2023-12-12
Le pressioni di Casarini & c. per farsi dare decine di clandestini da portare in Italia
Raffica di messaggi per indurre l’armatore di un mercantile che aveva raccolto dei naufraghi ad agire da scafista: «Venite in acque internazionali e consegnateli a noi». La risposta: «Io non infrango le regole. E non navigo con criminali pericolosi per l’equipaggio».La «pesca miracolosa» di clandestini organizzata da Luca Casarini e dal suo compagno di avventure Giuseppe Caccia, armatore del rimorchiatore Mare Jonio con la sua compagnia Idra social shipping, a un certo punto diventa qualcosa di diverso rispetto a una normale attività umanitaria. Tanto che i due sono imputati a Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma a certificare questa attività un po’ borderline non c’è solo il trasbordo di 27 migranti, dietro lauto pagamento, da un cargo danese sul battello gestito dai nostri due rivoluzionari da salotto. C’è pure il caso del mercantile battente bandiera panamense Nivin, che opera prevalentemente sulla rotta Italia-Libia e che, nella notte tra il 7 e l’8 novembre del 2018, recuperò in mare un gommone con 79 migranti e li riportò sulle coste africane. Un anno dopo quel salvataggio un team di avvocati e giornalisti investigativi ha denunciato l’Italia per il respingimento «privatizzato» compiuto attraverso la nave, su indicazione, a loro dire, «dei centri di coordinamento marittimo italiano e libico».Medici senza frontiere aggiunse: «Intercettati in mare e riportati in Libia, erano rimasti 10 giorni sul mercantile ancorato a Misurata: rifiutavano di scendere perché temevano per le loro vite, avendo già subito detenzione arbitraria, violenza estrema e traffico di esseri umani durante la loro permanenza nel Paese. Alla fine le forze di sicurezza libiche li avevano costretti a sbarcare con la forza». Quindi il governo giallo-verde è accusato di aver fatto riportare i migranti in Africa, mettendo a rischio le loro vite. Ma adesso scopriamo che Omran Alame, il direttore della Dragonet Sg inc., proprietaria della Nivin, aveva avuto un’accesa discussione con il collega armatore italiano, dimostrando come la stessa vicenda potesse essere vista da prospettive opposte. Tanto che Caccia aveva scritto a Casarini, soprannominato scherzosamente in un messaggio «giovane pirata»: «Eccoti lo scambio con l’armatore della Nivin: è evidente come sia mal consigliato da “amici” libici o italiani».Nella chat l’armatore veneziano scrive al collega straniero: «Oggi la notizia della Nivin bloccata a Misurata ha avuto grande evidenza sui media italiani. E qualcosa sta succedendo». Caccia dimostra a questo punto di avere ottime entrature in Nord Africa e anche complicità inquietanti: «Alcune fonti riservate a Tripoli ci hanno detto che sarebbe possibile che le autorità libiche vi autorizzino a salpare da Misurata. Se voi poteste navigare in acque internazionali, noi potremo organizzare l’assistenza per voi e lo sbarco di tutti i migranti dalla vostra nave, li porteremo a bordo della nostra e poi presso un porto sicuro (Pos) europeo». In poche parole l’italiano propone al collega armatore di far scappare il mercantile da Misurata per poter trasferire i clandestini fuori dalla giurisdizione libica per poi condurre i clandestini in Italia. Il collega straniero è scandalizzato dalla proposta: «Caro Signore, la nave non lascerà Misurata neppure con un solo migrante a bordo, lasciate che trovino un’altra nave o biglietti aerei o qualsiasi altra cosa, questa faccenda non riguarda noi, né la nave e non ci preoccupiamo di nessuno perché nessuno si preoccupa della sicurezza dell’equipaggio. Tutti chiedono dei migranti, ma l’equipaggio? Non sono esseri umani anche loro? L’equipaggio è in serio pericolo con questi rifugiati, perché sono pericolosi, e anche il comandante si rifiuta di salpare con loro, abbiamo solo eseguito l’ordine di portarli a Misurata e basta. Provate a trovargli un aereo, un elicottero o altro, ora la questione è affidata ai nostri avvocati, a Panama e alla nostra assicurazione di Londra. La faccenda è nelle loro mani. Per noi è importante la sicurezza dell’equipaggio. E qui, per noi, si configura anche la controstallia (il tempo perso da un cargo per completare le operazioni, con relativo danno economico, ndr) e qualcuno dovrà assumersi la piena responsabilità di questa situazione». Caccia non si scompone e replica: «Sto lavorando per trovare una soluzione praticabile sia per l’equipaggio che per i migranti e per la vostra nave. Al momento nessuno vuole organizzare l’evacuazione dal porto di Misurata. E se a bordo ci fosse anche un intervento di forza da parte delle autorità libiche il suo equipaggio e la nave sarebbero in pericolo. E il rischio è di avere danni e una sosta di diversi mesi per la nave in Libia. Non possiamo aiutarvi nel porto di Misurata. Ma se la nave si spostasse a sole 30 miglia nautiche da lì, potremmo intervenire in acque internazionali lasciando il suo equipaggio e la sua nave liberi e sicuri. Ma ovviamente spetta a lei valutare e decidere».L’armatore non ci sta: «Le dirò che è impossibile. Preferirei restare dieci anni ormeggiato a Misurata piuttosto che navigare con a bordo i criminali che hanno preso in ostaggio il mio equipaggio per andare in Europa. Li abbiamo salvati e basta, facendo ciò che le autorità ci hanno detto di fare. Provate voi, se ci riuscite, con la vostra la vostra organizzazione, a trovare un aereo o un’altra imbarcazione, con la nostra nave è impossibile perché è un cargo e non una nave passeggeri. E noi non infrangiamo la legge. Per nessuno. Lavoriamo solo secondo le regole internazionali. Non voglio farle perdere tempo come le ho detto, la questione riguarda la nostra assicurazione a Londra e Panama e i nostri avvocati, loro si occuperanno della questione».Caccia non si arrende: «Se vuole può mettermi in contatto con i suoi avvocati. Abbiamo il nostro team legale con esperti di diritto marittimi di alto livello e sarebbe utile uno scambio tra loro».Per la Nivin si mette in moto una grande mobilitazione, anche mediatica. Casarini prepara un comunicato che vorrebbe diffondere come Mediterranea, gonfia un po’ i numeri e drammatizza la situazione: «Stiamo seguendo con grande apprensione la vicenda del cargo Nivin, fermo al porto di Misurata con a bordo 92 persone soccorse a 60 miglia dalla Libia e che si rifiutano di consegnarsi nuovamente ai carcerieri da cui cercavano disperatamente di fuggire. Queste persone, da testimonianze dirette raccolte a bordo, sono state torturate, stuprate, sottoposte per lungo tempo a indicibili violenze nei centri di detenzione libici, ed è ovvio che preferiscano morire piuttosto che tornare a subire tutto questo. Le autorità libiche stanno decidendo un intervento militare, cioè un bagno di sangue. Chiediamo con forza un intervento del governo italiano e dell’Unione europea per una evacuazione umanitaria immediata dei profughi, prima che il loro destino sia segnato per sempre. Chiediamo un corridoio umanitario che permetta a queste persone di salvarsi. Imporre loro di riconsegnarsi all’inferno della tortura e della morte, non è né umano né accettabile».Casarini annuncia anche che la giornalista Francesca Mannocchi «sta preparando una paginazza per domani su Repubblica sul caso della Nivin». Però vuole passarle, a voce, qualche ulteriore informazione: «Aggiungerei, ma non via testo, ma parlando con lei, che stiamo anche accertando il ruolo avuto da Mrcc Italia (Comando generale del corpo delle capitanerie di porto) su respingimento collettivo tramite i libici, perché chiederemo acquisizione delle disposizioni date da Roma alla Nivin e, per questo, diciamo che l’Italia dovrebbe farsi carico dell’evacuazione».Caccia aggiorna l’amico: «Le ho già dato tutta la documentazione del comandante Nivin (ovviamente non la mail sulla situazione attuale). E anche le comunicazioni della notte tra il 7 e l'8 tra noi e Mrcc». E conclude con durezza: «È clamoroso quante palle ci hanno raccontato».
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