In media ogni famiglia spenderà 22.000 euro per i lavori green con un ritorno lento sull’investimento. Tagli risibili alla CO2.
In media ogni famiglia spenderà 22.000 euro per i lavori green con un ritorno lento sull’investimento. Tagli risibili alla CO2.Ma quanto potrebbe costare alle famiglie italiane obbligate a sostenere nuovi lavori di ristrutturazione la direttiva europea sulle case green? Alla domanda che in vista della settimana cruciale del Trilogo Ue (negoziato tra Commissione, Parlamento e i consigli dei diversi Paesi) acquista i caratteri dell’urgenza, ha provato a rispondere Rse, la società pubblica di ricerca controllata dal Gestore dei servizi energetici. L’articolo completo che analizza i nuovi dati uscirà a metà giugno sul secondo numero 2023 della Rivista Energia diretta dall’ex ministro dell’Industria Alberto Clò e La Verità è in grado di darne qualche anticipazione. Per esempio sul capitolo che riguarda l’impatto della normativa europea (gli edifici residenziali devono rientrare nella classe energetica E entro il 2030 e nella D entro il 2033) sulle famiglie italiane. «Generalizzando», si legge, «ogni famiglia interessata dalla direttiva case green dovrebbe sostenere un costo di circa 22.000 euro, con un risparmio sulla bolletta di circa 1.000 euro all’anno». Si tratta di una valutazione di massima che non tiene conto della volatilità del prezzo dell’energia e del prezzo del denaro oltre che di altre variabili finanziarie. Ma dà comunque una misura dell’impatto devastante al quale saranno sottoposti i nuclei medio bassi. «Tuttavia», continua l’ analisi, «questi macro dati mettono in luce la difficoltà per una famiglia nel sostenere un costo che avrà mediamente dei tempi di ritorno superiori ai 15 anni». Il punto è, infatti, che i 22.000 euro di cui sopra vanno sborsati subito mentre il ritorno sull’investimento, anno più anno meno, richiede tempi molto lunghi. E qui veniamo al secondo quesito? Vista l’attuale riduzione di capacità di spesa delle famiglie italiane chi finanzierà il piano? La risposta è scontata e porta diritto diritto a quello stesso Stato che oggi è in subbuglio per le spese poco gestibili generate da un provvedimento come il Superbonus 110%. Anche perché, come succede per quasi tutte le regole Ue sull’ambiente, il costo sia economico che sociale imposto ai cittadini genera vantaggi ambientali in termini di taglio delle emissioni nocive davvero risibili. Vediamo. I dati del Global carbon project, già citati in altri articoli dalla Verità, dicono che l’Unione Europea nel 2022 è stata responsabile del 7,5% delle emissioni antropogeniche (generate dall’attività umana) mondiali di CO2. Parliamo di 2,8 miliardi di tonnellate su un totale di circa 37,5 miliardi. E che l’edilizia in generale pesa per il 36%. Di questo però il 25% riguarda le emissioni operative, mentre solo l’11% riguarda quelle incorporate, cioè quelle legate ai materiali e ai processi di costruzione, quelle quindi che vengono ridotte dalle direttive Ue sulla casa. Bene, tenendo conto del fatto che l’Italia emette in totale (dato Ispra sul 2021) poco più di 410 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari quindi all’1,1% di quelle mondiali, i 22.000 euro di cui sopra ridurrebbero appena dello 0,11% le emissioni globali. Un grandissimo sforzo per portare a casa un piccolissimo risultato. Conviene?La risposta appare scontata anche perché la tendenza attuale è difficilmente invertibile. Per un motivo molto semplice: la Cina che da sola emette 11,4 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, al di là di accordi più o meno di facciata e di frasi da convegno, non ha nessuna intenzione di ridurre i suoi ritmi di crescita e quindi di abbassare le emissioni nocive a livello globale, che poi sono quelle che contano. Torniamo quindi allo studio Rse. Perché l’ultima domanda riguarda la fattibilità? Per rispettare i dettami Ue sarebbe necessario avviare ogni anno, per l’intera durata dei 10 anni, circa 880.000 cantieri, più del doppio di quelli aperti fino a febbraio 2023 in occasione del Superbonus (385.000). Mentre considerando il punto di vista delle famiglie, l’applicazione della direttiva avrebbe, complessivamente un costo di circa 200 miliardi per il primo step (tutti in classe E) e di 365-420 miliardi se si decidesse di arrivare direttamente in classe D, con 8,8 milioni di edifici interessati pari a 18,8 milioni di abitazioni.Insomma, anche la risposta a quest’ultima domanda quindi appare abbastanza pleonastica. Visto quanto successo con i cantieri del 110% e lo sforzo economico richiesto allo Stato che continua a lievitare, siamo davvero sicuri di imbarcarci in un’altra tornata ancor più massiccia di lavori di riqualificazione energetica? Con l’aggravante che questa volta non sarebbe una scelta libera, ma imposta da Bruxelles.
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