2019-12-10
Caso Csm, il ricorso di Ferri
porta le intercettazioni dei parlamentari in Consulta
Il deputato di Iv contesta le registrazioni effettuate con un trojan nel cellulare del pm Luca Palamara. La Corte nel 2013 fece distruggere i nastri che riguardavano Giorgio Napolitano. Si scrive conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, si legge difesa con il coltello tra i denti. Il deputato di Italia viva, Cosimo Ferri, ricorre alla Corte costituzionale contro i presunti abusi del virus trojan che, dovendo registrare il pm Luca Palamara nell'inchiesta di Perugia per corruzione, ha finito per immortalare su files audio mp4 anche le sue parole. Lui che è magistrato in aspettativa eletto in Parlamento. E come tale, ha scritto in un'articolata memoria che sarà vagliata l'11 marzo prossimo per la verifica di ammissibilità dai giudici delle leggi, sottoposto a speciali garanzie costituzionali. Quelle, in particolare, disciplinate dall'articolo 67 («Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»); dall'articolo 68 (la necessità di chiedere l'autorizzazione alla Camera cui il soggetto da intercettare appartiene); e infine dall'articolo 4 della legge 140/2003 («in attesa dell'autorizzazione l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa»).Ferri - immortalato dalla cimice telematica mentre brigava attorno alle manovre per gli incarichi di importanti uffici giudiziari come Roma, Firenze e Brescia insieme a Palamara e al deputato Luca Lotti, sotto processo proprio nella Capitale nel processo Consip - sostiene che le sue intercettazioni non sarebbero casuali, unico caso in cui è ammessa la registrazione di un parlamentare, ma innestate nello schema investigativo. E questo perché gli incontri con Palamara non erano estemporanei né imprevisti, ma programmati con largo anticipo - addirittura c'era l'abitudine di vedersi un giorno a settimana anche con Lotti - e annunciati al telefono dai vari partecipanti sia direttamente sia attraverso terze persone. Non a caso quella delle intercettazioni dei politici è stata una delle preoccupazioni maggiori dei magistrati umbri tant'è che il 10 maggio, dopo la prima captazione delle voci di Lotti e Ferri, la pm Gemma Miliani, titolare del fascicolo, aveva indirizzato al comandante del Gico delle fiamme gialle una nota molto chiara: «Stante quanto emerso dall'attività tecnica di intercettazione sull'indagato Luca Palamara si precisa che: laddove da elementi certi (dalle intercettazioni telefoniche e telematiche) in essere nei suoi confronti vi emerge che Palamara sia prossimo a incontrare un parlamentare (ad esempio prenda un appuntamento direttamente con un parlamentare o conversando con un terzo emerga con certezza la presenza di un parlamentare o altro soggetto-sottoposto al regime autorizzatorio speciale) sarà vostra cura NON (il maiuscolo è nel testo originale, ndr) attivare il microfono, trattandosi in tal caso, ad avviso di questo PM, non più di intercettazione diretta CASUALE di un parlamentare». La storia, come sappiamo, è andata diversamente perché le intercettazioni non erano ascoltate in diretta dai finanzieri, ma solo a riunioni concluse. E, quindi, nella rete a strascico del trojan si sono ritrovati pure Lotti e Ferri in almeno quattro occasioni.A questo punto potremmo quindi ritrovarci in una situazione molto simile a quella che vide protagonista l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intercettato dai pm di Palermo, che indagavano sulla presunta Trattativa Stato-mafia, mentre era al telefono con Nicola Mancino. La Consulta, nel 2013, ordinò la distruzione delle conversazioni per garantire «riservatezza assoluta» al capo dello Stato. Succederà così anche con quelle di Ferri? Il deputato ex Pd, oggi nella renziana Iv, è convinto di essere legittimato a ricorrere alla Corte costituzionale in quanto, sulla base di quegli audio, è stato sottoposto a procedimento disciplinare promosso dall'ex procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio. Finito sott'inchiesta e costretto alle dimissioni, a sua volta, per rivelazione di segreto sempre nell'ambito dell'indagine perugina per aver soffiato informazioni riservate a Palamara.E, proprio riguardo alle posizioni degli indagati collaterali del procedimento, il 28 novembre scorso, la Corte di Cassazione a sezioni unite ha depositato una sentenza che fa ordine nelle diverse (e spesso confliggenti) interpretazioni riguardo all'utilizzabilità delle intercettazioni telematiche per reati diversi rispetto a quelli per i quali sono state autorizzate. Il dispositivo della Suprema Corte ha introdotto, infatti, due condizioni: che si tratti di reati connessi dal punto di vista strutturale, logico e probatorio con quello per cui si procede; e che si tratti di reati puniti con pena superiore ai cinque anni. Questo che cosa c'entra con l'inchiesta di Perugia sul mercato della nomine dei procuratori? Una cosa molto semplice, e cioè che ai coindagati di Palamara, accusati ad esempio di rivelazione di segreto (l'ex pg della Cassazione Riccardo Fuzio, e gli ex consiglieri del Csm Luigi Spina e Stefano Fava) o di favoreggiamento (il solo Fava), non possono essere contestati i fatti emersi dalle intercettazioni ottenute col trojan. E questo perché non sono collegati con il reato di corruzione, che è in capo al solo Palamara e che riguarda i suoi rapporti con il discusso imprenditore Fabrizio Centofanti, e perché sono puniti con pena inferiore ai cinque anni. Se le motivazioni del provvedimento della Cassazione andassero in questa direzione, il perimetro dell'indagine di Perugia si ridurrebbe di molto.