True
2018-06-10
Caro Giampaolo, i «proiettili» non devono però essere truccati
ANSA
Continua a leggere
Riduci
Caro Giampaolo, che tu sia un pericoloso killer da tastiera le cui parole lasciano il segno come pallottole non l'ho scoperto oggi, ma più di 40 anni fa quando, avendo raggiunto l'età della ragione, ho cominciato a leggere le tue cronache e i tuoi ritratti. È da allora, cioè dagli anni in cui scrivevi sul Corriere prima di migrare alla corte di Eugenio Scalfari, che ho imparato ad apprezzare i tuoi articoli senza reverenza e i tuoi giudizi sarcastici. Figurati, dunque, se mi stupisco ora che tu usi lo stesso metro con Matteo Salvini. Scrivendo della caccia grossa contro il capoccia della Lega certo non pensavo a te, che non mi pare abbia lo spirito e la voglia di partecipare a un safari. Come ho spiegato nell'articolo dell'8 giugno, avevo davanti una pagina di Repubblica che associava il nome del ministro dell'Interno alle cosche calabresi. La colpa di Salvini, secondo il quotidiano debenedettiano, è di aver preso voti non solo in Lombardia e nel Veneto, ma anche nella regione del Sud in cui imperversa la 'ndrangheta. Avendo parlato nell'aula di un liceo scientifico la cui preside è imparentata con persone finite sotto indagine, ed essendo stato presente al dibattito l'ex sindaco di un Comune sciolto per mafia, per il giornale romano Salvini avrebbe avuto l'appoggio dei boss. A me questo modo di fare e di accusare ha ricordato il processo Andreotti, quando il Belzebù democristiano fu chiamato a rispondere in tribunale di una festa di matrimonio della figlia dei fratelli Salvo. Aver inviato un regalo di nozze, secondo la Procura, era la prova del concorso esterno in associazione mafiosa, mentre per me - che credo che i reati non possano consistere in un vassoio - era semplicemente la dimostrazione della partecipazione a uno sposalizio. Punto.Dire che Salvini ha preso i voti della 'ndrangheta perché è stato a Rosarno, dove tra l'altro c'è un'alta concentrazione di immigrati, mi pare una di quelle operazioni che servono a screditare un avversario politico e questo ho scritto parlando di caccia grossa. Per rafforzare il concetto, ho aggiunto che attaccare il ministro dell'Interno perché ha detto che dalla Tunisia ci arrivano galeotti è un altro tassello dell'operazione. Non solo perché è vero che dalla Tunisia sono approdati in Italia fior di avanzi di galera, ma perché a lanciare l'allarme sono stati gli stessi giornali che oggi attaccano Salvini per aver detto ciò che loro hanno scritto.Questo significa affermare che i politici sono intoccabili e in particolare che lo è il capo della Lega? Non mi pare. Significa essere d'accordo con Alberoni quando scrive che, essendosi Salvini imposto al di là di ogni previsione, cercheranno di fargliela pagare, denigrandolo e cercandogli qualche scheletro nell'armadio. Mi sembra ovvio che dicendo queste cose non mi rivolgessi a te, che non sei mai andato a caccia di scheletri, ma semmai hai affrontato i potenti quando erano in carne, svergognandoli. Tu non hai parlato di un comizio a Rosarno, ma hai detto senza fronzoli che il capo bastone della Lega non ti piace, perché ha la pancia, suda, ha la barba e non ride mai, proprio come i dittatori. Tu lo ritieni pericoloso perché ha troppo potere, perché è populista, perché mette a rischio i nostri risparmi per consolidare la propria forza. È un'opinione che io, pur non condividendola, rispetto. E che, come vedi, non cerco neppure di confutare. Ma le opinioni sono una cosa, gli schizzi di fango un'altra.Alla fine del Bestiario, però, tu ti chiedi se potrai continuare a scrivere di Salvini su La Verità come hai fatto, settimana dopo settimana, di Matteo Renzi. Vedi, caro Giampaolo, tu lavori per giornali da me diretti da un decennio e non abbiamo sempre avuto la stessa idea. In passato tu eri ferocemente critico con Silvio Berlusconi, mentre io non la pensavo come te. Tuttavia le tue opinioni hanno sempre avuto un posto d'onore in prima pagina. Anche su Mario Monti non avevamo la stessa visione. Tu eri convinto che ci avrebbe portato fuori dal pantano e io che ci avrebbe fatto affondare ancora di più. Ma la diversità di pensiero non ha impedito a te e a me di continuare a dire la nostra in maniera leale. Però non voglio parlare solo delle volte che negli ultimi anni abbiamo sostenuto tesi diverse. Ti voglio ricordare un articolo del maggio 2016 che tu scrivesti dopo il mio licenziamento da Libero. Su un giornale ormai non più diretto da me, cominciasti il tuo Bestiario dicendo che io ero la prima vittima della campagna referendaria, perché, essendo contrario alla riforma voluta da Renzi, ero stato cacciato su due piedi dall'editore Antonio Angelucci. Ti stai chiedendo perché ti racconti fatti di due anni fa? Te lo spiego subito: sono stato cacciato più volte per non aver voluto piegare la testa e cambiare opinione. Non lo dico per celebrarmi ma solo per spiegare che le censure non mi piacciono e, avendole patite sulla mia pelle, non le farò mai subire ad altri. Io credo che i giornali siano una palestra di idee e non una caserma dove tutta la truppa marcia in una direzione. Dunque, alla tua domanda rispondo tranquillamente che questo giornale è nato contro ogni bavaglio e, come hai sempre fatto, potrai dire ciò che ti pare. Però, caro Giampaolo, spero che tu voglia concedere anche a me lo stesso diritto di scrivere ciò che penso.
Getty Images
Attualmente gli Stati Uniti mantengono 84.000 militari in Europa, dislocati in circa cinquanta basi. I principali snodi si trovano in Germania, Italia e Regno Unito, mentre la Francia non ospita alcuna base americana permanente. Il quartier generale del comando statunitense in Europa è situato a Stoccarda, da dove viene coordinata una forza che, secondo un rapporto del Congresso, risulta «strettamente integrata nelle attività e negli obiettivi della Nato».
Sul piano strategico-nucleare, sei basi Nato, distribuite in cinque Paesi membri – Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia – custodiscono circa 100 ordigni nucleari statunitensi. Si tratta delle bombe tattiche B61, concepite esclusivamente per l’impiego da parte di bombardieri o caccia americani o alleati certificati. Dalla sua istituzione nel 1949, con il Trattato di Washington, la Nato è stata il perno della sicurezza americana in Europa, come ricorda il Center for Strategic and International Studies. L’articolo 5 garantisce che un attacco contro uno solo dei membri venga considerato un’aggressione contro tutti, estendendo di fatto l’ombrello militare statunitense all’intero continente.
Questo impianto, rimasto sostanzialmente invariato dalla fine della Seconda guerra mondiale, oggi appare messo in discussione. Il discorso del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, i segnali di dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin sull’Ucraina e la diffusione di una dottrina strategica definita «aggressiva» da più capitali europee hanno alimentato il timore di un possibile ridimensionamento dell’impegno americano.
Sul fronte finanziario, Washington ha alzato ulteriormente l’asticella chiedendo agli alleati di destinare il 5% del Pil alla difesa. Un obiettivo giudicato irrealistico nel breve termine dalla maggior parte degli Stati membri. Nel 2014, solo tre Paesi – Stati Uniti, Regno Unito e Grecia – avevano raggiunto la soglia minima del 2%. Oggi 23 Paesi Nato superano quel livello, e 16 di essi lo hanno fatto soltanto dopo il 2022, sotto la spinta del conflitto ucraino. La guerra in Ucraina resta infatti il contesto determinante. La Russia controlla quasi il 20% del territorio ucraino. Già dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la Nato aveva rafforzato il fianco orientale schierando quattro gruppi di battaglia nei Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e in Polonia. Dopo il 24 febbraio 2022, altri quattro battlegroup sono stati dispiegati in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia.
Queste forze contano complessivamente circa 10.000 soldati, tra cui 770 militari francesi – 550 in Romania e 220 in Estonia – e si aggiungono al vasto sistema di basi navali, aeree e terrestri già presenti sul continente. Nonostante questi numeri, la capacità reale dell’Europa rimane limitata. Come osserva Camille Grand, ex vicesegretario generale della Nato, molti eserciti europei, protetti per decenni dall’ombrello americano e frenati da bilanci contenuti, si sono trasformati in «eserciti bonsai»: strutture ridotte, con capacità parziali ma prive di profondità operativa. I dati confermano il quadro: 12 Paesi europei non dispongono di carri armati, mentre 14 Stati non possiedono aerei da combattimento. In molti casi, i mezzi disponibili non sono sufficientemente moderni o pronti all’impiego.
La dipendenza diventa totale nelle capacità strategiche. Intelligence, sorveglianza e ricognizione, così come droni, satelliti, aerei da rifornimento e da trasporto, restano largamente insufficienti senza il supporto statunitense. L’operazione francese in Mali nel 2013 richiese l’intervento di aerei americani per il rifornimento in volo, mentre durante la guerra in Libia nel 2011 le scorte di bombe a guida laser si esaurirono rapidamente. Secondo le stime del Bruegel Institute, riprese da Le Figaro, per garantire una sicurezza credibile senza l’appoggio degli Stati Uniti l’Europa dovrebbe investire almeno 250 miliardi di euro all’anno. Una cifra che fotografa con precisione il divario accumulato e pone una domanda politica inevitabile: il Vecchio Continente è disposto a sostenere un simile sforzo, o continuerà ad affidare la propria difesa a un alleato sempre meno disposto a farsene carico?
Continua a leggere
Riduci
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
Continua a leggere
Riduci