2023-09-01
Caso Giambruno, la realtà non conta. Quante bugie dai «soliti» giornalisti
Gianni Riotta, Maurizio Molinari e Luca Sofri hanno firmato articoli indignati per le parole del conduttore di Mediaset manipolando le sue frasi e trasformandolo nel colpevole della vicenda di Palermo. Ma mettendo in secondo piano quelli veri.Ho riflettuto a lungo sul cosiddetto caso Giambruno, cercando di capire se avessi sottovalutato la portata della frase del conduttore Mediaset sui pericoli degli stupri. Alla fine sono giunto alla conclusione che non esiste alcun caso Giambruno e però esistano tanti casi Riotta, Molinari, Sofri eccetera, dai nomi dei giornalisti che in tv o sulla stampa ne hanno scritto, deformando la realtà e diffondendo quelle che loro chiamano fake news, ma che io continuo a riportare con il loro nome: balle.Comincio dal Gianni Pinocchio del giornalismo che, se non ci fosse di mezzo una questione seria come la violenza sulle donne, andrebbe trattato come merita, ovvero preso a pernacchie per l’articolo più fazioso e bugiardo che sia stato scritto sullo stupro di Palermo. Ignorando le frasi pronunciate da Giambruno, l’ex direttore del Tg1 in quota Romano Prodi ha infatti scritto che il conduttore Mediaset ha ripreso «il luogo comune per cui le vittime devono fare ammenda per presunte colpe, bere uno shot in più stavolta, in altri casi magari un abito provocatorio o uscire di casa in orari non adeguati».Tralascio la prosa zoppicante (che Riotta certo trasformerà in un plus, giustificandosi con la sua lunga permanenza all’estero invece che con la necessità di ripetere l’esame di giornalismo) per concentrarmi sulla sostanza.Giambruno non ha mai detto che le vittime debbano fare ammenda, tutt’altro. Piuttosto, ha detto tutto il male possibile degli stupratori, aggiungendo che consumare alcol e droga fino a perdere il controllo di sé stessi espone a grandi rischi. Se sei ubriaco fino a non reggerti in piedi, va da sé che non puoi difenderti. E siccome non puoi uscire o andare a ballare con un carabiniere al seguito che ti protegga, evitare di perdere lucidità è un modo per cercare di ridurre il rischio di cadere vittima dei lupi.Una considerazione di buon senso, per di più caduta nel giorno in cui, con tanto di richiamo scientifico, l’ex direttore dell’Espresso Giovanni Valentini spiegava sul Fatto quotidiano che più alcol e più droga equivalgono a più stupri. E non solo perché, come ci si vuol far credere, il branco sotto effetto di sostanze e bevute è pericoloso ma, come ha scritto Valentini, le vittime sono ancor più inermi se «sballate».Ma il premio Pinocchio va anche a Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, il quale, sul sito del quotidiano, che dirige se n’è uscito con la seguente dichiarazione: «È agghiacciante che un cittadino della Repubblica, cresciuto e affermatosi nel nostro Paese, come Giambruno, affermi che se una persona subisce una violenza sessuale è colpa sua e dei comportamenti che ha avuto e non di chi aggredisce». In realtà, è agghiacciante che un giornalista dell’esperienza del capo di un quotidiano di casa Agnelli manipoli la realtà. Dire che se bevi rischi di più rispetto a chi è sobrio non significa dire che lo stupro sia colpa tua.Se un automobilista non rispetta lo stop, ti taglia la strada e ti prende in pieno è sempre colpa sua, ma se non hai bevuto mentre guidi, magari ti salvi la vita perché freni in tempo. Aver ragione e sapere di essere vittima di un branco, come nel caso di Palermo, non riparerà mai la tua vita. Ma fare di tutto per evitare che dei delinquenti ti usino come carne da macello la vita te la potrebbe salvare, sì o no? La risposta mi pare scontata, almeno se si vuole usare il metro del buon senso e non quello della faziosità.E a proposito di faziosità, sul caso si è cimentato anche Luca Sofri, il quale ha commentato le parole di Giambruno dicendo che un conto è ciò che dice un padre alla propria figlia e un altro è ciò che sostiene un comunicatore e giornalista in tv. Che, detto dal figlio di uno che su un quotidiano esultava per l’assassinio di un commissario di polizia (e che di quell’omicidio è stato considerato il mandante) non è un bell’esempio di quanto debbano fare un comunicatore e un giornalista.Ciò detto, per tutti questi maestrini dalla penna rossa, che si indignano per le parole di buon senso di Giambruno, valgono le frasi di Gad Lerner, il quale dopo la morte di Desirée Mariottini, sedicenne drogata, violentata e lasciata morire qualche anno fa a Roma, scrisse che la sua morte non era dovuta al sottobosco di clandestini e spacciatori immigrati che abbiamo lasciato entrare e prosperare nel nostro Paese, ma al fatto che Desirée fosse dipendente dall’eroina, figlia di uno spacciatore e di una madre quindicenne e che avesse incontrato dei pusher immigrati. Insomma, se una ragazzina era stata drogata e stuprata non era colpa di un sistema marcio che protegge i clandestini, consente le occupazioni di edifici che poi diventano luogo si spaccio e delinquenza e considera i reati di droga un peccato veniale. No, la colpa era di Desirée e della sua famiglia sfasciata.In quel caso la vittima era colpevole, indirettamente (aveva un padre spacciatore e una madre che l’aveva partorita a quindici anni) e anche direttamente (dipendeva dall’eroina). Nella vicenda di Palermo, invece, il colpevole è Giambruno che, avendo avuto l’ardire di mettere in guardia le vittime dal pericolo, è stato trasformato in una specie di Barbablù per il solo fatto di essere il compagno di Giorgia Meloni.Di lui, in questi giorni, si è parlato e scritto più che degli stupratori veri. Per lui si sono mossi onorevoli e direttori. Così i criminali e la vittima del bestiale stupro sono finiti in secondo piano. Complimenti, dunque, ai Giamburrasca del giornalismo, i quali sono i veri stupratori della realtà. Altro che caso Giambruno. Qui c’è un caso Riotta, Molinari, Sofri e compagni.
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