Caso Gregoretti, Toninelli si umilia in tribunale: «Io non mi ricordo»
Danilo Toninelli che dice di non ricordare, e lo ripete più volte perché dall'estate 2019 «è passato tanto tempo». Ed Elisabetta Trenta che, se possibile, è ancora meno convinta. Non hanno certamente dato gran prova di sé i due ex ministri grillini dei Trasporti e della Difesa, convocati ieri come testimoni nell'aula bunker del carcere di Catania dove s'è svolta la seconda giornata dell'udienza preliminare che dovrà decidere sul rinvio a giudizio del loro ex collega dell'Interno, Matteo Salvini. Il leader leghista è accusato di abuso d'ufficio e sequestro di persona, due reati che prevedono fino a 15 anni di reclusione, perché dal 26 al 31 luglio 2019 avrebbe «illecitamente trattenuto» 131 immigrati a bordo nave militare Gregoretti.
Contraddicendo la nota passione grillina per la trasparenza, ieri Toninelli e Trenta hanno chiesto di non essere ripresi dalle telecamere, ma sono stati ugualmente pressati dalle domande del difensore di Salvini, l'avvocato Giulia Bongiorno. La penalista punta a dimostrare al giudice, Nunzio Sarpietro, che quanto è accaduto con la nave Gregoretti, così come nei due casi paralleli delle navi Open Arms e Diciotti, è stato un legittimo atto politico del Viminale, al quale comunque ha sempre preso parte l'intero governo gialloblù guidato da Giuseppe Conte. Così ieri l'avvocato Bongiorno ha messo in difficoltà soprattutto Toninelli. Prima gli ha sventolato sotto il naso i post che l'ex ministro dei Trasporti pubblicava su Facebook nel 2018 e nel 2019, ai tempi di quello che i grillini all'epoca chiamavano «il governo del cambiamento», quando Toninelli mostrava di condividere con entusiasmo le scelte di Salvini in materia d'immigrazione. Poi gli ha mostrato alcune interviste del 2019, dove Toninelli si diceva «d'accordissimo ad aspettare» un segnale dall'Europa prima di permettere gli sbarchi. E soprattutto il post in cui l'ex ministro grillino scriveva che «noi non abbiamo obblighi sugli sbarchi e non faremo sbarcare nessuno finché l'Unione europea non batterà un colpo. Avanti così!».
Infine, l'avvocato Bongiorno ha chiesto se Toninelli riconoscesse la sua firma tra quelle di Salvini e Trenta sotto un decreto interministeriale di divieto d'ingresso emesso il 2 agosto 2019 per la nave Open Arms, con a bordo altri 147 immigrati. È qui che Toninelli ha risposto con l'inverosimile «non ricordo, è passato tanto tempo», cercando poi di mitigare lo smacco bofonchiando: «La linea del governo era quella d'interessare gli altri Stati europei al collocamento dei migranti, ma ogni sbarco era un caso a parte».
L'avvocato Bongiorno, che di quel governo era ministro della Funzione pubblica per la Lega, ha commentato: «Tutto mi sarei aspettato, tranne di sentirmi dire da Toninelli che lui non c'era o non si ricordava. Ho provato tanto imbarazzo per lui, perché io c'ero in quel governo, e mi ricordo bene quanto discutessero tra di loro di queste vicende». Ma l'imbarazzo dell'ex ministro dei Trasporti è divenuto ancor più evidente quando è uscito dall'aula bunker e s'è trovato di fronte i giornalisti: «Lì dentro», ha sbottato Toninelli, «è in corso il tentativo di scaricare su di me e sul ministero dei Trasporti una scelta che è soltanto del Viminale: io ero responsabile dei salvataggi in mare attraverso la Guardia costiera, lui (cioè Salvini, ndr) il solo responsabile degli sbarchi a terra. A parole diceva di essere il difensore dei confini italiani, e oggi negli atti giudiziari scarica sugli altri le sue responsabilità. Avete capito il soggetto?». Il leader leghista gli ha replicato in serata con una frase lapidaria: «Toninelli non c'era, e se c'era dormiva».
L'avvocato Bongiorno, che a Catania era arrivata con un trolley blu pieno di carte, ha confermato di aver depositato quelle che ritiene essere le prove del pieno coinvolgimento del primo governo Conte. Come un video della conferenza stampa di fine anno del 28 dicembre 2019, dove il capo del governo risponde a una domanda sulla nave Gregoretti e ammette di aver condiviso la linea di Salvini: «Sicuramente», dice Conte, «fin dal primo riscontro c'è stato un coinvolgimento della presidenza del Consiglio, com'è sempre avvenuto per la ricollocazione (degli immigrati, ndr): perché con l'aiuto del ministero degli Esteri abbiamo sempre lavorato noi per ricollocare e consentire poi lo sbarco». Nella frase di Conte, la prima persona plurale «noi» e l'avverbio «poi» sono cruciali perché testimoniano come il premier e tutti i ministri gialloblù volessero «prima» avere da Bruxelles la certezza che i migranti sarebbero stati redistribuiti, e solo in quel caso, «poi», avrebbero dato il via allo sbarco.
Ieri l'avvocato Bongiorno ha confermato che quel video «è nella memoria difensiva già depositata». In quella stessa memoria risulta alla Verità si trovino interviste, lettere della presidenza del Consiglio e anche alcune email, inviate nei giorni concitati del caso Gregoretti. Tra queste spicca l'email spedita alle 13.36 del 26 luglio 2019, vigilia dell'arrivo della nave a Catania, con cui Palazzo Chigi inoltrava «formale richiesta di redistribuzione dei migranti salvati in mare» agli Stati membri, informandoli di avere già allertato la Commissione europea.
Il giudice Sarpietro ha chiuso l'udienza annunciando che il premier Conte, che ieri non ha potuto essere interrogato a Catania per i suoi impegni europei, sarà ascoltato l'8 gennaio a Palazzo Chigi. Nelle prossime settimane, invece, sarà sentito il ministero grillino degli Esteri, Luigi Di Maio.





