseguenza giudiziaria, è del 29 aprile 2014, e Odevaine, parlando con il suo interlocutore di risorse umane racconta, parlando della donna: «Zitto che io c’ho Sandra che praticamente se ne... l’ho dovuta cedere», spiegando poi che «lei è un impiccio in realtà, lei sta con me da anni, lei è dipendente Zètema (società partecipata al 100% da Roma capitale, è l’azienda strumentale capitolina che opera nel settore cultura, ndr) quindi in Comune c’aveva un comando, il gabinetto del sindaco e va tutto bene perché Zètema è una società del Comune, già in Provincia...». Odevaine interrompe il racconto per rispondere alla figlia, poi prosegue: «Dopodiché in Provincia, già non sò riuscito a fargli il comando per cui in Provincia è stata praticamente clandestina perché Zètema continuava a pagà Zètema per cui era... però ...inc... l’amministratore delegato, Ruberti no? disse “vabbé finché insomma... non ci rompono i coglioni, tiriamo avanti”». Nel dicembre 2012, quando Renata Polverini lascia dopo lo scandalo dei fondi del Consiglio regionale, Zingaretti si candida alla guida della Regione Lazio e si dimette da presidente della Provincia di Roma. Odevaine rimane di nuovo disoccupato e si dedica alla fondazione Integrazione, da lui presieduta dal 2010, che si occupa di migranti.
Dalle intercettazioni emerge che evidentemente Odevaine chiede e ottiene ancora da Albino Ruberti che la Cardillo ancorché alle dipendenze di Zètema vada a lavorare da lui anche nella sua fondazione privata. Nella trascrizione dell’aprile 2014 infatti Odevaine prosegue così il racconto sulla sua segretaria: «Adesso è stata proprio qua, qui è qui... qui è proprio una truffa perché almeno... quella... qui è proprio...inc... e quella lavora qua, non se pò, per cui in realtà bisogna, allora adesso in questo clima oltretutto di revisione al Comune sulle società comunali e forse le chiudono addiri... cioè oppure le accorpano, altre... Zètema non si sa che fine fa, sai chiaramente dobbiamo...». Ma la soluzione sembra già pronta: «per il momento l’abbiamo... parcheggiata a... in comune da Silvio Di Francia (delegato all’immigrazione del sindaco Ignazio Marino, ndr) che è un amico per cui, sostanzialmente gli darà modo anche di venire un po’ qua no? Più piano piano, il fatto è che io veramente giuro ci stanno delle cose che io non so, tante cose che io non so, le sa solo Sandra». Ma a luglio, quando Odevaine parla di Di Francia con Francesco Ferrante, ex senatore del Pd, sembra che l’escamotage non abbia funzionato: «Eh però Silvio non fa mai un cazzo, io purtroppo ho dovuto restituire Sandra (Cardillo, ndr), io so senza Sandra da du mesi e mezzo», confermando che la donna aveva proseguito a lavorare per lui anche quando l’ex comandante della polizia provinciale non ricopriva più incarichi pubblici, percependo comunque lo stipendio da Zètema, di cui Ruberti è stato ad dal 1998 al 2017, aggiungendo dal 2014 anche la carica di presidente fino a fine mandato.
Continua a leggere
Riduci
La proroga delle polizze senza gara dal 2014 al 2019, per un valore di 1,6 milioni, è parte dell’inchiesta sulla lite fra l’ex capo di gabinetto del Campidoglio, Vladimiro De Angelis (l’agente con cui sono stati fatti i contratti) e il fratello Francesco.Ruberti citato da Odevaine in un’intercettazione inedita, rimasta senza conseguenze giudiziarie, sul distacco di una dipendente Zètema.Lo speciale contiene due articoli.Lunedì mattina gli uomini della Procura di Frosinone si sono recati negli uffici della Asl del capoluogo ciociaro e hanno acquisito la documentazione sugli affidamenti e le proroghe relativi ai contratti sottoscritti dalla Asl di Frosinone con Vladimiro De Angelis, agente Unipol locale, fratello dell’ex europarlamentare del Pd Francesco (attualmente a capo del Consorzio industriale del Lazio). A rivelarlo alla Verità è stato il nuovo direttore generale della Asl, Angelo Aliquò, che stamattina trasmetterà ufficialmente all’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato la relazione sulle polizze. Aliquò, figlio di Vittorio, l’ex procuratore aggiunto della Procura di Palermo scomparso nel 2021, ci spiega che gli investigatori «sono venuti e hanno acquisito carte» relative a «gare, aggiudicazioni e proroghe». Secondo quanto emerso ieri, con De Angelis la Asl del capoluogo ciociaro avrebbe sottoscritto polizze per più di 1,6 milioni di euro, tra il 2014 e il 2019. Di cui più della metà sarebbero stati assegnati senza gara, grazie ai rinnovi deliberati dall’allora commissario straordinario Luigi Macchitella. Ieri Aliquò ha anticipato in parte all’agenzia Adnkronos i risultati che verranno trasmessi alla Regione Lazio: «Dalle verifiche che ho fatto, su richiesta dell’assessore regionale, è risultato che la Asl per alcuni anni, a seguito di una gara con cui erano state affidate quasi tutte le polizze a Unipol nel 2014, aveva prorogato e prorogato negli anni. Questo fino a quando, nel 2021, la dottoressa D’Alessandro, mio predecessore, aveva invece celebrato una gara divisa in 5 lotti più uno, quello più grosso fatto poi a parte». Il riferimento è alla ex dg della Asl di Frosinone, Pierpaola D’Alessandro, da pochi mesi comandata come dirigente in Campidoglio, dove, fino a venerdì scorso, Albino Ruberti ricopriva il ruolo di capo di gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri. La proroga del 2019 è attestata da una mail del 6 febbraio di quell’anno. Nel messaggio la compagnia Unipolsai ha trasmesso gli importi dei premi assicurativi relativi a sei mesi per un pacchetto di polizze comprendente incendio (87.497 euro), infortuni comulativa (56.578 euro), Rca (35.726 euro) e altre coperture per premi complessivi pari a 185.430 euro per ogni semestre. Circa 370.000 euro per l’intero anno, in virtù di una gara che prevedeva due anni di contratto ma rinnovata fino al 2019 per un totale di premi incassati pari a 1.631.802 euro. Con La Verità Aliquò getta acqua sul fuoco: «Le proroghe sono state fatte con delle motivazioni, perché fare una gara di queste non è proprio semplicissimo, quindi sono tutte motivate. Poi è chiaro che se io propongo a una compagnia di assicurazioni di fare la proroga, quelli mi dicono di si, è ovvio». Il dg ricorda anche che tra le polizze «la fetta più grossa è quella della responsabilità medica, che è stata aggiudicata a un’altra ditta». Nel bilancio del 2019 dalla Asl Frosinone si possono leggere tre voci relative alle polizze assicurative: una da 3,78 milioni relativa proprio alla «r.c. (responsabilità civile, ndr) professionale» e l’altra , da 466.000 euro per «altri premi assicurativi». Il totale della voce «premi di assicurazione» ammonta a 4,253 milioni di euro. Forse per questo nel colloquio con questo giornale Aliquò ha minimizzato: «Per quello che mi riguarda, rispetto a quello che era stato scritto, mi sembra un po’ differente», ricordando anche che la gara del 2021 ha modificato lo scenario delle polizze.L’acquisizione da parte della Procura di Frosinone è parte dell’indagine aperta nel fine settimana dopo la pubblicazione del video sulla lite avvenuta la sera del primo giugno di quest’anno tra Ruberti, Vladimiro De Angelis, il fratello Francesco e Adriano Lampazzi, sindaco di Giuliano di Roma. Per ricostruire cosa è stato detto durante la cena avvenuta presso il ristorante la Taverna a margine di un evento elettorale, sono già stati ascoltati i primi partecipanti alla tavolata, di cui facevano parte anche un paio di sindaci e il segretario cittadino del Pd. Il pm Adolfo Coletta ha delegato alle indagini il capo della squadra mobile di Frosinone e il vicequestore Flavio Genovesi, che puntano ad ascoltare anche avventori del locale che si trovavano casualmente a tavoli vicini. Per adesso infatti, le persone sentite hanno confermato la versione ufficiale secondo la quale la discussione che ha portato Ruberti a esplodere in una strada adiacente al ristorante con la frase «Me te compro!? A me? Si deve inginocchiare e chiedermi scusa, altrimenti dico a tutti quello che mi ha detto. Li ammazzo! Lo ammazzo! Deve venire qui a chiedere in ginocchio scusa, altrimenti io stasera scrivo quello che mi avete chiesto a tavola. Cinque minuti je do. Cinque! Vi sparo! T’ammazzo. Cinque minuti, qui in ginocchio, tutti e due», sarebbe scaturita da un diverbio tra opposte tifoserie di calcio, divise tra Roma, Lazio e Juventus, ma accomunate dalla fede politica. Ma un’altra frase urlata da Ruberti, «Io stasera scrivo quello che mi avete chiesto a tavola», sta portando la Procura a indagare a tappeto, polizze comprese, settore nel quale, come detto, ha messo ordine l’ex dg della Asl approdata come comandata in Campidoglio poco dopo il trasloco Ruberti dalla Regione Lazio, dove era capo di gabinetto di Nicola Zingaretti. Vaste programme quello dei pm, anche perché, visto l’elevato numero di presenti alla cena, circa una ventina, non è detto che un’eventuale conversazione su temi scottanti sia avvenuta in modo esplicito.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/caso-ruberti-acquisizioni-allasl-frosinone-2657938142.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lex-braccio-destro-di-gualtieri-nelle-carte-di-mafia-capitale" data-post-id="2657938142" data-published-at="1661421952" data-use-pagination="False"> L’ex braccio destro di Gualtieri nelle carte di Mafia capitale Il nome di Albino Ruberti, l’ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio e poi di Roberto Gualtieri in Campidoglio dimessosi dal ruolo venerdì scorso dopo la pubblicazione di un video che lo ritraeva mentre minacciava il fratello di un esponente del Pd di Frosinone, compare anche negli atti della cosiddetta Mafia capitale. In un’intercettazione ambientale inedita fatta negli uffici della fondazione di Luca Odevaine, dal 2001 al 2008 vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e poi approdato alla Provincia di Roma a seguito di Nicola Zingaretti come comandante della polizia provinciale, racconta al suo interlocutore come, nonostante il passaggio alla Provincia, sia riuscito, grazie alla disponibilità di Ruberti, all’epoca ad di Zètema, a portare con sé Sandra Cardillo una dipendente di Zètema, distaccata per lavorare in Campidoglio nei suoi uffici. La conversazione, che non ha avuto alcuna conseguenza giudiziaria, è del 29 aprile 2014, e Odevaine, parlando con il suo interlocutore di risorse umane racconta, parlando della donna: «Zitto che io c’ho Sandra che praticamente se ne... l’ho dovuta cedere», spiegando poi che «lei è un impiccio in realtà, lei sta con me da anni, lei è dipendente Zètema (società partecipata al 100% da Roma capitale, è l’azienda strumentale capitolina che opera nel settore cultura, ndr) quindi in Comune c’aveva un comando, il gabinetto del sindaco e va tutto bene perché Zètema è una società del Comune, già in Provincia...». Odevaine interrompe il racconto per rispondere alla figlia, poi prosegue: «Dopodiché in Provincia, già non sò riuscito a fargli il comando per cui in Provincia è stata praticamente clandestina perché Zètema continuava a pagà Zètema per cui era... però ...inc... l’amministratore delegato, Ruberti no? disse “vabbé finché insomma... non ci rompono i coglioni, tiriamo avanti”». Nel dicembre 2012, quando Renata Polverini lascia dopo lo scandalo dei fondi del Consiglio regionale, Zingaretti si candida alla guida della Regione Lazio e si dimette da presidente della Provincia di Roma. Odevaine rimane di nuovo disoccupato e si dedica alla fondazione Integrazione, da lui presieduta dal 2010, che si occupa di migranti. Dalle intercettazioni emerge che evidentemente Odevaine chiede e ottiene ancora da Albino Ruberti che la Cardillo ancorché alle dipendenze di Zètema vada a lavorare da lui anche nella sua fondazione privata. Nella trascrizione dell’aprile 2014 infatti Odevaine prosegue così il racconto sulla sua segretaria: «Adesso è stata proprio qua, qui è qui... qui è proprio una truffa perché almeno... quella... qui è proprio...inc... e quella lavora qua, non se pò, per cui in realtà bisogna, allora adesso in questo clima oltretutto di revisione al Comune sulle società comunali e forse le chiudono addiri... cioè oppure le accorpano, altre... Zètema non si sa che fine fa, sai chiaramente dobbiamo...». Ma la soluzione sembra già pronta: «per il momento l’abbiamo... parcheggiata a... in comune da Silvio Di Francia (delegato all’immigrazione del sindaco Ignazio Marino, ndr) che è un amico per cui, sostanzialmente gli darà modo anche di venire un po’ qua no? Più piano piano, il fatto è che io veramente giuro ci stanno delle cose che io non so, tante cose che io non so, le sa solo Sandra». Ma a luglio, quando Odevaine parla di Di Francia con Francesco Ferrante, ex senatore del Pd, sembra che l’escamotage non abbia funzionato: «Eh però Silvio non fa mai un cazzo, io purtroppo ho dovuto restituire Sandra (Cardillo, ndr), io so senza Sandra da du mesi e mezzo», confermando che la donna aveva proseguito a lavorare per lui anche quando l’ex comandante della polizia provinciale non ricopriva più incarichi pubblici, percependo comunque lo stipendio da Zètema, di cui Ruberti è stato ad dal 1998 al 2017, aggiungendo dal 2014 anche la carica di presidente fino a fine mandato.
Pier Silvio Berlusconi (Getty Images)
Forza Italia, poi, è un altro argomento centrale ed è anche l’occasione per ribadire un concetto che negli ultimi mesi aveva già espresso: «Il mio pensiero non cambia, c’è la necessità di un rinnovamento nella classe dirigente del partito». Esprime gratitudine per il lavoro svolto dal segretario nazionale, Antonio Tajani, e da tutta la squadra di Forza Italia che «ha tenuto in piedi il partito dopo la scomparsa di mio padre, cosa tutt’altro che facile». Ma confessa che per il futuro del partito «servirebbero facce nuove, idee nuove e un programma rinnovato, che non metta in discussione i valori fondanti di Forza Italia, che sono i valori fondanti del pensiero e dell'agire politico di Silvio Berlusconi, ma valori che devono essere portati a ciò che è oggi la realtà». E fa una premessa insolita: «Non mi occupo di politica, ma chi fa l’imprenditore non può essere distante dalla politica. Che io e Marina ci si appassioni al destino di Forza Italia, siamo onesti, è naturale. Tra i lasciti di mio padre tra i più grandi, se non il più grande, c’è Forza Italia». Tajani è d’accordo e legge nelle parole di Berlusconi «sollecitazioni positive, in perfetta sintonia sulla necessità del rinnovamento e di guardare al futuro, che poi è quello che stiamo già facendo».
In qualità di esperto di comunicazione, l’ad di Mediaset, traccia anche il punto della situazione sullo stato di salute dell’editoria italiana, toccando i tasti dolenti delle paventate vendite di Stampa e Repubblica, appartenenti al gruppo Gedi. La trattativa tra Gedi e il gruppo greco AntennaUno, guidato dall’armatore Theodore Kyriakou, scatena l’agitazione dei giornalisti. «Il libero mercato è sovrano, ma è un dispiacere vedere un prodotto italiano andare in mano straniera». Pier Silvio Berlusconi elogia, invece, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport: «Cairo è un editore puro, ormai l’unico in Italia, e ha fatto un lavoro eccellente: Corriere e Gazzetta hanno un’anima coerente con la loro storia».
Una stoccata sulla patrimoniale: «Non la ritengo sbagliata, ma la parola patrimoniale, secondo me, non va bene. Così com’era sbagliatissima l’espressione “extra profitti”, cosa vuol dire extra? Non vuol dire niente e mi sembra onestamente fuori posto che in certi momenti storici dell’economia di particolare fragilità, ci possano essere delle imposte una tantum che vengono legate a livello di profitto delle aziende».
Un tema di stretta attualità, specialmente dopo le dichiarazioni di Donald Trump, è il ruolo dell’Europa nel mondo. «Di sicuro ciò che è stato fatto fino a oggi non è sufficiente, ma l’Europa deve riuscire a esistere, ad agire e a difendersi. Di questo sono certo. Prima di tutto da cittadino italiano ed europeo e ancor di più da imprenditore italiano ed europeo».
Quanto al controllo del gruppo televisivo tedesco ProSieben, Pier Silvio Berlusconi assicura che «in Germania faremo il possibile per mantenere l’occupazione del gruppo così com’è, al momento non c’è nessun piano di licenziamento». Ora Mfe guarda alla Francia? «Lì ci sono realtà consolidate private come Tf1 e M6: entrare in Francia sarebbe un sogno, ma al momento non vedo spiragli».
Continua a leggere
Riduci
Il primo ministro bulgaro Rosen Zhelyazkov (Ansa)
Il governo svolgerà le sue funzioni fino all’elezione del nuovo consiglio dei ministri. «Sentiamo la voce dei cittadini che protestano […] Giovani e anziani, persone di diverse etnie, di diverse religioni, hanno votato per le dimissioni», ha dichiarato Zhelyazkov. Anche gli studenti si erano uniti nell’ultima protesta antigovernativa di mercoledì, a Sofia e in altre città bulgare, contro la proposta di bilancio del governo per il 2026, la prima in euro. La prima proposta senza il coordinamento con le parti sociali e la prima a prevedere un aumento delle tasse e dei contributi previdenziali.
All’insegna del motto «Non ci lasceremo ingannare. Non ci lasceremo derubare», migliaia di dimostranti «portavano lanterne come segno simbolico per mettere in luce la mafia e la corruzione nel Paese», riferiva l’emittente nazionale Bnt. Chiedevano le dimissioni dell’oligarca Delyan Peevski e dell’ex primo ministro Boyko Borissov, sanzionato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito per presunta corruzione. Borissov mercoledì avrebbe dichiarato che i partiti della coalizione avevano concordato di rimanere al potere fino all’adesione della Bulgaria all’eurozona, il prossimo 1° gennaio.
Secondo Zhelyazkov, si trattava di una protesta «per i valori e il comportamento» e ha dichiarato che il governo è nato da una complessa coalizione tra partiti (i socialisti del Bsp e i populisti di Itn), diversi per natura politica, storia ed essenza, «ma uniti attorno all’obiettivo e al desiderio che la Bulgaria prosegua il suo percorso di sviluppo europeo». Mario Bikarski, analista senior per l’Europa presso la società di intelligence sui rischi Verisk Maplecroft, aveva affermato che le turbolenze politiche e il ritardo nel bilancio «creeranno incertezza finanziaria a partire da gennaio».
La sfiducia nel governo in realtà ha radici anche nel diffuso malcontento per l’entrata del Paese nell’eurozona, ottenuta a giugno dopo ripetuti ritardi dovuti all’instabilità politica e al mancato raggiungimento degli obiettivi di inflazione richiesti. Secondo i risultati di un sondaggio dell’Eurobarometro, i cui risultati sono stati pubblicati l’11 dicembre, il 49% dei bulgari è contrario all’euro, il 42% è favorevole e il 9% è indeciso. Guarda caso, la maggioranza degli intervistati in cinque Stati membri non appartenenti all’area dell’euro è contraria all'euro: Repubblica Ceca (67%), Danimarca (62%), Svezia (57%), Polonia (51%) e appunto Bulgaria.
Quasi la metà dei bulgari teme la perdita della sovranità nazionale, è contro la moneta unica e rimane affezionata alla propria moneta, al lev, che secondo Bloomberg rappresenta «un simbolo di stabilità» dopo la grave crisi economica di fine anni Novanta.
Se la Commissione europea ha ripetutamente messo in guardia contro le carenze dello stato di diritto in Bulgaria, affermando a luglio che il livello di indipendenza giudiziaria in quel Paese era «molto basso» e la strategia anticorruzione «limitata»; se per Transparency International è tra Paesi europei con il più alto tasso di percezione della corruzione ufficiale da parte dell’opinione pubblica, resta il fatto che i bulgari non scalpitano per entrare nell’eurozona.
Continua a leggere
Riduci
Ppalazzo Berlaymont (Getty Images)
In base allo schema ipotizzato, per quanto se ne può sapere, Bruxelles convoglierebbe le attività immobilizzate della Banca centrale russa in una linea di credito a tasso zero per l’Ucraina. L’Ue intenderebbe coprire 90 miliardi di euro del deficit di finanziamento dell’Ucraina, che è di 135 miliardi di euro, per i prossimi due anni attingendo a queste attività. A Kiev verrebbe chiesto di rimborsare il prestito solo dopo che Mosca avrà accettato di risarcire i danni causati dalla sua aggressione. Cosa che non avverrà mai. La proposta non ha precedenti nella storia moderna e solleva enormi dubbi e alcune contrarietà su aspetti di grande rilevanza.
Innanzitutto, sul tema delicato della compensazione monetaria destinata a coprire i danni o le perdite subite durante una guerra. Da che mondo è mondo, dalle imposizioni di Roma verso Cartagine dopo la prima e seconda guerra punica, alla guerra franco- prussiana fino a giungere alla Prima e Seconda guerra mondiale, sono sempre stati coloro che hanno perso le guerre che hanno dovuto pagare i debiti, e non il contrario. L’Ue su questa materia capovolge la storia.
In secondo luogo ci sono potenziali implicazioni economiche e strategiche: l’utilizzo degli asset sovrani russi per emettere il prestito di riparazione potrebbe avere effetti «a catena» in tutta l’Eurozona e provocare un esodo di investitori preoccupati da decisioni unilaterali delle autorità in futuro. Ma il punto dirimente e controverso in questo dibattito riguarda non tanto la già avvenuta immobilizzazione degli stessi, bensì l’effettiva possibilità di una confisca permanente. Nel caso degli asset di soggetti «riconducibili» al Cremlino (si pensi ad esempio agli oligarchi) inoltre, le confische rischierebbero di collidere col rispetto dei diritti di godimento di proprietà facenti parte della cornice dei diritti umani. Ancor più complicata è la confisca permanente di asset di diretta proprietà di uno Stato estero, che sono protetti dall’immunità e dal diritto internazionale. Inoltre, una delle più intuitive conseguenze di una confisca da parte dei Paesi europei sarebbe la sicura ritorsione russa. Il Cremlino ha infatti fatto sapere di avere pronta una lista di asset occidentali da aggredire a tal fine. A ogni modo, gli investimenti in Russia e riserve in rublo differiscono significativamente da Paese a Paese, e a essere particolarmente esposti sono proprio i paesi dell’Unione europea. Più che a livello di riserve delle varie banche centrali dei singoli Stati o della stessa Bce, una forte vulnerabilità risiede negli investimenti europei su suolo russo. Stando a fonti russe, su 288 miliardi di dollari la quota di asset degli Stati europei vale oltre 220 miliardi, ossia più del 75%.
Bisogna aggiungere anche che a preoccupare molti Paesi sarebbero anche le possibili conseguenze che una confisca così audace economicamente e «legalmente» avrebbe sulla stabilità dell’euro. Dando vita ad un importante precedente reputazionale, l’esproprio degli asset russi rischierebbe infatti di spingere molte banche centrali di vari Paesi stranieri a ridurre le loro riserve in euro come misura cautelare, indebolendo così la valuta dell’eurozona. È in parte un meccanismo già avviato non solo dalla Russia stessa, ma anche da paesi come Turchia o Cina, che da qualche anno stanno via via sganciandosi da valute come il dollaro e l’euro. Del resto chi si fiderebbe più dell’Europa se basta una decisione politica per sottrarre risorse finanziarie di proprietà di soggetti economici e di Stati esteri che hanno investito nel Vecchio continente? Deve averlo compreso bene la stessa Bce, condividendo le preoccupazioni emerse da più parti se ha deciso di rifiutare di fornire garanzie per il prestito di circa 140 miliardi di euro all’Ucraina, non solo perché la proposta della Commissione europea viola il suo mandato, ma si presume anche per le debolezze politiche e legali di una simile iniziativa.
Infine, una annotazione generale. Questa idea della Commissione europea fa, per così dire, uno scempio del concetto di libero mercato, introducendo una idea di capitalismo politico che si avvicina molto al cosiddetto capitalismo di Stato. Un capitalismo che si addice molto alle autocrazie che Bruxelles vorrebbe combattere. Davvero una gran bella pensata. Se invece di rischiare di pagare conseguenze che ricadrebbero sui cittadini europei, utilizzassero quel poco di sale in zucca rimasto per favorire un negoziato di pace ricostruirebbero un po’ di quella credibilità che allo stato attuale sembra decisamente smarrita.
Continua a leggere
Riduci
Ursula von der Leyen (Ansa)
Nella visione del segretario generale della Nato, gli europei saranno «il prossimo obiettivo di Mosca» entro cinque anni. Ma non solo, il conflitto potrebbe addirittura essere «della stessa portata della guerra che hanno dovuto sopportare i nostri nonni e bisnonni». E su queste basi vaghe ha quindi esortato gli alleati ad aumentare gli sforzi di Difesa per scongiurare il temuto conflitto. Poco importa quindi a Rutte se Mosca ha confermato pure ieri che non nutre «alcun piano aggressivo nei confronti dei membri della Nato o dell’Ue». Nella conferenza stampa, a fianco del cancelliere tedesco, Friedrich Merz, il segretario generale della Nato ha poi tirato le orecchie ai Paesi della Nato, colpevoli di non prendere sul serio «la minaccia russa» e di essere «silenziosamente compiacenti».
Ma chi non prende sul serio gli avvertimenti è Bruxelles in merito agli asset russi: il Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper) ha raggiunto un accordo sulla visione rivista della proposta inerente all’articolo 122 del Trattato Ue. E ha dato il via libera alla procedura scritta che si concluderà entro le 17 di oggi. Qualora arrivasse il voto favorevole, il blocco degli asset russi sarà quindi a tempo indeterminato. Si completa così il primo step per far sì che siano utilizzati i beni russi congelati a sostegno Kiev, in vista del Consiglio Ue della prossima settimana. A commentare il risultato è stato il commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis: «È stato approvato in linea di principio un regolamento che proibisce il trasferimento» degli asset russi congelati. E ha quindi spiegato che il regolamento «dovrebbe aiutare con il prestito basato sugli asset russi» visto che «assicura che restino congelati», senza il bisogno di rinnovare il blocco all’unanimità ogni sei mesi. Anche il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è intervenuta in merito dicendo: «Domani (oggi, ndr) spero che sia compiuto il prima passo per l’uso degli asset russi, metterli al sicuro, poi la decisione su come usarli sarà presa al Consiglio Europeo la prossima settimana, in un voto a maggioranza qualificata». A non condividere la linea di Bruxelles sono sicuramente la Slovacchia e l’Ungheria. Il premier slovacco, Robert Fico, ha già scritto al presidente del Consiglio europeo, António Costa: «Vorrei affermare che, in occasione del prossimo Consiglio europeo, non sono in grado di sostenere alcuna soluzione alle esigenze finanziarie dell’Ucraina che preveda la copertura delle spese militari dell’Ucraina per i prossimi anni». Continuando a mettere i puntini sulle i, ha sottolineato: «La politica di pace che sostengo con coerenza mi impedisce di votare a favore del prolungamento del conflitto militare: fornire decine di miliardi di euro per le spese militari significa prolungare la guerra». «Profonda preoccupazione» è stata espressa da Budapest per «la recente tendenza» ad «aggirare le procedure di decisione all’unanimità». Anche perché l’articolo 122 non è «la base giuridica corretta» per bloccare senza scadenza gli asset russi.
Sul fronte delle trattative di pace il tempo stringe. E dopo che Kiev ha inviato la sua versione del piano a Washington, ieri pomeriggio la Coalizione dei volenterosi si è riunita virtualmente. Tra i leader che hanno preso parte, il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, il premier britannico, Keir Starmer, il presidente francese, Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Al termine del meeting, il leader di Kiev ha dichiarato: «Stiamo lavorando per assicurare che le garanzie di sicurezza includano componenti serie di deterrenza europea e siano affidabili». E ha avvisato pure Washington: «È importante che gli Stati Uniti siano con noi e sostengano questi sforzi. Nessuno è interessato a una terza invasione russa». Von der Leyen ha ripetuto che «l’obiettivo è raggiungere una pace giusta e sostenibile per l’Ucraina». Le iniziative europee, in ogni caso, per Mosca non sono efficaci. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha infatti commentato: «L’Europa sta cercando in tutti i modi di sedersi al tavolo delle trattative, ma le idee che coltiva non saranno utili ai negoziati». E ha lanciato un avvertimento già noto ai leader europei: qualora venissero schierate le forze di peacekeeping in Ucraina saranno considerate «immediatamente» gli «obiettivi legittimi» di Mosca.
L’agenda dei negoziati intanto prosegue: domani è previsto un incontro a Parigi tra i funzionari ucraini, americani, francesi, tedeschi e britannici per tentare di raggiungere un consenso sul piano di pace. Secondo quanto riferito da Axios, a rappresentare i leader europei e l’Ucraina saranno i rispettivi consiglieri per la sicurezza nazionale, ma non è ancora chiaro se per gli Stati Uniti parteciperà il segretario di Stato americano, Marco Rubio.
Continua a leggere
Riduci